I proverbi e le sentenze proverbiali.
Raccolta di Giovanni Rampoldi (1852)

1. L’uomo nasce, vive e muore in un solo istante (1).
Nota: (1) È un sogno passaggér la nostra vita, E allor che ci svegliamo è già finita. Cent, Piacent. 1, 29.
2. Soltanto per la società è fatto l’uomo.
3. Previdenza e speranza fan l'uomo superiore agli altri animali.
4. L'uomo è il re degli animali (2).
Nota: (2) Meschina però è tale dignità per l’uomo; le torbide cure lo infestano, i dolori lo straziano, le passioni lo agitano e lo tormentano, i flagelli e le calamità lo divorano, ed il baratro della morte si spalanca ad ogni stante sott’i suoi passi e minaccia d’ingojarlo ….. l’homme, Ce rot des animaux, combièn a-t’il de rois, L’ambition, l’amour, l’avarice, ou la haine, Tiennet comme un forcat son esprit à la chaine, Boileau, Sat. VIII.
5. Primieramente l’uomo deve conoscere se stesso.
6. Il conoscere i suoi simili debb’essere secondaria cosa nell’uomo.
7. Gli animali sperar debbono per sensi, l’uomo per ragione.
8. Ragion sola può formare una società.
9. Indegno è d'esser nato chi non fa ciò per cui è nato.
10. Conservazion di sé stesso è legge primaria di natura.
11. Gli uomini per vivere hanno bisogni sempre maggiori degli animali.
12. L’uomo è sempre schiavo de’ suoi bisogni.
13. Dell’uomo tanto debole è natura, che sola non può appagare i più pressanti bisogni.
14. Degli animali maggior sensazione hanno gli uomini e maggiori desiderj.
15. Quanto più scema il bisogno, tanto più cresce la voglia.
16. Fra tutti gir animali l’uomo solo sente meglio, vive meglio, vive il doppio.
17. Dell’uomo la sola natura intellettuale differisce dai bruti.
18. Malgrado la superiorità dell'uomo, le bestie gli son talvolta maestre.
19. Nel frutto lento della ragione e dell’esperienza sta il poter dell’uomo sopra i bruti (1).
Nota: (1) Eccetto il caso d’una fame estrema Dell’uom le fiere anche più audaci han tema. Cent. Piacent. IX, 24.
20. Sol l’esperienza fece l’armi agli uomini, cui diè natura ai bruti.
21. L’armi fatte solo per difendersi dalle fiere, l'uomo contro l'uomo talvolta dirige (1).
Nota: (1) ….. nos ad mala nostra vertimus in saevas quod dedit ille feras. Tibul. lib. I, Eleg. X. ….. Ah! delle fiere Sarà l’uomo peggioe quando declini Per la strada de’ falli. Armi più fortii Ha per esser malvagio. Metast., Morte d’Abele.
22. Sol nel modo d’operare l'uomo fassi eguale agli altri bruti.
23. L’uomo agir debbe coll’esperienza, non mai coll’istinto.
24. Primi e veri elementi d’ogni corpo morale sono gli uomini.
25. Al disotto dei broli è l’ignorante; le sole cognizioni innalzano l’uomo.
26. Le sole qualità personali distinguono gli uomini gli uni dagli altri.
27. Soltanto forza, sapere e coraggio fan l’uom potente.
28. I soli deboli, gli ignoranti, i vigliacchi, vivono nell'altrui dipendenza.
29. L’uomo non è differente dagli animali che pel grado e pel modo d'operare (2).
Nota: (2) Da quattro cose l’uom si fa capire: Dal parlare, mangiar, bere e vestire. Cent. Piacent. IIi, 29.
30. Bontà, saggezza e forza d'animo sono i pregi dell'umana natura.
31. Talento, forza e coraggio danno i mezzi di tutt’intraprendere.
32. Malizia, intemperanza e vigliaccheria sono i principali difetti dell’uomo.
33. Gli uomini distinguonsi gli uni dagli altri, per le loro qualità personali.
34. Chi vede un uomo non ne vede che uno; nessuno si rassomiglia (1).
Nota: (1) Chi vede un leone li vede tutti, chi vede un’ape le conosce tutte, tutte le tigri sono feroci, tutte le colombe sono buone: ogni uomo è di diversa natura. Tutto inegual sarà sempre nel mondo Perché tal uomo è quadro, e tal rotondo. Cent. Piacent. II, 44.
35. Le circostanze o l’azzardo conducono le azioni degli uomini, e dispongono dell’evento.
36. Uomo senz’esperienza è un fanciullo che comincia a camminare.
37. Parte della nostra superiorità sopra i bruti debbesi al tatto.
38. Sorgente d’industria e sgomento il più atto a secondare. Io spirito è il tatto.
39. Corpo diritto, fronte elevata, e poter rimirare il cielo sono i vantaggi dell'uomo sopra i bruti.
40. Sentire, pensare e ragionar debbe l’uomo a differenza dei bruti (1).
Nota: (1) Della ragion col dono il Ciel distinse Gli uomini dalle fiere ….. ….. Uom che si scorda Del privilegio suo, qualor lo sproni O l’amore o lo sdegno, è ingrato al Cielo, e d’esser fiera è degno. Metast. Nitteti, atto III.
41. Se l'uomo sente senza ragionare, egli è di già vizioso.
42. L'uomo che senta e che ragioni, è il modello della perfezione.
43. L'uom sensato sempre riflette prima di decidere (2).
Nota: (2) ….. Negl'impeti improvisi Tutti abbaglia il furor; ma la ragione Poi n’emenda i trascorsi. Metast. Demofonte, atto I.
44. L’animale più bello al mondo è l'uomo di virtù ornato.
45. Far distinguere l’uomo dagli altri uomini può solo virtù (3).
Nota: (3) Se l’uom dotto non è, che importa questo? Importa ben che sia giusto ed onesto. Cent. Piacent. X, 49.
46. Di vivere virtuosamente sforzarsi dee l’uomo che ambisca esser superiore agli altri.
47. A render misera il restante della vita è impiegata dall’uomo la miglior parte.
48. È della vita indegno chi ad essa pospon virtù.
49. Sempre fra gli uomini il più virtuoso è più rispettato (1).
Nota: (1) Chez moi le plus grand homme est le plus vertueux. — Voltaire.
50. L'uomo d’amabili talenti dotato diviene l’oggetto della stima de’ suoi simili.
51. Lieto della propria stima è l’uom virtuoso, acquistando quella degli altri.
52. Nel vivere seco medesimo consistono le delizie dell’uom virtuoso.
53. L'uom solitario e virtuoso piucchè gli altri vive, e vive meglio.
54. Abbenchè solitario, l’uomo viver dee sempre co' suoi simili.
55. Sull’universo intiero l’uom virtuoso semina le sue fertili idee.
56. Sempre dolce coi buoni, e sempre buono coi cattivi è l’uom virtuoso.
57. Uom giusto è colui che fa ogni sforzo per veramente esserlo.
58. All’anima il comandare s’aspetta, al corpo l’obbedire.
59. Degli immortali suoi destini l’uom solo è l’artefice (2).
Nota: (2) ….. Qualunque sorte Può farvi illustri? e può far uso un’alma D’ogni nobil suo dono Fra le selve cosi come sul trono Metast. Temistocle, atto III.
60. L'uomo non appare sempre ciò ch’è in effetto.
61. Più dalla differenza dei nomi che delle cose gli uomini si regolano.
62. Immagine dell’incostanza, e ludibrio dell’invidia sempre è l’uomo.
63. Dell’uomo incomprensibile è l’essere; incostanzaè il di lui fondo.
64. Fra la speranza ed il timor l’uom sempre tituba (1).
Nota: (1) Tal è l’uom, tal fu sempre: unico perno è in lui la speme, ed il timor perenne. Alfieri, Sat. VII.
65. Informemente grande, e bujamente saggio è l’essere dell’uomo.
66. Non mai tutti del medesimo carattere son gli uomini.
67. Quante sono le figure, altrettanto diversi sono i caratteri che trovansi negli uomini (2).
Nota: (2) Di vizj e di virtù l’uomo è inesto: debole, forte, perfido ed onesto. Cent. Piacent. III, 45.
68. Vita, inclinazioni ed occupazioni nell’uomo non mai si rassomigliano (3).
Nota: (3) Diversos diversa juvant. Non omnibus annis Omnia conveniunt, res prius opta nocet. Cornel. Gal. lib. eleg.
69. Costanza ed immutabilità formano il vero carattere dell’uom socievole (1).
Nota: (1) Questi dagli antichi era chiamato un uomo di tutte le ore: omnium horarum homo.
70. A seconda de’ tempi l’uom varia il pensare, il procedere non mai.
71. Nel costantemente seguir le passioni gli uomini si rassomigliano.
72. L'uomo suole abbandonare la virtù che rispetta, e fare il male che biasima.
73. La moltitudine degli usi e delle opinioni bastano per far diversi gli uomini.
74. Più a sé stesso che verso gli altri differente è l'uomo.
75. Sovente da altri condotto è chi crede condur sé stesso.
76. Perfetta unione co’ suoi simili debb’essere l’unico strumento nell’uomo.
77. I bisogni uniscono gli uomini per interesse, le miserie per affezione.
78. Parte del tutto è l’uomo, senz’il complesso d’ogni cosa non può esser felice.
79. Fatti pel tutto son gli uomini, ma il tutto non è per loro.
80. Niun uomo solo bastar può alla propria felicità.
81. L’uom scevro di passioni e colmo di virtù è il solo felice (2).
Nota: (2) Il Signor De Veaax il quale fu poco contento degli uomini, e che è stato sfortunato in amore, in amicizia, in affari, come suol esserlo per l’ordinario la gente onesta, ma pieno di sentimenti, di rettitudine e di sensibilità, in una delle sue Notti, che vagliono quanto quelle del sepolcrale Young, confermò la sovr'espressa sentenza ne' seguenti versi che presento tradotti: O amabil solitudine, o soave Amica della pace! a te sol deggio La mia felicità. Sotto la sacra Ombra de’ tuoi fronzuti rami appresi Da que’ falsi bisogni a liberarmi Che schiavo mi rendean. Tu mi guidasti A conoscer me stesso; un uomo io sono, Un debole animal, di cui l’orgoglio Degno è di riso, i cui piaceri han vita Ne sensi scossi, e nel delizioso Fuoco che’n l’alme la virtude accende. Tua mercé già imparai che la menzogna Ha quasi gli uman cor tutti corrotti; Che falsa e ingannatrice e de’ mortali La vicinanza; che fuggirli è d’uopo, O delle colpe lor farsi compagno; Che il solo ben di questo mondo è il puro Piacer d’amare e di giovar; che vana Chimera è lo sperar d’essere amato, Fatal dolcezza l’esserlo, che inganna Pur troppo spesso vittime infelici, E crudelmente le abbandona in guai. Tu m’insegnasti alfin che la regina Dell’umano virtudi è il compatire Gli altrui difetti, e il sommo ben la morte. Notte IV.
82. Tant'è misero l’uom quantici si reputa
83. Non v'ha cosa che all'uom resista.
84. Non v'ha cosa fatta, che altre volte far non si possa.
85. Ogni cosa può l’uomo se di veramente farla si propone.
86. L'uomo crea le proprie dimensioni e statura.
87. Spesso ne' generali, di rado ne' particolari l’uomo s'inganna.
88. È più facile conoscer gli uomini in generale che un solo particolarmente.
89. Cangiar di luogo, non già di natura può l'uomo (1).
Nota: (1) Diversi i climi son, ma presso a poco Gli uomini son gli stessi in ogni loco. Cent. Piacent. V, 47.
90. Gli uomini tutti eguali son fatti dalla natura.
91. Eguali tra di loro son gli uomini tutti, nessuno ci dee sembrar straniero (2).
Nota: (2) Homo sum, humani nihil a me alienum — Terentius.
92. Della specie de' gregari è l’uomo, per la società nato e fatto.
93. Maggiori servigi ritrae l'uomo da’ suoi simili che da sé stesso,
94. D’esser sensibile ai mali de' suoi simili è la miglior qualità dell’uomo.
95. Qualità secondaria all’uomo sono i talenti.
96. Men utile alla società è l’uomo di quello ch’ella sia ad esso.
97. Moderato e giusto sia l'uomo; in ciò consiste la propria sicurezza.
98. Sotto pena d'esser infelice, giusto esser debbe l'uomo.
99. Di rado trova male l’uom che fa bene.
100. Vivendo coi buoni sempre si guadagna.
101. Da un buono altro che bene attendesi.
102. Tranquillità con sé stesso, pace cogli altri sempre gode l’uom dabbene.
103. Sempre con Dio è l'uom dabbene, ed è sicuro d'esserne amato (1).
Nota: (1) Inter bonos viros ac Deum amicitia est conciliante virtute — Seneca, De Provid.
104. Pacifico, tranquillo ed eguale sempr’è l’onest'uomo.
105. Del vizioso i rimorsi né i timori agitano mai l’uom dabbene.
106. Sempre nei torbidi vive il malvagio, e da secreti rimorsi il di lui cuore è divorato.
107. Nulla è lecito se non è giusto; l’onestà comincia dalla giustizia.
108. Giusto ed onesto in casa altrui raro è chi in casa propria non lo è sempre.
109. È sempre fonte di probità il naturale compassionevole, franco e liberale.
110. Nel considerare il bene che si è fatto l'uom probo travasi felice.
111. Dall’uom probo le virtù del suo emulo non sono mai nascoste.
112. Nascondere i difetti altrui e il carattere dell’uom dabbene.
113. Soltanto le proprie virtù dissimulare o nasconder può l’uom probo (1).
Nota: (1) Non conosce doppiezza un uom d’onore, Vanno d’accordo in lui le labra e il core. Cent. Piacent. I, 37.
114. Per il publico bene l’uom virtuoso spesso sceglie il privato male (2).
Nota: (2) ….. Al par d’ogn’altro Bramo il mio ben, fuggo il mio mal. Ma questo Trovo sol nella colpa, e quello io trovo Nella sola virtù. Colpa sarebbe Della patria col danno Ricuperar la libertà smarrita; Ond'è mio mal la libertà, la vita: Virtù col proprio sangue é della patria assicurar la sorte; Ond'è mio ben la servitù, la morte. Metast. Attilio Regolo, atto II.
115. Colla propria stima acquistasi quella degli altri.
116. Sempre virtuoso è L’uomo, la ragione e la propria coscienza seguendo.
117. Più si stiman gli uomini, più si stima sé stesso.
118. Non mai dell’altrui superiorità sdegnasi il virtuoso.
119. È nel sopravanzare gli altri in meriti che la vera autorità consiste.
120. Sé stesso miglior degli altri ognun crede ed esser vuole.
121. Troppo facile a lusingarsi è l’uomo per sanamente giudicar di sé stesso (1).
Nota: (1) Sic res se habet tua, me delectant mea. – Cicero, pro Rosc.
122. Attiva soltanto è la vita dell’uom virtuoso.
123. Da virtù particolari nascon sempre le publiche azioni virtuose.
124. Non sempre motivi retti hanno le nostre più belle azioni.
125. Se veramente grandi o piccioli siano gli uomini le circostanze lo dimostrano.
126. Le sole circostanze smascherar possono gli uomini (2).
Nota: (2) Il consultare la fisionomia D’un uom, per giuducarne, è gran pazzia. Cent. Piacent. VII, 4.
127. A fronte scoperta sempre cammina l’uom dabbene.
128. Dell’uom dabbene anche le più secrete opere non temono la luce (3).
Nota: (3) Pittaco diceva: bisogna operare anche in propria casa come s’ella fosse di vetro.
129. Anche nelle avversità ragionevolezza mostrar dee l'uom grande.
130. Le sole avversità mettono un prezzo alla virtù.
131. Nel ben conoscere il valore delle cose consiste la vera abilità.
132. Grande abilità è sempre il saper nascondere a tempo la propria abilità.
133. Nulla è impossibile all’uomo quando efficaciemente il voglia.
134. Come i frutti merito degli uomini ha le sue stagioni.
135. I temerarj fanno cose grandi, gli uomini di giudizio sanno viver bene.
136. La perfezione viene negata all’uomo dappertutto.
137. La rettitudine sia sempre nella volontà dell'uomo.
138. Chi sé stesso palesa sé stesso offende.
139. Chi altrui ingiustamente biasima sé stesso condanna (1).
Nota: (1) ........ il biasimo ingiusto L'altrui virtù più vigorosa rende; La falsa lode a meritarla accende. Metast. Il Parnaso accusato.
140. Publicare le altrui virtù è il mezzo di farsi amare.
141. Atti di giustizia e di beneficenza sono di vera probità segni esteriori.
142. Si legge quasi sempre in fronte ciò che in cuor si porta.
143. Il peggior carattere di tanti è quello di non averne alcuno.
144. Debolezza di carattere è compagna sempre alla bontà del cuore.
145. Nessun sé Stesso appien conosce.
146. Il proprio studio, degli uomini è sempre l’uomo (2).
Nota: (2) The propter studij of Mankind ist man Pope.
147. Non si conoscono bene gli uomini da chi primieramente non conosce sé stesso.
148. Per ben conoscere ciò ciré l’uomo saper bisogna ciò ch'esso ama.
149. Più curioso che saggio sempr’è l’uomo.
150. Non deesi considerare l’uomo qual ci si dice, ma qual egli è.
151. Non è che a gradi che la virtù conoscesi.
152. Praticando la virtù obliare si fanno que' talenti che ci mancano.
153. Abbenchè incolto, l'uomo virtuoso è sempre di gran merito.
154. In ogni età e contrada rarissimi nascono gli uomini grandi.
155. L'uom grande è cittadino in ogni paese (1).
Nota: (1) Sapienti patria mundus. – Sallust. Omne solum forti patria est. – Tacit.
156. All’uom forte e virtuoso ogni paese è patria.
157. L'uomo da nulla sempre di peso è allo Stato.
158. Dagli avvenimenti più inaspettati si conoscono le anime grandi.
159. Ad essere un uom grande non basta il credersi tale.
160. Chi grande è, tale per lo più non si reputa.
161. Dal velo della modestia è sovente nascosto il merito, dell’uomo.
162. Sempre malignità nasconde la maschera dell’ipocrisia.
163. Col tempo e le occasioni il vizio finalmente scopresi.
164. Dal volto non sempre si conosce il cuore (1).
Nota: (1) Talun che al volto sembra un uom selvaggio Ha gentili maniere, è onesto e saggio. Cent. Piacent. VII, 5.
165. Cerca davantaggio l’uomo di comparir tale che debb’essere, che d’esserlo in effetto.
166. Non mai bene giudicansi taluni, che quando gli si è ben vicino.
167. Tanto gli uomini che gli affari hanno il loro punto di prospettiva.
168. È natura di buona mente il modestamente dubitare della propria abilità.
169. Facilmente pare esser grande chi ad una cosa grandissima aspira.
170. Anche essendolo, invano si fa creder grande chi ad una piccol cosa aspira.
171. Veramente grande è chi aspira a sorpassare gli altri, e molto meno a non avvilirli (2).
Nota: (2) …. Dell’anime più grandi Meno a ragio si teme: Van la grandezza e la clemenza insieme. Metast. Vero Omaggio.
172. Non mai della loro superiorità i grandi uomini abusano.
173. La propria superiorità l’uom grande vede e conosce, ma modestamente tratta.
174. Più ha l’uom grande, maggiormente conosce ciò che gli manca.
175. Vinto dal piacere né atterrito dal dolore non è mai l’uom grande.
176. L'infamia teme soltanto l’uom grande come disprezza la morte.
177. La gloria e la stima de' suoi simili è il solo bisogno dell’uom grande.
178. Le anime grandi a vantaggio di tutti il Ciel produsse.
179. I grandi che non hanno altro che grandezza sempre sono sprezzati dal saggio.
180. I grandi ed i dotti privi di virtù sempre dall’uom dabbene sono compianti.
181. Sopportare le ingiurie senz'avvilirsi solo può l’uom grande (1).
Nota: (1) ….. un’alma grande È teatro a se stessa. Ella in segreto S’approva e si condanna, E placida e sicura Del volgo spettator l’aura non cura. Metast. Artas., Atto II.
182. L'uom grande la mediocrità soffre senz’arrossire né lagnarsi.
183. Quanti minori bisogni sente l’uomo, altrettanto avvicinasi alla divinità.
184. Soltanto la ragione e la coscienza segue l’uom giusto.
185. Tant’è più indipendente l'uomo, quanto i di lui desiderj sono minori.
186. Quanti più bisogni si forma l’uomo, d'altrettante catene si circonda.
187. Esistenza precaria e subordinata agli altrui capricci, è il prodotto di molti desideri e bisogni.
188. Coll’età l’uomo sempre cangia pensieri conte di desiderj (1).
Nota: (1)….. de l’homme Le cœur toujours flottant entre mille embarras Ne sait ni ce qu’il veut ni ce qu’il ne veut pas. ….. Il va du blanc au noir. Importun à tout autre, à soi-même incommode; Il change à tous momens d’esprit comme de mode; Il tourne au moindre vent, il tombe au moindre choc, Aujourd’hui dans un casque et demain dans un froc. Boileau, sat. VIII.
189. I soli corpi inanimali senza resistenza seguono i moti loro impressi.
190. Gli animali di ragion privi senza rimorsi s'abbandonano all'istinto che gli strascina.
191. I soli uomini tanto pe' loro vizj quanto per la loro intelligenza si distinguono.
192. Alla perfezione difficilmente si giunge.
193. Chi aspira alla perfezione entri nella via ordinaria, e costantemente la segna.
194. L'uomo nulla può che a forza di lavoro e di assiduità.
195. È un bene per l'uomo che nulla di perfetto vi sia.
196. Il potere è il frutto lento e penoso della ragione e dell’esperienza (1).
Nota: (1) …. curis acuens mortalia corda. Virg. Georg. I, 123.
197. Cogli stenti e l’opere l’uom si fa sagace.
198. Tutto quanto dagli uomini novi s'ha il coraggio d'imitare viene rigettato.
199. Continuamente a suoi simili l’uom si paragona.
200. La propria miseria all'altrui superiorità sempre si misura.
201. Diversamente dalle affezioni sue non può sentire l’uomo.
202. Delle sue passioni più che gli altri animali è l’uom schiavo.
203. La ragion forma l'uomo, il sentimento Io conduce.
204. Dall’ambizione e dall'invidia l’uom sovente è condotto.
205. Gli uni dagli altri tutti gli uomini dipendono.
206. La più bella qualità dell’uomo è quella d’esser uomo.
207. Chi generalmente non stima gli nomini, viene riputato malvagio.
208. Dal cuore perverso, e dalla lingua bugiarda e maldicente scorgesi il malvagio (1).
Nota: (1) Sex sunt quae odi Dominus… linguam mendacem; manus effundentes innoxium sanguinem; cor machinans cogitationes pessimas; pedes veloces ad currendum in malum; profentem mendacia testem fallacem, et eum qui seminat inter fratres discordias. – Prov. VI, 16.
209. L'uomo maldicente è da tutti odiato perché temuto.
210. Naturalmente buono è l'uomo, dalla società è pervertito.
211. Nessuno fa il male per male.
212. Nel fare il bene si diventa buono.
213. La stima de' suoi simili è un bisogno per tutti.
214. Diversamente dalle sue azioni l'uomo sentir non può.
215. Molto più debole che malvagio è il cuore dell’uomo.
216. D'essere un uom dabbene talvolta desidera il malvagio (2).
Nota: (2) ….. Il più crudel tormento C’hanno i malvagi è il conservar nel core, Ancora a lor dipetto, L’idea del giusto, e dell’onesto i semi. Metast. Issipile, atto III.
217. Malgrado il dolce aspetto della virili rare volte emendasi il malvagio (1).
Nota: (1) Perversi difficile corriguntur. — Eccle. I, 15
218. Il malvagio non mal agisce o pensa come l’onest’uomo.
219. L’aspetto dell’uom virtuoso è pel vizioso il principal supplizio (2).
Nota: (2) Crederò sempre che sia un uom di vaglia Quel ch’esser vedo in odio alla canaglia. Cent. Piacent. VI, 89.
220. I malvagi temono sempre i malvagi, li schivano, né desiderano vederli in credito.
221. I buoni amano i buoni, né temono di vederli amali ed onorati.
222. L'insulto del malvagio sovente serve a perfezionare l’uom dabbene (3).
Nota: (3) Lo smeriglio, pietra ferruginosa, di tutte In più difficile a struggersi o a lavorarsi, com’è la più sterile de’ metalli, non pertanto si adopera a dare il lustro al cristallo, alle pietre preziose, e sopratutto al diamante. ….. I malvagi Iddio soffre Felici un tempo, o perché vuol pietoso Lasciar spazio all’emenda, o perché vuole Con essi buoni esercitar. Metast. Gioas., II.
223. Il malvagio crede che tutti lo siano.
224. Chi a far male è accostumato, ad altro non pensa.
225. Essere onorevolmente tristi, o perfettamente buoni di rado sanno gli uomini.
226. Sovente il pudore contien l’uomo fra i limiti del proprio stato.
227. Il pudore rende la legge un freno per l’uom potente.
228. La morigeratezza è resa scudo per l’uom debole dal pudore.
229. Tanto dai disordini che dalla viltà il pudore scuote talvolta l’uomo.
230. Il pudore dopo la Religione è il vincolo che unite conserva le Nazioni tutte (1).
Nota: (1) Siccome l’audacia e l’empietà sono quelle che le rovinano.
231. Più querulo che perverso talvolta è l’umore dell’uomo.
232. Il virtuoso separa il bene dal male, lo stupido confonde il male col bene.
233. Il saggio teme e s'allontana dal male, l’ignorante vi passa da vicino (2).
Nota: (2) Sapiens timet et declinet a malo; stultus transilit et confidit. — Prov. XIV, 16.
234. Il luogo non fa l’uomo, ma l’’uomo dà qualità al luogo ove esiste.
235. Non dipende da chi si voglia l’essere il più virtuoso.
236. La natura sola può dare le disposizioni per essere perfetto.
237. È solo degno di governar gli uomini chi conservossi sempre in perfett’equilibro.
238. Vero tempio della Divinità è il cuore del giusto.
239. Che un uom dabbene sia un onest’omo a tutti bastantemente è noto.
240. Che un onest’uomo non sia sempre un uom dabbene dispiace Immaginarselo.
241. Per diverse strade l’uom dabbene come il cattivo immortalizzasi.
242. Le azioni fanno conoscere ciò ch’è l'uomo e ciò che vuol sembrare.
243. Più si maschera l’uomo, maggiormente è conosciuto.
244. Non tutti gli uomini sono uomini.
245. Pochi son gli uomini, molte le persone.
246. È uomo chi regger può sé stesso.
247. Il vincer sé stesso è la più diffidi cosa.
248. Non v’è più facil cosa che ingannar sé stesso.
249. Col fuoco si prova l'oro, coll’oro la donna, colla donna l’uomo.
250. L’uom vantasi padron di tutto, ma sovente della donna è schiavo (1).
Nota: (1) Nos imperamus omnibus, uxores nobis. — Plutarc. in Rom. Apopht.
251. Dominano sempre le femine quando gli uomini sono voluttuosi (2).
Nota: (2) Son padrone del mondo oggi le donne, E cedon toghe e spade a cuffie e gonne. Cent. Piacent. VII, 76. La donna ha in oggi la maschil fierezza, E l’uomo della donna ha la mollezza. id. IX, 92.
252. Non comanda mai la donna per sua fortezza, ma bensì per debolezza dell’uomo.
253. Ove donna governa la pace non alloggia (1).
Nota: (1) ... la sovranità di cui s’investa Femina varia, ambiziosa, altiera, È come una mortale arma funesta Che s’abbandona sconsigliatamente Nelle man’ d’un frenetico o demente. Casti, Anim. parl. VIII, 5.
254. Altro impero che quello della dolcezza e delle grazie le femine aver donno.
255. Dal loro naturai destino escon le femine allorché uomini comparir vogliono.
256. La voglia di comandare fra le donne più che negli uomini supera ogn’altr'affetto.
257. Cagion prima d’ogni male la donna fu sempre (2).
Nota: (2) Mulier est viri naufragium, domus tempestas, quotidianum damnum, animal malitiosum. — Tir. Maxim., serm. IX.
258. Del mondo la peggior bestia sovente fu la femina.
259. La pugna sulla terra arrecò la femina, e armò l’uom contro l’uomo (3)
Nota: (3) Molti autori scatenarono la loro bile contro la femina, autorizzando i loro discorsi coi nomi delle Elene, delle Giocaste ec.; il Legislatore stesso degli Ebrei nel capo III della Genesi attribuisce tutt’i mali, inclusivamente la morte, alla femina, il che fu elegantemente parodiato da diversi autori: ….. Satanasso per parlar con Eva Triplicandosi, prese la figura Di donna a un tempo, e di serpente aveva. Diavolo, donna e serpe a far parola Furon tre specie e una persona sola. Casti, Orig. degli Anim. Parl. Ai mali che soffriamo apri le porte Una donna, e ne diede in preda a morte. Cent. Piacent. VII, 85.
260. Dei mali che in diversi tempi desolarono la terra la cagione sovente fa la femina.
261. Amici delle femine gli uomini esser denno, non mai i loro tiranni.
262. Ridurre le femine alla schiavitù è un abusare della forza che ha l’uomo.
263. L'ineguaglianza fra i due sessi all’origine non ebbe che dall’abuso della forza.
264. Con dei sofismi invan si cerca di scusare l’abuso della forza verso le femine.
265. Colle femine il delicato sentimento trovasi ove regna onesta libertà (1).
Nota: (1) È per questo che gli Orientali sono sempre le vittime della loro gelosia.
266. Le femine sono i deliziosi fiori destinati a dar risalto alle bellezze del mando (1).
Nota: (1) Del destin non vi lagnate Se vi rese a noi soggette: Siete serve, ma regnate Nella vostra servitù. Forti noi, Voi belle siete, E vincete in ogn’impresa Quando vengono a contesa La bellezza e la virtù. Metast. Olimpiade, atto I.
267. L'uomo insensibile alle conversazioni delle femine di rado è amico dell’umanità (2).
Nota: (2) Le grandi qualità di Carlo XII re di Svezia non avrebbero intorbidata l’Europa se frequentato avesse il commercio e la società delle femine.
268. Filosofo non è chi alle conversazioni delle donne rinuncia.
269. Ingiusto è chi a tutte in generale applica i difetti di poche.
270. Allontanarsi dalle donne fu sempre un consiglio antisociale.
271. Corteggiare le femine senza prenderne passione fu sempre pessimo sistema.
272. Nessuna legge ha forza di estinguere nelle donne il desiderio di piacere.
273. Le precauzioni della gelosia non servono che ad infiammare l'ardente brama di piacere.
274. Nello stato selvaggio e barbaro le femine sono sempre schiave degli uomini.
275. A misura che cresce la popolazione i costumi raddolcisconsi.
276. A misura che i costumi raddolcisconsi la società si migliora.
277. I costumi dolci e ‘l carattere umano degli uomini sono dovuti in parte alfe femine.
278. Le femine hanno maggior dolcezza, gli uomini maggior sentimento.
279. La femina ha più di spirito, l'uomo maggior ingegno.
280. La dolcezza e la compassione nelle femine è l’amabile e la primiera lor parte (1).
Nota: (1) ….. Lievemente la pietà si desta In cor di donna. Alfieri, Oreste, III.
281. Dolcezza è d'una moglie la prima virtù.
282. Base dei diritti d'una femina è quella di amare per essere amata.
283. Non rendesi amabile la femina che per esser felice.
284. Che per essere obbedite rendonsi le donne pregevoli.
285. Rispettano se stesse le femine per essere vieppiù onorate.
286. Altr’ambizione non hanno le femine che d'essere amate.
287. Altra cura non stimola le femine che della loro comparsa.
288. Nelle remine altra virtù non trovasi che il timor del disonore.
289. La ragione conduce l'uomo alla cognizione de' suoi doveri, la natura conduce la femina.
290. Ubbidienza e fedeltà al marito, cura e tenerezza pe’ i figli sono i primi doveri delle femine.
291. Il talento nelle femine limitar si dee a ciò che le costituisce buone madri e spose.
292. Le cure domestiche non sono vili quando diventano doveri comuni.
293. Due cose non riparansi nelle donne: la perdita del tempo e dell’onore.
294. Di donna la saviezza è la più preziosa dote, perché più rara e più utile (1).
Nota: (1) Mulierem fortem quis inveniet? Procul et de ultimis finibus pretium ejus —Prov. XXXI. 10.
295. Il più bel decoro delle famiglie sempre fu delle femine' l’onestà.
296. Di casa il più bel corredo è femina saggia (2).
Nota: (2) Mulier diligens corona est viro — Prov. XII, 4.
297. Più che il marito la donna scapestrata è la rovina di casa (3).
Nota: (3) Sapiens mulier aedificat domum suam; insipiens extructam quoque manibus destruet.— Prov. XIV, I.
298. Di donna il più nobil pregio è modestia di volto e di portamento.
299. Nelle femine non trovasi maggior pregio della verecondia.
300. Il pudore nelle femine è la virtù più indispensabile (1).
Nota: (1). Ahi, che fiamma dal cielo anzi in me scenda, Santa onestà, ch’io tue leggi offenda. Tasso, Gerus. IV, 57. Il Pudore aveva in Roma gli onori divini, e certamente n’ è sempre stato degno; in quella celebre città egli aveva due tempj, mentre v’erano due Dei adorati sotto questo nome; l’uno non era che pei patrizi, l’altro riceveva gli omaggi della plebe, distinzione bizzarra che l’orgoglio o l’ignoranza non avrebbero mai dovuto produrre, sopra tutto riguardo agli Dei e nel seno di una Republica.
301. L'amabile pudore influisce sopra l’aspetto, lo spirito ed il carattere delle femine.
302. Tutto ci ributta nelle femine ove il pudore manca.
303. Sempre alle feminili attrattive verecondia dà maggior risalto (2).
Nota: (2) Di due ciglia il bel sereno Spesso intorbida il rigore, Ma non sempre e crudeltà. Ogni bella intende appieno Quanto aggiunga di valore Il ritegno alla beltà. Metast. Antig. atto II.
304. La decenza fa sempre credere che la femina stima sé stessa.
305. L'urbanità e cortesia fanno conoscere che la donna stima anche le altre.
306. Onestà nelle femine talvolta non è che l’amore della loro riputazione e propria quiete.
307. Tesoro nascosto è sovente onestà di donna, è sicuro perché non cercato.
308. Onestà nelle femine è talvolta il timore d'un male che loro è caro (1).
Nota: (1) Talor può tanto in tenera donzella La vergogna d’amor sempre nemica, Che le fa rigettar ciò che desia. Metast. Giustino, atto V.
309. La vanità e’I disonore fa sovente il valore negli Uomini e la virtù nello femine.
310. Poche son le oneste femine che d’esser tali talvolta non stancatisi (2).
Nota: (2) Maggiormente ciò si deve intendere riguardo a quelle femine di opposta condotta.
311. Delle femine la maggior parte non ha severità compita senza l’avversione.
312. Regola esser non vi può nel cuor delle femine, se il temperamento non è d'accordo.
313. Difficile è custodir ciò che da molli si desidera.
314. Piuttosto da debolezza che dalle passioni lasciansi vincere le donne.
315. Sempre a compiangersi è femina quando virtù ed amore accoppia.
316. Facile è trovar femina che non abbia avuti mai intrighi amorosi.
317. Difficile è rinvenir femina che un solo intrigo amoroso abbia avuto.
318. La prima galanteria non mai raccontasi che quando esiste la seconda.
319. Il minor difetto nelle donne che fan l'amore e di far l’amore.
320. Sensibilità a donna non fece mai danno.
321. Siede sempre bene sensibilità nelle fontine, con esse nascere, vivere e morir debbe.
322. Le virtù che amansi sempre sono prodotte da sensibilità.
323. Da sensibilità nascon pure i vizj che rimporveransi alle donne.
324. Sensibilità modifica i costumi, non mai le passioni.
325. Sempre debole è quella femina il cui cuore combatte colla ragione.
326. Debole sempre è chi vuol guarire d’una passione che mai non guarisce, o tardi assai.
327. Di rado ragione guarisce le passioni; una passione guarisce l’altra.
328. Le passioni sono i soli oratori che persuadon sempre.
329. Difficile è il vincere le proprie passioni, impossibile il soddisfarle tutte.
330. Amasi l’amante nelle prime passioni, nell’altre amasi l’amore.
331. Un sol fatto in una donna basta per sempre disonorarla.
332. Chi una volta getta la vergogna più non la ripiglia.
333. Femina è di già colpevole quando tituba (1).
Nota: (1) Qui deliberant jam decreverunt. —Seneca.
334. Femina che sé stessa stima difficilmente disonorasi.
335. Chi conosce i propj diritti li fa valere a proprio vantaggio.
336. Nella donna il vantaggio d'essere onesta risale sull'uomo che l’avvicina.
337. L'uomo non è amico di donna se cerca di disonorarla.
338. Chi non si regge coi principj d'onestà è condotto dal cuore.
339. Instabil cosa ell'è di donna il cuore.
340. Femina è cosa mobil per natura (2).
Nota: (2) Varium et mutabile semper Femina Horat.
341. Femina pensierosa di rado volubile (3).
Nota: (3) Mulier sensata et tacita non est immutatio eruditae animae. — Eccli. XXVI, 18.
342. Di rado costante troppo loquace femina.
343. Corto intelletto e lunga lingua è di femina la dote.
344. Ogni cosa puon lo femine fuorché tacere (1).
Nota: (1) Ma la donna ha un certo pizzicore Sotto la lingua che la fa ciarlare, Voglia o non voglia, e se non ciarla, more. Baretti, Frusta letter.
345. Più a facilitare la pazzia che la ragione serve nelle donne il talento (2).
Nota: (2) Donna che sa il latino è rara cosa, Ma guardati di prenderla in isposa. Cent, Piacent. I, 15. La dotta Irene invan mi offre la destra, Voglio una moglie, non una maestra. id. III, 96.
346. Sempre agli estremi van le donne, o migliori sono o peggiori degli uomini.
347. Quanto l'uomo la femina può essere moralmente forte.
348. Non come l’uomo la donna è fisicamente forte, la debolezza è propria del bel sesso.
349. La femina vieppiù interessa comparendo un ente delicato.
350. È natura che inspirò alle femine l’arte di comparir deboli (3).
Nota: (3) Ecco perché le nostre donne abbenchè sane e robuste imparano a camminare neghittosamente, a parlare affettato, a far le malate, ed a lagnarsi dei loro nervi. E perché mai è lor naturale arrossire ad ogni cosa? Perché questo è il tacito contrassegno di qualche imperfezione, d’un difetto di forza e di coraggio, e lusinga l’amor proprio di chi e testimonio di questa modestia.
351. La donna conoscendo pregi di sua debolezza, maggiormente debole si mostra.
352. La debolezza nelle donne eccita negli uomini maggior interesse a lor favore.
353. Sempre commovente è una bella femina e soprattutto nelle disgrazie.
354. La femina è la sola ch'abbia sopra gli uomini un deciso ascendente.
355. Nella disgrazia e nel pianto interessa tal niente la femina, che piega l’avaro e disarma ogni tiranno.
356. Se debolezza nelle donne è all'ultimo periodo, nessun rifiutasi d'esser generoso.
357. Per aver fama d'esser tenere piangon talora le femine.
358. Piangesi talvolta l'amante solo per sembrar degne d'esser amate.
359. Piange la femina sempre per esser compianta.
360. Piangon sempre le donne per evitare il rossore di non piangere.
361. Femina che piange sempre comanda (1).
Nota: (1) … Che non può di bella donna il pianto, Ed in lingua amorosa i dolci detti? Tasso, Gerus. IV, 83. Di crudeltà, non di fermezza ha vanto Chi può durar della sua donna al pianto. Metast. Epital. I.
362. Donna ride quando può, ma piange quando vuole (1).
Nota: (1) ….. Esse son meste Spesso senza cagion; ma tornan spesso Senza, cagione a serenarsi. Metast. Ipermestra, atto I.
363. Il dire ciò che non sentono poco costa alle donne.
364. Meno costa agli uomini il dire ciò che giudicano delle donne.
365. Giovin donna persuade sempre, e desta amabil compiacenza.
366. Parla, opera, s'affacenda l'uomo, e sempre persuade assai meno che una donna.
367. Trovano posto in ogn'istante della vita le virtù che procuransi bene operando (2).
Nota: (2) La signora di Villacerf, ridotta a morire nel fior di sua età per l’imperizia del suo chirurgo, lo consola essa medesima: Io non vi considero, disse ella nel morire, come una persona di cui io sbaglio mi costa la vita, ma come un benefattore che anticipa il mio arrivo in una felice immortalità; e siccome il publico ne potrebbe pensare diversamente, col mio testamento vi ho messo in istato di vivere senza più esercitare la vostra professione. Tale eroica grandezza d’animo è la conseguenza d’una lunga pratica di buone opere. Io aggiungerò un fatto che caratterizza la bontà di cuore delle donne in generale Conrado III Imperatore di Germania, assediando Enrico il superbo duca di Baviera in Weinberg, ed essendo in procinto di prendere la città per assalto, le femine supplicarono l’Imperatore di permettere loro di ritirarsi, e di trasportare quanto potevano; Conrado avendoglielo permesso, fu molto sorpreso di vederle sortire salvando i loro mariti; tale spettacolo intenerì l’Imperatore, e perdonò alla città ed al Duca.
368. Le principali virtù d'una femina non sono quelle che dipendono dalla fortuna.
369. Sempre di gran casato spacciansi le donne che vengono di lontan paese.
370. Giovine e straniera due cose sono che gran privilegi danno al sesso.
371. Rigorose nelle pretensioni di buona nascita, e facili nel mal costume spesso son le forestiere.
372. Notti aggradevole e giorni tristi procuraci le donne di gran mondo.
373. È donna debole quella a cui si rimprovera un difetto ch'ella rimprovera a sé stessa.
374. Femina che arrossisce col marito, non arrossisce coll’amante.
375. Più col disprezzo che colla publicità la mala moglie va castigata.
376. La moglie se scapestrata diviene non è che per la balordaggine del marito (1).
Nota: (1) ….. ove gli uomini son buoni Specchio voi siete d’ogni nobil arte; Ove pessimi son, Dio vel perdoni, Se tristarelle alquanto riuscite; Colpa ognor di chi affibbiasi i calzoni. Dovunque i maschi van, voi pur seguite. Alfieri, sat. XVI.
377. Sentimenti di virtù si nell’uomo che nella femina provengono da perfetta educazione.
378. Tattica di tutte le virtù è la buona educazione.
379. Il vero studio è quello della vita umana.
380. Chi sa meglio sopportare i beni ed i mali della vita è il meglio educato.
381. La felicità d’una nazione dipende dall'educazione de’ cittadini.
382. Mallevadoria della felicità dello Statò è la buona educazione.
383. La sorte degli Stati liberi dipende dall’educazione della gioventù.
384. Formare gli uomini per la patria molto più che per se stessi deve l’educazione.
385. L’utilità publica al ben particolare sempr’é preferibile.
386. La felicità di tutti più che a quella d’un solo aver si deve in vista nell'educazione.
387. L'arte di formare gli nomini è la prima di tutte, come la più onorevole.
388. Tutto è bene al sortire dalle mani dell'Autore d'ogni cosa.
389. Tutto degenera fra le mani dell'uomo.
390. Lo sviluppo interno delle nostre facoltà è l'educazione della natura.
391. Mente regolata, e corpo sano sono i due cardini d'una buona educazione.
392. Procurare al corpo la forza che debbe avere è il primo oggetto nell'educazione.
393. Insinuare nell'animo la perfezione di cui è capace è l'oggetto secondo nell’educazione.
394. Maggiormente il corpo è debole, maggiormente comanda.
395. Più il corpo è forte più ubbidisce.
396. Le passioni sensuali alloggiano nei corpi effeminati.
397. Un corpo debole sempre indebolisce l’anima.
398. La debolezza è il sol difetto che nell'educazione non si può correggere.
399. Chi ha il corpo debole e mal sano difficilmente può fare gran progressi nella virtù (1).
Nota: (1) La parola virtù nella sua origine non significava che forza o vigore; in tale significalo Omero (Iliade XV, 642) disse: la virtù d’un cavallo; e si dice tuttavia come a tempi di Tucidide (lib. I, cap. II): la virtù d’un terreno; al giorno d'oggi la parola virtù esprime le qualità dello spirito, e più sovente quelle del cuore.
400. Chi è sano di spirito e di corpo non ha più gran cosa a desiderare.
401. La debolezza in molte persone non è che il tristo frutto d’una pessima educazione.
402. Per render l’animo forte ai figli bisogna render loro duri i muscoli.
403. La debolezza nell’uomo nasce dall’ineguaglianza che trovasi tra le sue forze ed i suol desiderj.
404. Sono le passioni che rendono l’uomo debole.
405. Per contentare le passioni bisogna avere maggiori forze che non ce ne diede la natura.
406. Quando si diminuiscono i desideri, si aumentano le forze.
407. Chi può più che non desidera è un essere veramente fortissimo.
408. La forza dell’animo come quella del corpo è il frutto della temperanza.
409. L’educazione de’ figli debb’essere ne’ genitori il primo impegno.
410. Per debito e per interesse sono obbligati i genitori a ben educare i figli (1).
Nota: (1) .... Impunemente il nome Non si porta di padre, e presto o tardi Chi ne manca al dover si pente, e piange. Monti, Aristod., atto IV.
411. La migliore eredità che un padre lasciar possa consister dee nelle ottime qualità dell’animo.
412. La virtù de' genitori non sempre col sangue passa ne’ figliuoli.
413. L'uomo è la sola creatura che abbisogni di educazione.
414. Il fanciullo non può formarsi uomo che per l'educazione.
415. L'uomo non ha altro merito se non quello che l'educazione gli presta.
416. L'uomo nasce privo di ragione, altri coll'educazione far Io debbono ragionevole (2).
Nota: (2) Cadrà la casa, se fondamenti Alla mole non ha corrispondenti. Cent, Piacent. V, 5.
417. La prima educazione che prestasi ai figli è la più interessante.
418. La prima educazione incontestabilmente appartiene alle madri.
419. L'uomo comincia ad istruirsi cominciando a vivere.
420. Il primo precettore dell'uomo debb’essere la nutrice (1).
Nota: (1) Fra gli antichi la parola educazione avea tutt’altro senso che fra di noi, e significava nutrimento. In Ammiano Marcellino leggesi: educit obstetrix, educat nutrix, instituit paedagogus, docet magister.
421. Il nutrimento destinato dalla natura pel bambino è il latte della madre.
422. Sempre è rispettabile quella madre che allatta i proprj figli.
423. La dignità di madre e di nutrice conserva sempre sopra il marito il potere di sposa (2).
Nota: (2) Femina cum senuit, retinet connubia partu, Uxorisque decus matris reverentia pensat. Claudianos.
424. Eguale rapporto esiste fra il temperamento della madre e quello del figlio.
425. Il figlio deve amate sua madre prima di saper che lo deve.
426. Il formare il cuore de’ figli è la più nobile occupazione d'una madre.
427. Le prime istruzioni, che formano il buon cuore de’ figli, debbonsi dalle madri.
428. La prima coltura decide della sorte delle giovani piante.
429. Giovani d’indole buona diventano cattivi per mala educazione (3).
Nota: (3) Se oltre al primo gradino il piede stendi, A precipizio cadi, e non discendi. Cent, Piacent., III, 85.
430. Si accomodano le piante colla coltivazione, ed i figli coll’educazione.
431. Finché la pianta è tenera bisogna piegarla (1).
Nota: (1) Dum faciles animi juvenum, dum mobilis aetas, Instrue.
432. L’impressione che i fanciulli ricevono nella tenera età non mai si scancella.
433. Le minime impressioni che pigliansi nella più tenera età pegni sono di lunga durata.
434. L’educazione dei figli è un affare oltremodo delicato e difficile (2).
Nota: (2) Adolescentiae recta institutio est publicorum negotiorum omnium maxime serium - Plato, lib. VI, de Leg.
435. L’oggetto principale nell’educazione è di rendere un figlio alto ad essere educato.
436. Figlio ben educato dee praticare la virtù se non per forza almeno per abitudine.
437. L’educazione non è che abitudine, come la natura la quale è una continua abitudine.
438. I soli fanciulli educar si possono, non mai gli adulti (3).
Nota: (3) Puoi ben drizzare il tenero virgulto, Ma l’albor non potrai già fatto adulto. Cent. Piacent. VI, 22.
439. L'educazione consiste nel domare la rozzezza.
440. Il miglior talento, se coltivato non è, diviene stupidezza (1).
Nota: (1) Neglectis urenda filix innascitur agris. Horat. Lib. I, Sat. III.
441. La buona educazione sempre coltivar dee le buone disposizioni nei figli.
442. Le buone disposizioni unite all’educazione procurano sempre qualità conmmendevoli.
443. Siccome la vera nutrice è la madre, il vero precettore debb’essere il padre.
444. Chi non è padre non pretenda d’istruire un fanciullo.
445. È meglio essere educato da un padre giudizioso e poco letterato, che dal più abile maestro (2).
Nota: (2) D’ogni altro affetto è quel di padre il primo. Alfieri.
446. Nell’educazione lo zelo vale meglio che il talento.
447. Lo zelo nel padre supplisce meglio al talento del maestro, che il talento allo zelo.
448. Il primo dovere d’un padre debb'essere l’educazione dei figli (3).
Nota: (3) Omnis in Ascanio cari stat cura parentis. Virg. Aeneid. I, 646.
449. Nella sollecitudine de’ padri sta la virtù de’ figliuoli.
450. Nella saviezza de' figliuoli sta la consolazione de’ padri (1).
Nota: (1) ….. dolce premio alla virtù d’un padre È de’ figli l’amore. Metast. Antigono, Licenza. Filius sapiens laetifìcat patrem, filius vero stultus moestitia est matris suae. — Prov. X, I.
451. I figli dei grandi uomini non sono sempre gli eredi delle loro virtù e dei loro talenti.
452. Come i funghi sono i figli, non tutti egualmente buoni.
453. Solleciti ed officiosi padri ringentiliscono le famiglie (2).
Nota: (2) Il più gradito fregio Sempre d’un padre È la virtù de’ figli. Metast.
454. Miglior retaggio non si può lasciare ai figli quant’un buon nome da adornarsi, e dei buoni esempi da imitarsi.
455. Ai figli non si debbono lasciare grandi ricchezze, ma bensì molte virtù (3).
Nota: (3) È una disgrazia l’essere ben nato Per quel giovin che fu mal educato. Cent. Piacent, IV, 22.
456. Chi non può o non vuole adempiere ai doveri di padre, non ha diritto di divenirlo.
457. Sempre spregevole è quel padre che i proprj figli non seppe educare (1).
Nota: (1) Non accettare progetti ne' consigli Da chi educar non seppe i proprj figli. Cent. Piacent. II, 3.
458. Un padre quando genera ed alimenta i suoi figli non fa che la mela del suo dovere.
459. Ogni uomo deve altri uomini alla sua specie ed alla patria dei cittadini.
460. I figli sono comunemente ciò che sono i lor parenti (2).
Nota: (2) Natura sequitur semina quisque sua.
461. Il ramo al tronco s'assomiglia, cioè da cattivo padre non mai buon figlio.
462. Dalle aquile non nascono colombe (3).
Nota: (3) Non dà gli stessi frutti ogni terreno; Altri pesc ha il Danubio, altri ne ha il Reno. Cent, Piacent. IX, 71.
463. I padri sono i modelli che il rispetto e l’abitudine dispongono ad imitare.
464. Chi non è padre non deve parlare dei doveri e delle premure di un padre.
465. Il precettore venale non è mai un maestro; egli è sempre un servitore.
466. Un servo non può formare che un altro servo, non mai istruire un uomo libero.
467. Per educare dei cittadini v'abbisognano uomini che siano liberi come essi.
468. Non basta che il precettore goda il diritto di cittadino, bisogna che ami a farlo amare.
469. I figli si formano sul modello de’ precettori (1).
Nota: (1) In tal modo il re Lioncino negli animali parlanti fu sin che visse un imbecille, non avendo avuto che l’Asino per precettore. Ma in carne Asino egli era, in ossa e in peli E Asino far più che Asino non puote, Che non cangia natura l’non s’espelle, E torna sempre all’abitudin note; Né l’Asin può communicare altrui Che le tendenze e i sentimenti sui. Casti, VIII, 65.
470. Non v'è che un uomo dabbene, il quale sappia l'arte di formarne degli altri (2).
Nota: (2) ….. L’aquila insegna Alla tenera prole Fin dal nido a fissar gli sguardi al sole. Metast. Vero Omag.
471. Il governare ben sé stesso mostra di sapere anche come debbano essere regolati gli altri.
472. Chi non sa governar sé stesso non governi gli altri.
473. Chi vuol corregger gli albi dia buon esempio di sé stesso.
474. Aconito e cicuta da salutifera radice nascer non si vide mai.
475. Se un cieco guida un altro, ambedue cadono nella fossa.
476. Il precettore è eguale a! padre; questi ha fatto un uomo, quegli un cittadino (1).
Nota: (1) Natura tu illi pater es, consiliis ego. Terent. Adelphis, act. I.
477. L'educazione deve rendere il fanciullo allo a tutte le condizioni umane.
478. La natura non pose verno istinto nell’uomo.
479. L’intenzione della natura è che il corpo si fortifichi prima che lo spirito si eserciti.
480. Il sonno è il più eccellente cordiale che la natura ha proposto all’uomo.
481. Il sonno è quasi sempre tranquillo noi fanciulli, perché poche sono le cause che lo sturbano.
482. Ai figli abbisogna mollo sonno, perché fanno molto moto; l’uno serve di correttivo all’altro.
483. È oggetto di educazione il non far giacere i figli sopra Ietti morbidi.
484. Ad essere mal coricati debbono sempre essere accostumati i figli.
485. II costume d’essere duramente coricato è il mezzo di non trovare mai cattivo letto.
486. Chi è accostumato a dormire sulle tavole, trova da per tutto un buon letto.
487. Non vi è cattivo Ietto per colui che nel coricarsi si addormenta.
488. Il miglior letto è quello che procura il miglior sonno (1).
Nota: (1) Il contadino nel coltivar la terra, il soldato nel maneggiar il fucile, il marinajo nello spiegar le vele muovono i loro materazzi.
489. Il miglior riposo per l’uomo è dopo aver finito il lavoro.
490. Meno si donne, più il sonno riesce dolce e fortifica.
491. Non solo il dormire a lungo poco ci fortifica, ma ci leva anche le forze (2).
Nota: (2) Il dormire lungo tempo, e lo starsi a letto a poltroneggiare, recano sempre qualche danno alla salute, o per lo meno gettano in quei mali stessi che cagiona l’eccesso del riposo; se v’ha alcuno che potesse darsi in preda al lungo sonno, sarebbe appunto colui che giornalmente fa una vita attiva, ed un esercizio faticoso; ma non sono questi che dormono assai, sono anzi coloro che menano una vita molto sedentaria.
492. La vita dura moltiplica le dolci sensazioni, la vita molte ne prepara un’in finita di dispiacevoli.
493. L'uomo che deve esercitare la virtù non deve conoscere la mollezza.
494. Le forze della natura si usano per la premura stessa che si prende per conservarle.
495. È una continua malattia il conservare la sanità con un troppo gran regime.
496. Basta lasciar fare molto moto ai figli per procurar loro una robusta complessione.
497. L’alimento de’ fanciulli debb’essere sempre comune e semplicemente condito (1).
Nota: (1) Ai fanciulli non si darà mai carne se non dopo li cinque anni, ed anche in allora non si accorderà salse od intingoli; una delle prove che il gusto delle carni non è naturale ai fanciulli è la loro indifferenza per simile alimento, e la preferenza che danno ai vegetali, ai frutti, al latte ed alla pasticceria.
498. Nei fanciulli il mangiar molta carne inferocisce il loro cavaliere.
499. Generalmente crudeli e feroci sono i gran mangiatori di carne (2).
Nota: (2) Omero dipinge i Ciclopi, mangiatori di carne, uomini orridi e crudeli; i Lotofagi al contrario, i quali non vivevano che di frutti, li descrive come un popolo sì amabile, che appena si era abitato qualche tempo con loro, il viaggiatore scordavasi persino la propria patria per vivere con essi. Si può fare anch’oggidì il paragone trai feroci popoli della Tartari aedi i placidi abitanti dell’Indostan.
500. Si consideri nel vitto quanto la natura domanda, non già quanto vuole la cupidigia.
501. Mangiare per vivere dee l'uomo, non già vivere per mangiare.
502. Il cibo sobrio mantiene la salute, l’allegria ed anche la ragione.
503. Ben misero è l’uomo che fonda la felicità sua nel ventre.
504. Un cibo parco previene o distrugge le malattie alle quali andiamo soggetti.
505. Il desiderio di satollarsi è manifesto segno d'imperfezione.
506. Di satollarsi non è mai la voglia d’uom ragionevole.
507. L’intemperanza produce il tedio ed il dolore, e dirittamente ci guida al sepolcro.
508. La veglia, la colica ed i dolori, sono gli effetti dell’intemperanza.
509. La sobrietà ed il lavoro sono i veri due medici dell'uomo.
510. Quello che vive moderatamente passa una notte tranquilla.
511. II lavoro aguzza l’appetito, e la sobrietà impedisce d’abusarne.
512. La sobrietà in alcuni e l'amore della sanità, ed in altri l’impotenza di mangiar molto.
513. La temperanza è la madre della sanità.
514. La forza dell’anima come quella del corpo è frutto della temperanza.
515. Non v’ha per l’uomo medico più sicuro che il proprio appetito.
516. Rare volle deesi dar vino puro ai fanciulli, e liquori forti non mai.
517. La sobrietà nel bere è la salute del corpo.
518. Il vino è fatto per fortificare l'uomo e non per inebriarlo.
519. L’ubriachezza è una volontaria follia, l'uom savio sempre la schiva.
520. L'ubriachezza altera le fattezze ed accorcia la vita (1).
Nota: (1) Vino forma perit; vino corrumpitur aetas. Prop. lib. II, el. 33.
521. Ubriachezza ispira audacia, ma toglie i sensi e le forze.
522. Si guasta la complessione de' fanciulli colla troppa compiacenza a contentare i loro gusti.
523. I figli prediletti hanno molti nomi (2).
Nota: (2) I Tedeschi dicono Licklain der haben vielenahmen.
524. La soverchia tenerezza de' genitori è sovente la rovina de’ figli (3).
Nota: (3) Il cavallo vuol freno. Prov, triv. I vizj che col latte il bambin sugge Virtù corregge sì, ma non distrugge. Cent, Piacent, I, 22.
525. Spesso piangono i figli per colpa de' padri.
526. Giammai deonsi accontentare i desiderj capricciosi de' fanciulli.
527. Si dia ai fanciulli tutto quanto è necessario, non già tutto quante desiderano.
528. Il fanciullo si rende importuno quando trova il suo conto ad esserlo.
529. Un fanciullo non ha che due affetti ben decisi: la gioja ed il dolore.
530. Un fanciullo o ride o piange; il frammezzo è nullo per lui.
531. Quando i fanciulli piangono per avere qualche cosa, appunto non devonsi soddisfare.
532. Un figlio non domanderà mai due volte una stessa cosa se la prima è sempre irrevocabile.
533. Negata una volta una cosa, non mai accordarla si dovrà al fanciullo per quanto pianga o strida.
534. Le prime lamenta ed i primi pianti dei figli non sono che preghiere.
535. I pianti dei figli diventano ben tosto ordini quando si vedono ubbiditi.
536. I figli cominciano col farsi assisterete finiscono col farsi servire.
537. Il far tacere un figlio con regali è Io stesso che eccitarlo a piangere davvantaggio per averne altri.
538. Il mezzo di guarire l’abitudine di piangere in un figlio è di farvi veruna attenzione.
539. La caparbietà nei figli è il difetto che difficilmente si corregge.
540. Il fanciullo deve nulla ottenere perché lo domanda, ma soltanto perché n'ha bisogno.
541. Il fanciullo finché trovasi in tenera età nulla far dee per ubbidienza, ma per bisogno.
542. Ai fanciulli negar non si denno i piccoli trattenimenti ed i giuochi loro convenevoli.
543. Al fanciullo non permettasi il tenere presso di sé i suoi trastulli, né averne di più sorta (1).
Nota: (1) E proprietà de’ fanciulli il prendere cose inanimate tra le mani e trastullandosi favellare con quelle come se fossero persone vive; onde allontanarli da ciò gli si toglieranno sovente. Montaigne poi non soffriva che si comperasse a’ suoi figli il menomo trastullo, per metteva però che se ne facessero da sé stessi, o almeno insegnava loro a farne.
544. Giuocheranno ovunque i fanciulli senza badare né al sole né al vento.
545. Si accostumeranno i figli al caldo come al freddo; chè l’uno e l’altro debbonsi disprezzare (2).
Nota: (2) Tutto al giovenil bollore pare lieve. Alfieri.
546. È nei primi anni della vita che l’aria ed il moto agiscono sulla costituzione dei figli (3).
Nota: (3) Previene il moto assai mali, o guarisce; E sol l’acqua che stagna imputridisce. Cent, Piacent, IV, 19.
547. Le prime sensazioni de’ fanciulli sono puramente affettive; non conoscono che piacere o dolore.
548. Il fanciullo è felice quando gode del tempo senza esserne schiavo.
549. I figli profittano sempre del tempo ab benché non ne conoscano il pregio.
550. I fanciulli sono sempre o imbecilli o storditi.
551. L'adolescenza è quella felice età in cui altra feliciti non si conosce che il necessario e la libertà.
552. Passato il tempo della gioventù altro non resta all'uomo che fastidj, dolori e la morte (1).
Nota: (1) O primavera….. Tu torni ben, m seco Non tornano i sereni E fortunati di. Guarini, Pastor fido, atto III, sc. I.
553. La libertà, f allegria e la vivacità sono sintomi d'on animo sensibile e schietto.
554. La sincerità e la sensibilità nei fanciulli sono qualità da cui pònsi trarre grandi profitti.
555. La veracità forma la base e l’essenza del carattere de fanciulli.
556. L'uomo che mentisce non ha alcun carattere.
557. Tattica di tutte le virtù in un giovine è ubbidienza.
558. A voler comandare bisogna prima saper ubbidire (1).
Nota: (1) Sarà buon duce chi fu buon soldato E pria che comandar fu comandato. Cent. Piacent. XII, 77.
559. L’ubbidienza nei figli deve darsi la mano colla veracità.
560. Nell’infanzia tutt’è semplicità, perché tutto è verità.
561. Sommo debb’essere nei figli l’orrore per la menzogna.
562. La menzogna è madre di molti vizj; guai ai figli che ne fanno uso.
563. La scusa ne' fanciulli è un grado che conduce alla bugia, né debbesi tollerare.
564. L’adolescenza è il regno dell’ipocrisia, naturai Conseguenza della soggezione (2).
Nota: (2) Qui scire posses, aut ingenium noscere, Dum aetas, metus, magister prohibenant? Terent. Andr., act. I.
565. Quando si mostra un aspetto diffidente si fa nascere nei figli il desiderio di mentire.
566. Fra i fanciulli debb’essere bandito lo spionaggio, altrimenti diverranno ipocriti, o falsi amici.
567. Il precettore non dee aver prevenzione alcuna, acciò l’innocente non sia oppresso né trionfi il colpevole.
568. L'educazione dell'animo è la base di tutte le virtù.
569. La virtù diventa naturale all'uomo quando per tempo si comincia a praticarla.
570. Formare il cuore d'un fanciullo è il principale oggetto nell'educazione.
571. Gli uomini sono quali si vuole che più siano nella loro gioventù.
572. Le prime impressioni sono quelle che hanno maggior durata.
573. Chi comincia a battere una carriera tosto o tardi vi ritorna.
574. L'albero quand'ha preso cattiva piega difficilemnte può raddrizzarsi (1).
Nota: (1) L’alber ch'è torto, cade a terra e scende Alla sinistra, se a sinistra pende. Cent. Piacent. VII, 81.
575. Un vaso ritiene lungamente l'odore del primo liquore che vi si è versato.
576. Ha forza tal l'abito cattivo, che d’un uom libero forma uno schiavo.
577. Colla coltura del corpo bisogna formare il fanciullo anche per la società.
578. L'educazione debb'essere assai per tempo applicata, altrimenti sarà difficile il cangiar l'uomo.
579. L'educazione publica è da preferirsi alla domestica.
580. L'educazione domestica produce non solo dei difetti di famiglia, ma li trasmette talora.
581. Per mezzo dell’educazione publica si ottiene il miglior modello del futuro cittadino.
582. La vera educazione consiste più in esercizj che in precetti.
583. Per esser saggio bisogna prima conoscere chi non lo è.
584. Il fanciullo dee vivere coi pazzi piuttosto che coi sapienti.
585. È bene conoscere prima le pazzie degli uomini, mentre è ad esse che dì continuo deesi star vicino.
586. I fanciulli devono ben operare per dovere, non per necessità.
587. Chi non opera bene per dovere, non farà mai alcun bene coll’asprezza e colla forza.
588. Ciò che non si ottiene colla ragione non si ha nemmeno colla forza.
589. Il carattere morale debb’essere formato piuttosto colle massime che colle pene e coi castighi.
590. I fanciulli devono operare per abitudine non per forza.
591. La natura debb’essere doma, non mai soffocata.
592. L'educazione rigida o forzata non sarà mai vera abitudine.
593. Non si prende mai gusto alla prigione quantunque vi si dimori da lungo tempo.
594. L'abitudine di rimanere in prigione lungi di diminuirne l'avversione l'aumenta.
595. I figli vogliono essere condotti sempre con dolcezza (1).
Nota: (1) Se il buon carezzi, sempre più migliora; Batti il cattivo, e sempre si peggiora. Cent. Piacent. X, 41.
596. Coll’abitudine i fanciulli seguiranno sempre i precetti malgrado loro (2).
Nota: (2) L’usanza della culla difficilmente s’annulla – Prov. Triv.
597. Ben di rado il fanciullo debb'essere raffrenalo colla forza.
598. Per le lezioni di virtù il timore è un cattivo maestro (3).
Nota: (3) Infidelis recti magister est metus. – Plin. Panegir. Trajani.
599. La forza impiegata fuori di tempo coi fanciulli li rende vili ed ostinati (4).
Nota: (4) Gran bene fatto avrebbe a prima e a terza, Ma a sesta e nona inutile è la sferza. Cent. Piacent. IV, 100.
600. Debbonsi contrariare i figli ne’ loro gusti senza far loro conoscere la dipendenza.
601. Si riprendano i figli quando fallano, di rado però si battano.
602. II percuotere un fanciullo è uno dei peggiori modi per ben educarlo (1).
Nota: (1) Che non si ottien con generosi modi Da generoso core? Alfieri, Filippo, atto II
603. Se i rimproveri non fanno impressione nell’animo de’ fanciulli, inutili diventano le percosse.
604. È meglio, in vece di percosse, mostrare ai figli un esteriore disgustato (2).
Nota: (2) Dolce è l’ira di un padre; eppur, quel figlio Può non tremarne? Id. ivi.
605. Sovente le percosse producon ver un bene e cagionano molto male.
606. Non si deve ricorrere al castigo se non dopo aver tentate tutte le vie della dolcezza (3).
Nota: (3) Ut ad urendum et secandum medici, sic nos ad hoc genus castigandi raro invitique veniamus, nec unquam, nisi necessario, sì nulla alia reperiatur medicina. – Cic. De offic. Lib. I, cap. 38.
607. Si tenga lontano il vizio nei figli prima coll’onore, indi colla verga o col timore.
608. La vergogna piuttosto che le battiture deve far provare ai figli la maggior parte della pena.
609. Non mai un figlio sarà castigato per alcun male commesso scherzando o per inavvertenza.
610. Troppa severità e troppa dolcezza sono i due eccessi da temersi nell'educazione.
611. Nell'educazione si deve distinguere un fatto momentaneo da uno abituale.
612. Il solo fatto abituale debb’essere punito.
613. Nel punire i figli bisogna aver sempre l’animo tranquillo.
614. Un medico allorché dà un rimedio all'ammalato non si adira.
615. Il castigo non deve mai essere proporzionato al delitto; il padre non è un manigoldo.
616. II cuor dell’uomo è formato di rupe; tenero però è sempre il cuor del padre.
617. Il dover del padre è di correggere i difetti de’ suoi figli; l’inclinazione della madre è di scusarli.
618. Il padre deve correggere i figli senza rigore, e la madre compatirli senza troppa cura (1).
Nota: (1) Chi sempre la suo figlio perdina È causa che non faccia cosa buona. Prov. Triv. Colui che i ifigli troppo accarezza Difficil è che senti allegrezza. Prov. Triv.
619. Il tempo del fatto non è quello della correzione.
620. Finché il figlio è in furore inutili sono le riprensioni.
621. Calmata nei figli la passione gioveranno anche i consigli (1).
Nota: (1) Cum furor in causa est, currenti cede furori. Ovid. Remed. Amoris. Juvenilis ardor impetu primo furit Languescit inde facile. Id.
622. Nel dar parere ai figli allontanali da ogni autorità, e parlagli come amico.
623. Il fanciullo debb'essere punito de' suoi fatti senz’aggiungere l'insulto alla correzione.
624. II timore non va mai disgiunto dalla vergogna e dal rossore.
625. Ove alberga il timore trovasi la vergogna ed il rossore.
626. II rossore è il vero segno d’un amico sincero e sensibile.
627. Non può arrossire se non chi sente il rimorso od il ridicolo.
628. Il rimorso ed il ridicolo sono due grandi persecutori del vizio, e due principj di virtù.
629. Quantunque il pudore sia naturale alla specie umana, naturalmente i fanciulli non ne hanno.
630. Chi rosseggia è di già colpevole, la vera innocenza ha vergogna di niente.
631. II giovine non conosce mai né vergogna né onore se non quando ne sente gli stimoli.
632. La vergogna non può aver luogo prima che l’idea dell’onore non abbia gettate profonde radici.
633. Una vergogna sciocca in un giovine è segno di poca educazione.
634. La modestia nei modi d'agire abbellisce sempre la tenera età.
635. È meglio che la virtù sia modesta; un’aria scomposta si converte d'ordinario in impertinenza.
636. È altretanto spiacevole un vecchio vergognoso quanto un giovine sfacciato.
637. La timidità nei figli infievolisce sempre il loro cuore,
638. L'ozio rende timida e pigra la gioventù quindi viziosa.
639. Un giovine avvilito nell’ozio, è capace d’ogni sorta di delitti (1).
Nota: (1) L’ozio è uno di que’ vizj che dovrebbero essere punti di morte; il legislatore Dracone faceva nessuna differenza dagli errori più lievi ai delitti più atroci, mentre non trovò nessun castigo più mite per i primi, né più grave per i secondi; forse pensava che nella strada del delitto i primi passi guidano a precipizj maggiori.
640. La dissipazione è la nemica d'ogni educazione.
641. Onde guarentire i fanciulli dai vizj bisogna conoscere la loro passione dominante.
642. Si frenino le passioni di un fanciullo, è gli si formerà il carattere buono.
643. Non è facil cosa rilevare il carattere di un giovane quando i maestri non ne permettono Io sviluppo.
644. Bisogna conoscere il talento dei fanciulli, prima d'insegnar loro la menoma scienza.
645. Un buon senso, la ragione, la moral pratica è quanto deve precedere nel l'educazione.
646. Un fanciullo che legge non fa che leggere; egli non s’istruisce, impara delle parole.
647. L’ignoranza è preferibile ad una moltitudine di cognizioni ammassate nello spirito de’ fanciulli.
648. Non si deve insegnare ai fanciulli che quanto devono fare essendo adulti (1).
Nota: (1) Ogni diversa etade Vuol ssime diverse; Altro ai fanciulli, Altro agli adulti È d’insegnar permesso. Metastasio.
649. Si deve abituare il figlio a non agire per impulsioni mecaniche, ma per principi.
650. Si deve rappresentare ai fanciulli le cose in modo tale che le facciano per inclinazione.
651. Durante l'istruzione si addestrerà il fanciullo a poco a poco ad unire il sapere ed il conoscere.
652. Fra tutte le qualità dello spirito l’imaginazione è la prima a coltivarsi.
653. Non è che l’imaginazione che ci faccia sentire i mali altrui.
654. È a forza di veder soffrire o morire che si diventa senza compassione, ed anche inumano.
655. I fanciulli conosceranno le miserie dei loro simili, ma non ne saranno troppo sovente i testimonj.
656. Non si conosce il bene se prima non si prova il male.
657. Il mondo è il vero codice degli uomini; quando vi leggon male è loro fatto.
658. Il libro del mondo ad ogni pagina un titolo presenta di virtù a seguire e di vizj a fuggire.
659. Nei vizj non abita che pentimento e dolore; la sola virtù è sempre lieta e contenta.
66O. Non v'ha che una scienza ad insegnare ai figli, quella dei doveri dell’uomo.
661. Nella vita umana e necessario studiare più gli uomini che i libri.
662. Nella società umana il più gran libro per imparare è l’uomo.
663. Dando al giovane buone istruzioni si verrà a formare un vecchio.
664. Il giovine sarà sottomesso all’educazione sin al momento in cui dalla natura è destinato a reggersi da sé.
665. La conoscenza delle cose è buona, quella degli uomini è migliore.
666. Il più grand’istrumento è l’uomo, il più saggio è chi se ne serve meglio.
667. Le cognizioni dipendono dall’educazione, questa da quelle.
668. L'uomo è naturalmente buono, ma la società lo corrompe e lo perverte.
669. Per ben conoscere gli uomini bisogna prima vederli agire.
670. Perfettamente si conosce l'uomo, paragonando ciò che fa a quanto dice.
671. Nell’uomo si vede sempre ciò che è anzi che ciò che vuol sembrare.
672. L’uomo più si maschera, maggiormente si conosce.
673. Non mai un giovine conoscerà gli uomini se non conoscerà le loro virtù ed i loro vizj.
674. Insegna prima ai figli il modo d’esser saggi, poi fa loro vedere ove gli altri sono pazzi.
675. Non si conosce ben l'uomo, che quando in certo modo è divenuto padrone di sé stesso.
676. L'uomo si fa conoscere dai compagni che frequenta (1).
Nota: (1) Noscitur ex socio qui non cognoscitur ex se. — Plutar.
677. Un giovine cede maggiormente alle altrui inclinazioni che alle proprie.
678. I buoni esempi portano l'uomo alla virtù, come i cattivi al vizio.
679. L’esempio fa più libertini che un focoso temperamento (2).
Nota: (2) Una pecora rognosa ne infetta cento. — Prov. Triv.
680. Per conservare ai fanciulli la loro innocenza debbono tutti coloro che li circondano rispettarla ed amarla.
681. Un giovine d'ordinario prende regola dagli occhi, vive come vede vivere (3).
Nota: (3) Chi va col zoppo impara a zoppicane, E chi col ladro addestrasi, a rubare. Cent. Piacent. IX, 54.
682. La buona strada è additala sempre dal buon esempio.
683. Felice cui il buon esempio serve di regola ed il cattivo di avvertenza.
684. Maggior effetto producon gli esempi che le parole (1).
Nota: (1) longum iter per praecepta, breve et efficax per exempla. – Seneca. Exempli non legibus vivendum. – Seneca. De’ precetti è la via lunga e intralciata; Degli esempi è la via breve e spianata. Cent. Piacent. II, 86.
685. Quando la virtù è onorata germoglia in tutt’i cuori.
686. Felice è colui che il dolore degli altri ammaestra a vivere senza dolori (2).
Nota: (2)….. felix, quicuntque dolore Alterius disces posse carere tuo. Tibul. Lib. III, el. 6.
687. Non sono né i sensi né il temperamento che fanno deviare la gioventù, è l’esempio.
688. La natura somministra i primi oggetti, e le inclinazioni somministrano il temperamento.
689. Chi non si forma un animo retto, non troverà mai il retto sentiero che con duce alla felicità.
690. Il conservare un ardore sempre eguale per il bene è il sicuro mezzo per essere felice.
691. La molla de costumi è la più potente per indurre la gioventù a seguire fa virtù.
692. I costumi de’ fanciulli dipendono unicamente dal’esempio de’ precettori (1).
Nota: (1) Il Pellegrino Per la foresta, Finché sta desta L’amica luce Che lo conduce, Dal buon cammino Non toglie il piè. Ma quando notte Suo vel distende Perduto il raggio, Se al viaggio attende, Senza consiglio Dietro il periglio Corre da sé. Zeno, Don Chisciotteì at. IV.
693. L'inclinazione della natura è di renderci perfetti.
694. La virtù non è tanto l'effetto dell’educazione quanto è dono del Cielo.
695. Non bastano le scienze nell’uomo, vi vogliono anche le virtù.
696. Se toma bene l’esser dotto, torna meglio l’esser virtuoso.
697. Non avvi che la virtù la quale formi buoni cittadini.
698. Il fanciullo non dee esser spinto dal solo sentimento, ma dall’idea del dovere.
699. Fare qualche cosa per dovere è ubidire alla ragione.
700. La prima età dell'uomo è il tempo delle sue esperienze, le sue passioni ne sono gli stromenti.
701. L'applicazione nella gioventù fissa Io spirito, imprigiona l’imaginazione e fa nascere i talenti.
702. Con pochi precetti uno si fa dolio, un altro con molti rimane scimunito.
703. Figlio dotto fa la consolazione de’ parenti, l'ignorante li rattrista (1).
Nota: (1) Filius sapiens laelificat patrem; filius vero stultus moestitia est matris suae. — Prov. X, 5.
704. Lo studio, s'è moderato, fortifica Io spirito, e Io abbatte s'è eccessivo.
705. L'Ingegno, non essendo accompagnato dalla facoltà del giudizio, non produce che sciocchezze.
706. La facoltà del giudizio è l’applicazione del generale al particolare.
707. La ragione è la facoltà di comprendere, l'unione tra le generalità e le particolarità.
708. Il fanciullo che vuol far da dotto diventa impertinente.
709. Chi coglie acerbo il senno, maturo ha d'ignoranza il frutto.
710. I fanciulli debbon essere istruiti soltanto in quelle cose che convengono all'età.
711. I precetti sono come le medicine, inutili quando l’infermità vince la resistenza della natura (1).
Nota: (1) Che giova esperto medico ed accurato, Se indocile è l’infermo edo stinato. Cent. Piacent. VII, 46.
712. Nella vita civile il buon senso fa gli uomini, Io spirito non produce che broglioni.
713. La maggior parte dei giovani credono essere naturali, mentre non sono che incivili.
714. L'ultima operazione dell’educazione è la formazione del carattere.
715. Il carattere consiste nel fermo proposito di voler fare una cosa, e poi di eseguirla.
716. Nell’ordine sociale, ove tutt’i posti sono destinati, ciascuno debb'essere allevato pel suo.
717. Se taluni non vanno tant'oltre nel bene come potrebbero, ciò nasce dal vizio della prima istruzione.
718. Il giovine debb'essere sempre di buon umore.
719. La letizia del cuore nasce quando non si ha cosa alcuna a rimproverarsi.
720. La vita trista e meschina de’ padri è la prima sorgente dei disordini de’ figli.
721. L'aspetto amichevole d’un padre o precettore lusinga sempre un giovanetto (1).
Nota: (1) Quando fia giunto a certa età tuo figlio, Che il tratti qual fratello io ti consiglio. Cent. Piacent. VI, 72,
722. Dall’aspetto severo il cuore d’un fanciullo è sempre ferito ed inasprito.
723. Il talento di ammaestrare è che il discepolo si piaccia nell’istruzione.
724. Le lezioni triste non sono buone che ad odiare quelli che le danno e tutto quanto essi dicono*
725. La vera virtù non è feroce; un viso ridente inspira la confidenza.
726. La soggezione diventa un giogo insopportabile, se il precettore non ha cura d'addolcirla.
727. I precetti consister denno nel guarentire ai figli il loro cuore dai vizj, e lo sparito dagli errori.
728. Non bisogna insegnar soltanto il modo d’esser buono, ma altresì quello per non diventar cattivo.
729. Il primo sentimento di cui un giovine è suscettibile è l’amicizia, indi l’amore.
730. Di rado il vizio e prodotto dall’amicizia, ma quasi sempre dall’amore.
731. I traviamenti della gioventù non sono giammai corti (2).
Nota: (2) Periculum in mora.
732. Trascurati i fatti leggieri ne nascono de maggiori.
733. Finché il male è fresco bisogna rimediarvi (1).
Nota: (1) Principiis obsta; sero medicina paratur, Cum mala pper longas convalere moras. Ovid. Remed. Am. La piaga d’oggi, se non è curata, Sarà doman cancrena dichiarata. Cent. Piacent. III, 15.
734. È più facile riaversi da una prima debolezza che da un abito vizioso (2).
Nota: (2) ….. Lo schivar d’esser indotto A cader nella rete è molto meno Malagevole a far che, preso, uscirne E romper di Cupido i forti nodi. Lucrez. Lib. IV, trad. del marchetti.
735. Dalla troppa libertà nei giovani nasce ogni disordine negli adulti (3).
Nota: (3) Regenda masig est fervida adolscentia. – Seneca in Octav.
736. Chi vuol condursi da sé bene spesso si rischia troppo.
737. Un giovine che vuol condursi da sé è un cieco che per guida prende un altro cieco.
738. La gioventù è il vero tempo per formarsi di robusta salute.
739. Non v’è cosa più da temersi quanto l’uso immaturo dei piaceri d'amore (1).
Nota: (1) …. Che non osae tenta Garzon a cui fin dentro l’ossa spande Tutto il suo fuoco il crudo amor? Virg. Georg. III, trad. del Trento.
740. Un corpo snervato in gioventù pronta ha la vecchiezza, ed inferma la propria vita (2).
Nota: (2) Potesse questa massima essere ben impressa nell’animo dei giovani, il fisoco delle future generazioni migliorerebbe colla presente.
741. Da cattivo principio non si ha mai buon fine.
742. Il fondamento d'una vecchiezza felice è una vita moderata nella gioventù.
743. La temperanza e la moderazione nella gioventù è un passaporto per felicemente invecchiare.
744. Senza la salute non si può godere di alcun bene.
745. Gli onori e le ricchezze sono inutili senza la salute.
746. Anche delle più segrete azioni figurar si dee il giovine d'aver il mondo per testimonio.
747. Le azioni in un giovine sempre corrisponder debbono alle avute istruzioni.
748. La civiltà ed urbanità anche cogli inferiori sarà segno di buona educazione.
749. Di tutt’i tempi la civiltà n’è il frutto la famigliarità non mai.
750. Oltre le scienze anche qualch'arte insegnisi ai giovani.
751. Un'arte appresa da giovane di certo patrimonio è parte.
752. Ne' giovani scoprir debbesi a qual arie il chiamino genio o natura.
753. La riflessione di doversi procurare il suo sostentamento arriva tardi nella gioventù.
754. I fanciulli credono sempre di ricever tutto dai loro parenti senz’aver bisogno di doverselo procurare (1).
Nota: (1) Senza quest'istruzione i fanciulli, particolarmente quelli di parenti ricchi, ed i figli dei principi, al pari degli abitanti d’otaiti restano fanciulli per tutta la loro vita.
755. Si ripeta sovente al fanciullo che avvi poco tempo ad esser giovine, e lungo tempo a non esserlo (2).
Nota: (2) ….. Fugge la fiorente etate Da’ miseri mortai ratta qual lampo: Seguon da presso i morbi e la vecchiezza Trista; dell'aspre cure alfin siam preda, E della dura inesorabil morte. Virg. Georg. III, traD. del Trento.
756. Gli anni quando sono trascorsi non sembrano che poche ore.
757. L'universo non è né il soggiorno né l’eredità d’un sol uomo; tuttu egualmente hanno diritto di goderne (1).
Nota: (1) ….. Indarno Suda il geenr uman sempre e s’affanna E fra varj pensier l’età consuma, Sol perch’ei non conosce e non apprezza Punto qual sia dell’aver proprio il fine, E fin là ve’l piacer vero s’estenda. Lucrez. Lib. V, trad. del Marchetti.
758. Il precettore non abbandoni il suo scolaro pria che non gli abbia fatto conoscer bene il mondo.
759. I maschi debbonsi allontanare per qualche tempo dalla casa paterna.
760. Se si può, facciansi viaggiare i figli; in allora l'educazione sarà perfetta.
761. Il mondo è un gran libro; chi non ha veduto che il suo paese, non ha Ietto che un foglio (2).
Nota: (2) Un giovanetto che per la prima volta sortiva da casa, vedendo sulla piazza un maiale, disse: ecco un ratto ben grosso.
762. Chi non uscì mai dal proprio nido, scioccamente crede che il restante del mondo non valga quanto la patria.
763. I viaggi tolgono tutt’i pregiudizi popolari, quelli della religione, della famiglia, dell'educazione.
764. I viaggi spingono il naturale di un giovine verso il suo pendio, e terminano di renderlo buono o cattivo.
765. Chiunque ritorna da lunghi viaggi è ciò che sarà in tutt’il tempo di sua vita (1).
Nota: (1) È bensì vero che ne ritornano più di cattivi che di buoni; ma ciò è perché ne partono in maggior copia de’ più inclinati al male che al bene: i viaggi della gioventù debbono essere ben diretti, altrimenti si possono paragonare al Danubio che, ora cattolico ora protestante, finisce il suo corso coll’essere turco.
766. I giovani mal educati adottano ne' viaggi tutt’i vizj de popoli che frequentano, e né meno una delle loro virtù.
767. Coloro il cui buon naturale è stato ben coltivato; ritornano sempre migliori.
768. Chi viaggia col vero disegno d'istruirsi ritorna più saggio che non ne era partito.
769. La geografia può supplire ai viaggi, ed estende di molto le nostre cognizioni.
770. La geografia ci rende cittadini del mondo, e ci mette in correlazione colle nazioni più remote.
771. Il sistema dell’educazione delle femine debb’esser opposto a quello dei maschi.
772. L'opinione è la tomba della virtù fra gli uomini, ed il suo trono fra le donne (2).
Nota: (2) ….. né men del vero? L’apparenza d’un fallo Evitar noi dobbiam. La gloria nostra È geloso cristallo, è debil canna Ch’ogni aura inchina, ogni respiro appanna. Metast., Zenob., atto I.
773. Nulla è paragonabile ad una donna ben educata.
774. Tutta l'educazione delle femine debb’essere relativa agli uomini.
775. Dalla buona costituzione delle madri di pende quella de’ figli.
776. Dalla cura delle femine dipende la prima educazione degli uomini.
777. Dalle femine dipendono i costumi, le passioni ed i piaceri degli uomini non solo, ma anche la stessa loro felicità.
778. L'ozio e la caparbietà sono i due maggiori difetti delle figlie, e de’ quali di rado guariscono quando li abbian contratti.
779. La figlia è un vetro, sempre è in pericolo.
780. Le figlie debbono essere per tempo vigilanti e laboriose (1), ciò è un dovere attinente al loro sesso.
Nota: (1) Nulla avvi di più interessante della descrizione che fa Virgilio al libro Vili della sua Eneide, della donna laboriosa: ….. Cum femina primum, Cui tolerare colo vitam tenuique Minerva Impositum, cinerem el sopitas suscitat ignes, ccc.
781. L'amore del lavoro è una virtù che mantiene le altre, e non può che onorare le femine anche sul trono.
782. Sempre le figlie saranno assoggettate all’incomodo il più continuo e severo della decenza.
783. Si accostumeranno le figlie alla ritenutezza onde possano poi domare le loro fantasie, e sottomettersi alle altrui volontà (1).
Nota: (1) Alme incaute, che torbide ancora Non provaste l’umane vicende, Ben lo veggo, ti spiace, v’offende Il consiglio d’un labro fedel. Confondete con l’utile il danno; Chi vi regge credete tiranno, Chi vi giova chiamate crudel. Metast., Achilie, otto I.
784. Fra la qualità d'una femina primeggerà la dolcezza.
785. Golia dolcezza che amabilmente persuade, le femine signoreggiano i costumi.
786. Fatta la femina per ubbidire all’uomo, sovente pieno di difetti, imparerà per tempo a soffrire le contrarietà.
787. Imparerà la femina a soffrire anche I’ingiustizia onde talvolta sopportare senza lagnarsi i torti di un marito vizioso.
788. In una femina non trovasi maggior pregio della verecondia (2).
Nota: (2) La verecondia, ossia il pudore, avea in Roma gli onori divini, e certamente n’è sempre stata degna; in quella celebre città essa aveva due tempii, mentre vi erano due Dee adorate sotto questo nome: l’una non era che per i patrizj, l’altra riceveva gli omaggi della plebe, distinzione bizzarra che l'orgoglio e l’ignoranza non avrebbero mai dovuto produrre, sopra tutto riguardo agli Dei e nel seno d’una republica.
789. Onore e vergogna se da una femina son perduti non vengono mai più ritrovati.
790. Si frappongano continui ostacoli alla vanità delle fanciulle.
791. Non si presti alle figlie occasion veruna di diventar vane.
792. La folle vanità, occupa l'uomo finché è giovine, la femina sempre.
793. Maniere semplici e naturali nelle femine sono le più aggradevoli.
794. Maniere affettate sono insoffribili agli altri, e penose a sé stesse.
795. È una specie di civetteria nelle donne il far rimarcare che non ne hanno.
796. Alle femine è più facile reprimere le loro passioni che la civetteria.
797. La civetteria è il fondamento del cattivo umore nelle femine.
798. Il più gran miracolo dell’amore è di guarire le femine dalla civetteria.
799. Le femine temono sempre di vedere i loro amanti quando commettono altrove delle civetterie.
800. Le femine civette si pregiano d'essere gelose dei loro amanti per nascondere che sono invidiose delle femine.
801. L'invidia fra le donne è uno de’ comuni loro difetti.
802. Fra i doveri della femina uno de' principali è la pulizia.
803. Le figlie debbono scrupolosamente sempre essere pulite.
804. La pulizia è un dovere speciale, indispensabile, imposto dalla natura.
805. Non v'ha al mondo un oggetto più spiacevole che una femina sucida (1).
Nota: (1) Candida rectaque sit; munda hactenus, ecc. Horat. lib. I, sat. II, v. 123. Gode il porco nel fango rivoltarsi, Muore l’armellin piuttosto che lordarsi. Cent. Piacent. VII, 23.
806. Il marito che si nausea d’una donna sucida non ha mai torto.
807. Le figlie acquistano il buon senso molto più presto che gli uomini.
808. Le figlie, essendo sulla difensiva quasi dall'infanzia, conoscono anticipatamente il bene ed il male.
809. Il primo stato d'una figlia è d'affettare d'essere insensibile alla forza delle passioni.
810. Essere in preda a mille pene, e sembrare allegra e contenta, è la sorte d’ogni figlia (1).
Nota: (1) ….. in cor di donna amor tant’è più vivo Quant’esse son più chiuse e riguardate. E sempre avvien che, più talun n’è privo, Più le cose da lui son desiate. Casti, Poema tart. I, 24.
811. Una figlia debb’avere l’aspetto sereno quantunque abbia l'animo agitato.
812. Non è sempre delitto in una figlia l’essere menzognera.
813. Sovente una figlia deve dire tutt’altra cosa di quanto pensa.
814. Sovente una figlia è falsa per dovere, è menzognera per modestia (2).
Nota: (2) ….. Mira ….. spuntar la rosa Del verde suo modesta e verginella, Che mezzo aperta ancora, e mezzo ascosa, Quanto si mostra men, tanto è più bella: Ecco poi nudo il sen già baldanzosa Dispiega; ecco poi langue, e non pare quella, Quella non par, che desiata avanti DFu da mille donzele e mille amanti. Tasso, Gerus. XVI, 14.
815. Per amare la vita domestica bisogna anticipatamente conoscerla, ed averne sentita la dolcezza in gioventù.
816. Non è che nella casa paterna che la femina impara ad amare la casa del marito.
817. Ogni femina che non è stata educata da sua madre, mai non amerà ad educare i suoi figli.
818. La figlia che sa ubbidire a padre e madre tosto impara ubbidire al marito.
819. Fra le belle qualità d'una femina primeggi era il buon umore.
820. Coll’amabilità le femine signoreggiano sempre i costumi.
821. Le sole donne possono immantinenti estinguere la discordia.
822. Un viso ridente indegna alle forze che ostilmente si odiano ad abbracciarsi in forma amorosa.
823. Il discernimento è il solo vero talento del sesso.
824. L'avvedutezza nelle femine è molto utile agli uomini stessi.
825. L’avvedutezza aggiunge molte felicità alla società dei due sessi.
826. La donna avveduta reprime la petulanza de’ figli, contiene i mariti brutali, e mantiene la buona armonia in casa.
827. Coll’avvedutezza la femina governa l’uomo ubbidendogli.
828. L'avvedutezza nelle femine le risarcisce della forza che loro manca.
829. Senz'avvedutezza la femina non sarebbe la compagna dell'uomo, sarebbe la sua schiava.
830. Col matrimonio le femine cominciano ad esser chiave, finiscono coll'esser padrone (1).
Nota: (1) Auurd’hui mouton, Demain dragon.
831. Le femine sono i giudici naturali del marito degli uomini come di sé stesse.
832. Per una femina delicata dare il suo cuore è lo stesso che dare tutta sé stessa.
833. Esaminar dee la fedina con attenzione a chi essa fa il dono di sua persona.
834. La conoscenza degli4nomini e di se stesse contribuisce alla futura felicità delle femine.
835. Lo sposo che conviene ad una figlia debb’essere di sua scelta, non già de' parenti.
836. Il consiglio de parenti non deve essere mai negletto (2).
Nota: (2) Sempre a una figlia Comanda il genitor quando consiglia. Metast. Achille, atto I.
837. Sta soltanto ai parenti il giudicare se una figlia non s'inganna (3).
Nota: (3) Ciò è un diritto della natura che nessuno può annullare; coloro che hanno ristretto colle molteplici convenienze, ebbero maggior riguardo all’ordine apparente che alla felicità del matrimonio ed ai costumi dei cittadini.
838. Le madri hanno gli occhi come le loro figlie e col di più l’esperienza.
839. Chi trova una moglie virtuosa dev'esser più contento che se avesse trovato un tesoro (1).
Nota: (1) Mulierem fortem quis inveniet? Procul, et de ultimis finibus pretium ejus. – Prov. XXXI, 10.
840. Chi cerca il denaro prima della moglie d'ordinario non trova né l’uno né l’altra.
841. Felice è l'uomo che trova una buona moglie.
842. Cattiva moglie è l'afflizione del cuore del marito.
843. Quando Io sposo si apparenta con una figlia d'un rango più basso, egli non discende, ma inalza la sua sposa.
844. Quando Io sposo prende una femina al disopra di lui, egli la abbassa senza inalzarsi (2).
Nota: (2) Siccome è nell’ordine della natura che la femina obbedisca all’uomo, così pure quand’egli la prende in un rango inferiore, l’ordine naturale e l’ordine civile s’accordano, e tutto va bene; è il contrario quando, collegandosi al di sopra di lui, l’uomo si mette nell’alternativa di ferire il suo diritto o la sua riconoscenza e d’essere ingrato o sprezzato; allora la femina pretendendo all’autorità, si rende il tiranno del suo capo, ed il padrone, divenuto schiavo, si trova il più ridicolo ed il più miserabile de’ viventi: tali sono que’ sfortunati favoriti che i despoti d’oriente onorano col dar loro in isposa qualche figlia o sorella, i quali per coricarsi con esse non osano entrare nel letto che per la parte dei piedi.
845. Per ben formare un matrimonio la gran bellezza deesi piuttosto fuggire che ricercare.
846. La bellezza prontamente si usa col possesso, ma i suoi pericoli durano tutta la vita (1).
Nota: (1) A meno che una femina non sia un angelo, il di lei marito è sempre il più infelice di tutti gli uomini. Una padrona per Io più si toglie Chi conduce a casa una bella moglie. Cent. Piacent, VII, 56. Ainsique ses chagrins l’hymen a ses plaisirs. Boileau, Sat, X.
847. Le mogli sono a’ mariti sempre ubbidienti quando questi sanno essere mariti.
848. Il buon marito fa sempre la buona moglie (2).
Nota: (2) Conformarsi la moglie all’uom suole E tale riuscir qual ei la vuole. Cent. Piacent, III, 60.
849. La fedeltà conjugale è sempre proporzionata alla libertà de’ matrimoni.
850. Si sforza al delitto una infelice vittima sforzandola a mancare al dovere della promessa fedeltà.
851. Il cuore non riceve leggi che da lui medesimo; egli fugge la schiavitù, e si dà a suo genio.
852. Tutte le leggi che tolgono la libertà ne’ matrimonj sono ingiuste.
853. I padri che formano i matrimonj o li rompono, sono tiranni.
854. Sta ai giovani l’assortirsi e lo scegliersi.
855. Gli occhi ed i cuori di due giovani debbon essere le prime loro guide.
856. Il matrimonio debb’essere il più libero, come il più sacro de’ contratti.
857. Ove la domestica podestà combina i matrimoni o li scioglie, ivi domina la galanteria.
858. Non avvi felicità ove gli eredilarj pregiudizi reggono i matrimonj.
859. L'amore soltanto non è necessario per formare un fortunato matrimonio (1).
Nota: (1) Vi sono delle convenienze naturali, altre d’opinione, ed altre d'istituzione; i parenti sono giudici delle due ultime, i figli soli lo sono della prima; cosicché quando i matrimoni si fanno coll’autorità de’ parenti, di rado si maritano le persone, ma soltanto la condizione ed il denaro.
860. L'onestà, la virtù, certe convenienze, uniformità di condizioni, d'età, di caratteri e d'umori bastano fra due sposi.
861. La vaghezza debb'essere un merito reale che venga distinto nella società, e ripercuota sopra ambedue li sposi.
862. Un figlio che non ha per regola che l’amore sceglie sovente male.
863. Un padre che non ha altra regola che l’opinione sceglie sempre il peggio.
864. La sola unione che formò la saviezza cresce coll’età e dura quant’essa.
865. La scelta degli sposi e la condotta ch’essi tengono assieme è ciò che rende felice il matrimonio.
866. I parenti giudiziosi non dispongono del cuore della loro figlia senz'il di lei consenso.
867. La scelta è d'ordinario ottima quand'il cuore de’ figli è d'accordo colla scelta de’ parenti.
868. II consenso de’ parenti d'accordo con quello de’ figli assicura la felicità della scelta.
869. Prostituisce la propria figlia dii di soverchio tarda a darle marito, oppure la marita ad un vecchio (1).
Nota: (1) Marito è una parola Che piace, che consola, Ma non so dir perché. Sa che le femine, Siano belle o brutte, Smaniose il bramano Lo voglion tutte, E ognor, ne parlano AI par di me. Ei dunque il Diavolo Certo non è.
870. La mutua inclinazione debb’essere il primo legame nel matrimonio.
871. La sola unione de' cuori può formare la felicita fra due sposi.
872. Per amarsi sempre quando saranno uniti è necessario che due giovani si amino prima di unirsi.
873. L'attrazione de' cuori non conosce la legge delle distanze, esse si toccano quand'anche fossero alle due estremità del globo.
874. Nella fedeltà tra marito e moglie sta appoggiata tutta la civil società.
875. L'uomo vive sempre felice quando nella scelta del proprio stato non venne sforzato da' suoi parenti.
876. I matrimonj che si fanno per interesse sono una sorgente di divisioni e di querele.
877. Il matrimonio per interesse non è mai un vincolo d'amicizia.
878. Quando si piglia moglie per interesse, la borsa va a marito (1).
Nota: (1) Si vis nubere nube pari. Un forestiero consultava il savio Pittaco di Mitilene intorno a due figlie che gli erano state proposte in matrimonio; l’una gli conveniva pel parentado e le ricchezze, l’altra era a lui superiore per le ricchezze e la nascita; Pittaco per tutta risposta, mostrandogli col suo bastone dei fanciulli che nella publica piazza sferzavano i loro trottoli, gli disse: andate da loro, essi rischiariranno il dubio in cui siete. Il forestiero s’avvicina, e li sente dirsi l’uno all’altro: prendi il tuo eguale. Altro oracolo non andò a cercare il forestiere, e contento della risposta dei ragazzi, prese la femina che in ogni modo s’assortiva di più con lui, e fu felice.
879. Il marito deve recar a casa, e la moglie soltanto serbare e difendere.
880. Il sostentamento della casa dipende dal marito; l’onore della casa dipende dalla moglie.
881. Una figlia trova più presto marito con mille scudi di dote, che con cento mille virtù.
882. Giova più sposare una figlia savia, poco ricca e che piacia, che una ricchissima.
883. Le giovani ricchissime hanno sempre disposizioni tali da consumare ogni sostanza del marito insiem colla dote (1).
Nota: (1) Mal tollerar si puote Moglie con gran dote. Prov, triv. Un uomo ricco, il quale non aveva che una figlia, domandò a Temistocle s’egli doveva preferire un marito povero ma onesto ad un altro che possedeva molto, ma con una cattiva riputazione: io amo meglio, rispose Temistocle, un uomo che abbia bisogno di denaro, che del denaro che abbia bisogno d’un uomo, — Val. Mass. lib. VII.
884. L'uomo il più ricco ed il più felice è colui che ha trovato una femina amabile e virtuosa.
885. Un marito non deve esigere da sua moglie né uno spirito sublime, né difficili talenti.
886. Il buon cuore, la semplicità, tenerezza, ritegno, dolcezza, amabilità bastar denno ad un marito.
887. Nel mantenere l’amore e la concordia nella famiglia, e nel farvi regnare la virtù, si esercita la più gloriosa delle magistrature.
888. Reprimere con dolce severità i fatti della sua famiglia è il mezzo di mantenervi la pace.
889. Dissimulare i fatti della propria moglie è il mezzo di renderla scapestrata.
890. Se avvi al mondo una vita felice, senza dubio è quella che si passa nel seno della propria famiglia.
891. Per ben regolare una famiglia bisogna prima saper regolare sé stesso.
892. Non sono che le persone dabbene che amino il ritiro, e si piaciano a vivere nel seno della loro famiglia.
893. n modello del capo debb'essere sempre la regola dell’intiera famiglia.
894. Il solo volere la felicità di sua moglie è lo stesso che averla ottenuta.
895. II matrimonio è l'anima della società (1).
Nota: (1) Alcuni definirono il matrimonio: omnis vitae consortium.
896. La vera naturale amicizia è il matrimonio.
897. Nel matrimonio si comunicano tutt’i tre fini de’ beni, cioè l’onesto, l'utile ed il dilettevole (2).
Nota: (2) Da ciò è venuto il detto: amicorum omnia sunt communia.
889. Il matrimonio quand'è sottoposto a leggi certe diventa una sorgente di un nuovo ordine.
899. Il matrimonio produce i vantaggi della decenza, le attrattive del pudore, il desiderio di piacere, la felicità dell'amore, e la necessità d'essere amati per sempre (3).
Nota: (3) La storia ci somministra molti esempi rimarchevoli dell’amore conjugale: Penelope, Andromaca, Cornelia furono modelli su tal genere. Plinio scrisse alla zia della sua moglie in tal modo: noi vi ringraziamo: io, perché esse è mia femina; essa, perché io sono di lei marito; ambedue per avere unite due persone fatte l’una per l’altra.
900. Appena sottomessi all'amabil giogo del matrimonio ognuno occupar si dee di tutt’i mezzi per amarsi vicendevolmente.
901. Il matrimonio è un debito che ciascheduno nascendo contratta verso la sua specie e verso il suo paese.
902. La vita è un bene che non si riceve che con obligo di trasmetterla.
903. La vita è una sorte di sostituzione che deve passare di generazione in generazione.
904. Chiunque ebbe un padre è obligato di divenirlo (1).
Nota: (1) jerocle era in uso di dire: Quelli che rifiutano di prender moglie accusano i loro padri, e fanno il processo a sé stessi. – Cherem, presso Porf. Lib. VI, 318. Fu soltanto Pitagora che, consultato da uno de’ suoi discepoli quando doveva avvicinarsi ad una femina, gli disse: quando tu sarai stanco di star bene. – Plutarco, Vita di Pitagora. Anche Talete non volle mai ammogliarsi: da giovine, diceva che era troppo presto; da vecchio, troppo tardi.
905. Né l'uomo né la femina sono fatti per il celibato.
906. È molto difficile che uno stato contrario alla natura non arrechi qualche disordine publico o nascosto.
907. Il celibato è il distruttore di ogni società, poiché è il nemico delle domestiche virtù.
908. Si deve prender moglie più per dovere che per inclinazione.
909. Il popolo s’aumenta dapertutto in ragione del numero de’ matrimonj.
910. Il numero dei matrimonj aumenta a proporzione della facilità che si trova ad alimentare una famiglia.
911. In un paese ove i mezzi di sussistenza abondano, ognuno si fa premura di maritarsi (1).
Nota: (1) Fra’ Romani però, secondo Servio, coloro che passavano a seconde nozze erano notati d’infamia, e però allontanavansi dal sacerdozio; secondo Tacito fra i Germani le seco de nozze erano proibite della legge. Le vedove che si rimaritano entro l’anno di lutto sono, giusta la legge II, Cod. de secondis nuptiis, dichiarate infami, e sono private da tutto ciò che dal defunto marito avessero ottenuto o per ultima disposizione, od in vigore di convenzioni nuziali. Anticamente a Grotina nell’isola di Creta punivasi dai magistrati un uomo che passava a seconde nozze, col publicamente mettergli in capo una corona di lana, il che disegnava un uomo voluttoso ed effeminato.
912. È in gioventù il vero tempo del matrimonio.
913. Principal difetto de’ giovani è il non poter moderare l’impeto della loro età.
914. Piucchè dalla ragione la gioventù prende regola dai sensi.
915. Per la gioventù non avvi né passato nè avvenire, essi godono del presente.
916. Fra la gioventù nulla avvi di stabile (1).
Nota: (1) tria sunt difficilia nihi, et quartum peritus ignoro: viam aquilae in caelo, viam colubri super petram, viam navis in medio mari, et viam viri in adolescentia. – Prov. XXX, 18, 19.
917. Il far impazzire i padri è il primo ser vizio che faccia la gioventù.
918. Fra le amabili delizie della vita non si ravvisa che la gioventù e la bellezza.
919. La buona salute forma sola.la bellezza e la gioventù.
920. Il difetto d'esser giovine si corregge ad ogni istante.
921. Gli uomini, perdendo la gioventù, per dono i vantaggi fisici della loro esistenza (2).
Nota: (2) Divina gioventù, che degli Dei, Nonché del germe uman, fai la delizia.
922. La cosa più bella è la gioventù, ma anche la più pericolosa:
923. La gioventù è reta delia calda fantasia e di un’irritabile e sensibile fibra (3).
Nota: (3) ….. In giovin mente Grande ha possanza il variar gli oggetti. Alfieri, Mirra, atto III.
924. La gioventù è un’ebrietà continua, è la febre della ragione.
925. È facile al giovine cader ne' pericoli, il guaio sta nell’uscirne.
926. La gioventù, sempre inesperta, aggirasi intorno ad un abisso di mali.
927. A misura che si avanza in età tutt’i sentimenti si concentrano.
928. Non è che passata la gioventù che si pensa a formarsi uno stato (1).
Nota: (1) L’età viril, cmbiando genio e brama, Ricchezze cerca e amcii, e ambisce onori. Venini, trad. della Poet. D’orazio, v. 166.
929. I progetti d'uno stabilimento sono la dote della virilità.
930. Ogni giorno si perde qualche cosa di quanto ci fu caro, né più ci vien sostituito.
931. I gusti e le passioni si cambiano col cangiarsi dell’età (2).
Nota: (2) Osservar d’ogni età dessi il costume, E l’indole spiegar, qual si conviene, varia in ciascuno al variar degli anni. Id. v. 156.
932. Variano i tempi, e con essi noi pure variamo (3).
Nota: (3) Tempora mutantur, et nos mutamus in illis. – pub. Sirus.
933. La gioventù non è che stravaganza, la virilità pazzia, la vecchiaja infermità.
934. L'uomo di giorno in giorno non è più quello, muore a ritagli (4).
Nota: (4) Non sunt qui fuerant, perit pars maxima nostri. – Cornel. Gal. Eleg.
935. Le sregolate passioni d'un giovane producono sempre triste vccchiaja.
936. Pronta ed inferma vecchiaja è prodotta sempre da disordinata gioventù.
937. Conseguenza di sregolata gioventù è una prematura vecchiaja.
938. Fuggendo gli anni spogliano l’uomo de’ piaceri che maggiormente gli aggradivano.
939. Gli anni obbligan l'uomo ad esser saggio suo malgrado (1).
Nota: (1) Quanto più invecchia l’uomo Diventa più perfetto; E se perde bellezza, acquista senno. Guarini, pastor fido, atto III, sc. V.
940. Non v'ha cosa che maggiormente ringiovinisca quanto l’aver saputo evitare una sciocchezza.
941. Una vecchiezza dolce e tranquilla è il frutto d'una vita passata nella purità de’ costumi (2).
Nota: (2) Est quiete et pure eleganter actae aetatis placida et lenis senectus. – Cic. De Senectute.
942. La vecchiaja d’una vita saggia ed operosa è un asilo d'onorala quiete.
943. Corona di vita virtuosa è l'onorata vecchiezza.
944. La vita è un bene di cui non si conosce il prezzo che diventando vecchio.
945. Le infermità del corpo sono più efficaci che l'eloquenza dei dottori.
946. Non si conosce il buon uso che si può fare della vita che quand'essa è molto avanzata (1).
Nota: (1) Godiam, che ‘l tempo vola e passan gli anni; Ma s’in noi giovinezza Una volta si perde, Mai più non si rinverde: Ed a cauto e livido sembiante Può ben tornar amor, ma non amante. Guarini, Pasto Fido, atto III, sc. V.
947. Non ha l'arte epidaurica tra i suoi farmachi rimedio alcuno da ringiovanire.
948. L’uomo curar deve poco la vita e moltissimo la salute.
949. È inutile piangere la giovanile passata età, mentr’essa più non ritorna (2).
Nota: (2) Ici bas tout se renouvelle ; L’homme seul viellit sans retour. De Parny, Idille.
950. La vecchiezza rapisce ogni facoltà, né la perdona all’eloquenza stessa.
951. I vecchi vivono più di memoria e di speranza che di tutt’altro.
952. D'ordinario i vecchi sono quel che par lano.
953. Se il vecchio parla con precisione debb'essere ascoltalo con rispetto.
954. La gioventù dee riportarsi sempre al parere de' vecchi.
955. I vecchi debbono essere sempre attenti a meritarsi il rispetto colla regolare loro condotta.
956. I capagli bianchi del vecchio virtuoso sono gli allori di cui il tempo Io corona (1).
Nota: (1) Coram cano capite consurge, et honora personam senis, — Levit. XIX, 32.
957. Sempre il consiglio del vecchio regger deve il giovine.
958. I giovani adulano qualche volta i vecchi, ma non li amano mai.
959. La vecchiezza in alcuni giovani è oggetto di disprezzo quando non dovrebbe essere che un continuo tributo d’ossequio.
960. L’ossequio che i giovani tributano ai vecchi è quanto un giorno esigeranno essi medesimi.
961. I vecchi muojono per gradi sino a che, non amando che sé stessi, cessano di sentire prima di cessare di vivere.
962. La gioventù cambia di gusti per ardore del sangue, e la vecchiaia conserva i suoi per abitudine (2).
Nota: (2) Molti incomodi ha il vecchio: ognor s'affanna Ad acquistar: ciò che acquista non osa Mai porre in uso; e, a dispensarne astretto, Con freddezza e stimar tutto dispensa. Querulo, indugiator, tardo non meno A disperar, che a concepir speranze Difficil, neghittoso; avidamente Di vita amico; esaltator de’ tempi Che fanciullo passò; censor di quanti D'età precede e riprensor severo. Venini, Poet. d’Orazio v. 169.
963. È più facile rinversare un pozzo che riformare un vecchio.
964. La vecchiaja è sacra persino nelle sue abitudini.
965. Si rinuncia più facilmente a’ proprj interessi che alle inclinazioni.
966. Un sol uomo, considerato nella gioventù, nella virilità e nella vecchiaja, presenta tre uomini differenti.
967. I vecchi cadono prima nei precipizi della gioventù, indi nelle puerilità dell’infanzia (1).
Nota: (1) A sette anni son putelli A settanta son ancor quelli.
968. Guardisi d’ invccchtare chi non vuol diventare fanciullo.
969. Declinando l’età ritorna la stessa debolezza di fibre dell’infanzia.
970. La seconda puerizia che termina la vita è ancor meno saggia di quella che la incomincia.
971. I vecchi desiderano più che i giovani (1)
Nota: (1) In quella guisa che veggonsi le ombre allungarsi a misura che il sole tramonta, cosi i desiderj dell’uomo sull'annottar della vita crescono, e si estendono senza fine.
972. I sospiri ed i rammarichi sono gli acquisti della vecchiaja.
973. Ognuno desidera vivere lungo tempo, nessuno vuol passare per vecchio.
974. Pazzo è il vecchio che giovine sembrar vuole.
975. La pazzia è inseparabile dalla gioventù; che pensare dunque dei vecchi che sembrar vogliono giovani?
976. Pochi son quelli che sanno esser vecchi.
977. È dolce cosa ne’ vecchi il ricordare la loro gioventù (2).
Nota: (2) …. Allor che al sonno Dansi i cantori, e nella sala appese Tacion l’arpe di Selma, allor sommessa Entro gli orecchi miei scende una voce L’anima a risvegliar; la voce è questa Begli anni che passaro. Ossian, Oinamora, trad. Cesarotti. Tutta la mia fiorita e verde etade Passò tra le battaglie, ed or tristezza I cadenti anni miei turba ed oscura. Ossian, Fingal IV.
978. I vecchi amano i luoghi e le persone che conobbero nella loro gioventù.
979. Più si vive, più si ama di vivere, anche senza godere niente.
980. Si teme la vecchiaja senz’essere sicuri di potervi arrivare.
981. Si spera d’invecchiare e temesi; si ama cioè la vita, e si paventa la morte (1).
Nota: (1) È pazzo in tutto, e ben s’inganna ed erra L’uom che si fida in giovineza, è crede Di viver troppo lungamente in terra. Bojardo.
982. La chimera dell’immortalità fu sempre la passione degli uomini, e la consolazione dell’ultima età.
983. Dispiace più alle femine il sapere di diventar vecchie, che agli uomini di esserlo.
984. Il maggior ridicolo delle vecchie che furono amabili è lo scordarsi che non lo sono più.
985. La vecchiaja è un tiranno che proibisce sotto pena delia vita tutt’i piaceri della gioventù (2).
Nota: (2) Ma poi che il lungo donneare infrante Ebbemi l’armi, e gioventù si taque, Spine trovai dov’eran rose avante. Alfieri, Prologo alle Satire.
986. Gioventù ignora la natura de’ suoi desiderj, vecchiaja li conosce senza poterli soddisfare.
987. I giovani dicono ciò che fanno, i vecchi ciò che hanno fatto, e gli imbecilli ciò che vorebbero fare.
988. Se gioventù volesse e vecchiaja potesse, di nulla si mancherebbe.
989. È negli ultimi anni della vita che si deve giudicare dell’uomo (1).
Nota: (1) è nell’autunno che il contadino giudica dell’annata se è stata buona o cattiva.
990. Non basta essere vecchio, bisogna viver da vecchio, cioè abbandonare i vecchi vizj.
991. Sono i vecchi come mente ed anima di tutt’il corpo della famiglia.
992. Niuna letizia può essere ai vecchi maggiore che il vedere i loro figli accostumati e virtuosi.
993. I vecchi non solo devono dare buoni consigli, ma anco buoni esempi.
994. Dev’essere privo d’ogni difetto chi vuol censurare gli altri (2).
Nota: (2) Carere debet omni vitio Qui in alterum dicere paratus est. Vetus Prov.
995. I vizj della vecchiaja cancellano i meriti della gioventù.
996. Oggetto del disprezzo universale è a vecchio vizioso (3).
Nota: (3) Bona juventae senectus flagitiosa obliterVIT. – Tacit.
997. I capegli bianchi servono di segnale per non disonorare la vecchiezza.
998. I vecchi pazzi sono più pazzi dei giovani (1).
Nota: (1) Auctoritatem habemus senum, vitia puerorum. - Seneca, cap. IV. Rompere, come si suol dire, la cavezza, è un male in gioventù peggio in vecchiezza. Cent, Piacent. VII, 100.
999. Il vecchio che la vuol far da giovane diventa sempre imbecille (2).
Nota: (2) Turpe senex miles, turpe senilis amor. Vetus dictum.
1000. Un vecchio che mantiene delle favorite è come un cieco che comperi degli occhiali.
1001. Non è che coll’esser saggio che il vecchio può essere rispettato.
1002. Il cuor dei vecchi debb’essere il santuario della saviezza e della moderazione.
1003. I vecchi resi impotenti a commettere la colpa si mettono a fare gli oratori della virtù.
1004. Un vecchio talvolta è un ridicolo censore delle mancanze della giovanile età.
1005. Mentre il vecchio castiga i fatti dell’adolescenza, questa osserva sempre i di lui difetti.
1006. Nella condotta dei padri i figli scoprono sovente molte vergognose debolezze.
1007. Quando l'uomo è costretto a rinunciare ai piaceri in allora pensa a predicare la morale.
1008. I vecchi amano a dare buoni precetti per consolarsi, di non essere più in istato di dare cattivi esempi.
1009. La vecchiezza è figlia dell’esperienza ma sovente è priva di memoria.
1010. Il cattivo umore è quasi sempre familiare ai vecchi.
1011. Anche un vecchio deve continuamente cercare d'istruirsi (1).
Nota: (1) Seneca, andando ad ascoltare le lezioni del filosofo Metronacte in Napoli, passava sempre vicino ad un teatro, e lamentavasi di vedere tanta gente correre ai divertimenti, e pochi nella casa del Filosofo: Seneca era già vecchio, ma non arrossiva d’andare in una publica scuola, quantunque si gloriasse nel tempo stesso d’insegnare qualche cosa agli altri. In theatrum senex ibo….. ad philosophum ire erubescam? Tamdiu discendum est, quandium nescias, et, si proverbio credimus, quamdiu vivas. Nec ulli hoc rei magis convenit, quam huic: discendum est quemadmodum vivas, quamdiu vivis, Epistola 76.
1012. Il saggio studiar dee il metodo di mantenere la sanità piuttostochè cercare i rimedj per guarire le malattie.
1013. Lezioni d’esperienza sono più eloquenti che quelle dei dotti.
1014. L'esperienza sola ci rende saggi e prudenti.
1015. Dell'uomo il genio miete dell’esperienza sua i frutti.
1016. La presunzione distrugge quasi sempre i fruiti dell’esperienza.
1017. La vana presunzione è sempre accompagnata dalla mediocrità o dal falso sapere (1).
Nota: (1) Di presunzion superbia è la radice, Presunzion d’ignoranza è la nutrice. Casti.
1. A tre solo si riducono le avventure dell’uomo: al nascere, al vivere, al morire.
2. L'uomo non s'avvede di nascere, dimentica di vivere, e soffre morendo.
3. È penosa a sostenere la vita s'è mirabile, è dolorosa il perderla s'è felice.
4. La vita è breve se non merita il nome di vita che quand'è piacevole (1).
Nota: (1) Se tutte si unissero insieme le ore trascorse da noi con piacere, di u gran numero d’anni non avressimo che pochi mesi di vita; il sonno, le infermità, il tedio e le perturbazioni ne occupano lo spazio maggiore. Nel vario corso d’oltre ad ottant’anni Provai scarsi piaceri e lunghi affanni. Casti.
5. Sanità e tranquillità di spirito sono le cose necessarie alla felicità della vita.
6. La vita, quantunque breve, non è che un compendio di mali (1).
Nota: (1) Homo natus de muliere, brevi vivens tempore, repletur multis miseriis. — Job XIV, I.
7. Se la vita è corta pel piacere, essa è lunga per la virtù.
8. Senza la virtù si muore giovine anche dopo un secolo di vita.
9. La vita degli empj è sempre corta (2).
Nota: (2) Impii de terra perdentur, et qui inique agunt, auferentur ex ea. — Prov. II, 23.
10. La virtù è quella che misura la durata della verace nostra esistenza.
11. Ciascun tende al meglio, ma vi sono diverse strade per arrivarvi.
12. La felicità della vita generalmente dipende dal modo di servirsene.
13. Dal buon uso delle cose consiste la perfezione della nostra natura.
14. All’uomo che tutto fugge non rimane a godere che di quanto sa perdere (3).
Nota: (3) …… oscuritade L’anima quasi nuvola gli adombra. Rammento il breve fuggitivo corso Della vita mortale: un popol viene è corrente ruscel; svanisce, è soffio. Altra schiatta succede. Ossian, Temora, VI, 295 e seg.
15. Il desiderio d’una vita felice è la guida più sicura per goderne, e per acquistarne tutti i vantaggi.
16. Si può viver molto in pochi anni ed acquistare a sue spese molta esperienza (1).
Nota: (1) Vecchio è chi muor degli anni in su l’aurora, Giovin chi vive dopo i cento ancora. Cent Piacent. IX, 31.
17. Non si acquista molta esperienza che per la strada delle passioni che conduce alla filosofia.
18. La filosofia fa profittare del bene e fa soffrire il male di cui la natura umana è suscettibile.
19. Dio diede all’uomo l’essere, la virtù gli dà la buona vita.
20. La virtù dirige le nostre facoltà, le quali ci danno il sentimento della nostra esistenza.
21. La vita indigente è infelice per l’uomo frivolo, ma è ricca pel saggio.
22. La metà della vita d'ordinario impiegasi nel far male, o tutt’altro di quanto dobbiam fare.
23. Vivere non è respirare, è agire.
24. Il vivere si misura dall’opre e non dai giorni.
25. Inutilmente naque chi sol vive a stesso (2).
Nota: (2) Non meritò di nascere Chi vive sol per sé. Metast. Sogno di Scipione.
26. La vita dell’uomo è un giuoco di scacchi, ora re, ora cavaliere, ora pietone ed ora matto.
27. Il mondo altro non è che una bottega di trastulli, ai quali ogni uomo corre dietro.
28. La vita rassomiglia ad un mercato: chi va per trafficare, chi per divertirsi o per osservare le umane vicende.
29. Il mondo non è che un paese d’apparizioni.
30. Ogni cosa è sperabile finché si vive.
31. Mentre si vive l’uomo cambia sovente di scena, ma resta sempre Io stesso (1).
Nota: (1) A dieci anni l’uomo è condotto con dei bomboni; a vent’anni da un’amante; a trenta dai piaceri; a quaranta dall’ambizione; a cinquanta dall’avarizia; a sessanta dalla divozione; a settanta dai medici; in ogni tempo tutti credono di non aver cercato che la saviezza: fortunato però chi vi giunge anche malgrado suo. …. Tremiam, fanciulli, D’un guardo al minacciar: siam gioco, adulti, Di fortuna ed amor: gemiam canuti, Sott’il peso degl’anni: or ne tormenta La brama d’ottenere, or ne trafigge Di perdere il timore. Eterna guerra Hanno i rei con sé stessi; i giusti l’hanno Con l’invidia e la frode. Ombre, deliri, Sogni, follie son nostre cure: e quando Il vergognoso errore A scoprir s’incomincia, allor si muore.
32. Ogni cosà si rinnova fuorché L’uomo (1)
Nota: (1) ici-bas tout se renouvelle, L’homme seul vieillit sans retour. Parny, Elegie.
33. La morte è il termine a cui tendiamo tutti.
34. La vita è un bene che, usandone, si scema.
35. Ogni momento della vita è un passo che s'avvicina al termine (2).
Nota: (2) ...... dalle fasce Si comincia a morir quando si nasce. Metast. Artas. atto II.
36. La morte è la méta d’ogni viaggio.
37. La terra è una scena che cangia ad ogni momento di decorazioni e di attori.
38. L’origine e la fine è comune ai sudditi come ai sovrani.
39. La vita dell’uomo non è che un viaggio la di lui casa un’osteria (3).
Nota: (3) Chardino, tomo II, pag. 209, rapporta seguente fatto: «Un Dervis, ossia religioso mettano, viaggiava in Tartaria; giunto alla città di Balk se ne andò per ricoverarsi al palazzo reale, credendolo un Caravanserai, cioè di quei grandi alberghi fabricati per ordine Sovrano o di qualche divoto per alloggiare i viaggiatori e le caravane, nelle quali ciascuno vi porta ciò che gli è necessario. Entrato il Dervis, dopo avere guardato per ogni parte egli va a postarsi in ma bella galleria, pone a terra il suo sacco, distende il suo piccolo tappeto, e vi siede sopra; avendolo veduto alcune guardie, gli ordinarono di levarsi, domandandogli con collera ciò che aveva preteso di colà; il Dervis loro rispose, che avea stabilito di passare la notte in quel Caravanserai; e guardie gli dissero che non era un Caravanserai ma bensì un palazzo reale, e che perciò dovesse tosto andarsene. Il re, che chiamavasi Ibraim, essendo a caso giunto al luogo della contesa, e conosciuto l’errore del Dervis, si mise a ridere, ed avendogli detto come aveva si poco discernimento da non distinguere un palazzo da un Caravanserai: Sire, rispose Dervis, volete permettermi di farvi una domanda? Chi alloggiò per il primo in questo edificio? Sono i miei antenati, rispose il re, e dopo di essi, o Sire? Fu mio padre; di grazia, Sire, ancora una domanda: chi ne sarà il padrone dopo di voi? Sarà mio figlio. Ah sire, soggiunse il viggiatore, io non mi sono ingannato: un edificio che cambia sovente d’abitanti è un albergo e non una reggia.
40. La vita è corta, meno pel poco tempo che dura, che pel poco che ne abbiano per gustarla.
41. La gioventù leggiera e dissipata non pensa né all’avvenire, né all’impiego del tempo.
42. L'uomo matura lentamente, e quand'è perfezionato gode sempre poco della sua costituzione.
43. L’uomo pervenuto al punto di maturità, non più acquista nuove forze ma comincia a declinare.
44. La rotazione nell'uomo non si ferma mai, necessariamente monta o discende.
45. L'uomo infingardo, goloso ed ignorante a guisa di pellegrino nel mondo trapassa (1).
Nota: (1) La vita fugge non s’arresta un’ora E la morte vien dietro a gran giornate. Petrarca.
46. La vita degli ignoranti, come la lor morte, è eguale del tutto, poiché si tace d'entrambi (2).
Nota: (2) Vitam sicuti peregrinantes transiere. – Salust. Catilinaria.
47. L'uomo ha ne suoi progressi stessi le cagioni della propria distruzione.
48. La perfetta maturità dei frutti non fa che annunciare la corruzione che la segue da vicino.
49. L'uomo è un veloce corsiero che continuamente suda per giungere presto alla morte (3).
Nota: (3) Picciolo e grande ognun fa la sua parte Sul teatro del mondo, e poi sen parte. Cent. Piacent. I, 45.
50. La vita è un piccolo viaggio per l’uomo dabbene; sovente la barca non è troppo comoda, ma il porto n'è delizioso (4).
Nota: (4) ….. ben muor chi morendo esce di doglia.
51. Un principio di malattia è il nascere.
52. Il sogno di una larva è la vita dell’uomo (1).
Nota: (1) Quasi flos egreditur, et fugit velut umbra. – Job.
53. L’istante della morte è sempre vicino a quello della nascita.
54. La vita è sempre troppo corta, quando lo spazio n’è mal riempito.
55. Molto vecchio è il giovin ignorante, molto robusto è il vecchio dotto.
56. Lunga vita a molti mali va incontro (2).
Nota: (2) … Chi morir pur deve Quanto più tosto more Tanto più tosto al suo morir s’invola. Guarini. Cogita quantum boni opportuna mors habeat; multis diutius vixisse nocuit. — Seneca.
57. Quegli cui toccò lunga vita altro profitto non può trarre che ’l grave privilegio di lungamente soffrire.
58. La morte ruba i buoni e lascia i tristi.
59. La morte fugge ai miseri, soltanto corre dietro ai felici (3).
Nota: (3) Vivere cum nequam,sit mihi posse mori Dulce mori miseris, sed mors optata recedit. Boetius.
60. Più si vive, più si ama a vivere.
61. Quando noi lasciamo il nostro corpo, noi non facciamo che deporre un vestito incomodo (1).
Nota: (1) Sembra ad un giorno la vita mortale Nubilo, breve, freddo e pien di noia, Che può bello parer, ma nulla vale. Petrarca, Trionfo del tempo.
62. Più si ama la vita, maggiormente si debbono sprezzare gli accidenti naturali che la minacciano.
63. La fuga stessa dai pericoli fa sovente che vi si cada.
64. Piangere un istante gli altri, essere pianti noi stessi ristante dopo, ecco il dono che ci fa natura.
65. Vivere senza pena non è lo stato dell'uomo; vivere in tal modo è lo stesso che essere morto.
66. È un essere già morto il non vivere che la vita animale.
67. Il savio conosce il prezzo della vita, e Io stordito ignora le conseguenze della morte.
68. La gloria della vecchiezza è il non temer di morire.
69. È la morte un bene desiderabile, come la vecchiezza un male vero ed incurabile.
70. Il non aver timore della morte formare l’elogio della vita passata, ed assicura la felicità avvenire (1).
Nota: (1) ….. ti seguiremo, o figlio, Chè tosto o tardi han da cadere i prodi. Ossian, Fingal, can. V, 338.
71. Chi pensa al suo futuro destino mitiga l'acerbità della morte (2).
Nota: (2) Altro mal non ha morte Che'l pensar a morire. Guarini.
72. È molto meno la morte che è da temersi che le inquietudini della vita (3).
Nota: (3) Porto di tutti i beni è la morte. — Alfieri.
73. Amor di vita ogni grand’opra, guasta.
74. È meglio morire con onore che vivere con ignominia.
75. Il non temer la morte fa più corte le pene della vita.
76. Colui che teme la morte non sa di che tema.
77. I terrori dell’uomo sono figli della sua ignoranza.
78. L’ignoranza dell’uomo è la prima punizione de’ suoi delitti.
79. Vile cosa è temer la morte, vilissima il dilettarsi dell’altrui.
80. Temer la morte è più acerbo del morire (4).
Nota: (4) Male vivunt, qui se semper victuros putant.— Pub. Sirus.
81. Non è vita quella che colla sua debolezza crea i terrori della morte.
82. Sii virtuoso, e non temerai la morte.
83. La preparazione alla morte è una buona vita.
84. Se non vuoi temere la. morte pensaci spesso (1).
Nota: (1) L’anima che sente abborrimento a tal, pensiero, trovasi immersa in tenebre più folle di quelle della notte più buja; addormentata in questo inganno sulla china di un precipizio, il primo sbuffar di vento ve la caccia al fondo irreparabilmente.
85. Il pensiero della morte è una leva possente che alza l'uomo dalla polvere, e lo ricompone sopra sé stesso.
86. Nessun essere vivente può evitare il destino che lo aspetta (2).
Nota: (2) Tutti un giorno ci chiama, e un giorno estremo Richiamerà com’essi I figli ancor della futura etade. Altra sorge, altra cade Delle schiatte mortali. Ossian. Berato.
87. La nostra nascita non è che il principio della morte.
88. Il nostro fine è legato colla nostra origine (1).
Nota: (1) Nascentes morimur, finisque ab origine pendet. — Manilius, Astronomicon, lib. IV, 16.
89. L'uomo a chius'occhi discende il rapido pendio della vita, che Io guida alla morte.
90. Il primo passo che si fa entrando in questo mondo è di avanzarsi verso la porta d’onde si sorte.
91. Pensando al destino che attende l'uomo sulla terra, bisognerebbe irrigare di pianto la sua culla quando nasce.
92. La madre che dimena nella culla il suo bambino, vede che corre al sepolcro.
93. L’occhio dell’uomo appena si volge, che di già vede la morte dietro a se.
94. A misura che l'uomo cresce in statura, s'avvicina di più in più al sepolcro.
95. La morte è la conseguenza della vita.
96. La morte non tiene verun conto degli anni (2).
Nota: (2) Junior es quid refert; non dinumerantur anni. — Sen. Ep.26.
97. I giovani moriranno presto, ed i vecchi non hanno gran tempo a vivere.
98 Quantunque il giovine possa morire, ed il vecchio Io debba, nulladimeno muojon più giovani che vecchi (3).
Nota: (3) D’invecchiar molti giovani han la sorte; Niun vecchio potè mai sottrarsi a morte. Cent Piacent. XII, 25.
99. Ogni età è di stagione per la morte.
100. Pel giovin come pel vecchio che muojono la perdita è eguale.
101. Appena calmato il giovenil bollore, l’uomo ha imparato a vivere ed allor muore.
102. Il mondo è un moto perpetuo; non v'è riposo che nella regione dei morti.
103. Nulla v'ha di più certo che la morte; tutt'il resto si appoggia sopra un forse (1).
Nota: (1) Cui nasci contigit restai mori. — Seneca, epist. 110.
104. Pochi conoscono la morte, mentre quasi tutti la soffrono per costume o per stupidità.
105. A ciascuno degli uomini è fissa per meta la morte, né riparo atomo vale a preservarcene.
106. La maggior parte muore, perché non si può impedir di morire (2).
Nota: (2) La Scuola Salernitana dice: Contro vim mortis non noscitur herba in hortis. Contro la morte Non val muro né porte.
107. Il povero, il ricco, il forte, il debole tutti sono sudditi della morte.
108. Tanto le ceneri del ricco, come quelle del povero confondonsi nella tomba.
109. La morte guarda in faccia a nessuno (1).
Nota: (1) Pallida Mors aequo pulsat pede Pauperum tabernas, Regumque turres. Horat. Od. lib. I, 4. ….. passeggia Con egual piè la pallida Morte i tugurj e la turrita reggia. trad. Colonnetti. Natura i passi suoi mai non arresta Liberi, irresistibili e sicuri; Regni egualmente e imperi urta e calpesta E le capanne e gli umili tuguri; Lo stesso son per li suoi vasti oggetti Gli orgogliosi monarchi e i vili insetti. Casti, Anim. Parl. XXVI, 81.
110. La morte pareggia tutti gli uomini (2).
Nota: (2) Dopo il giuoco tanto va nel sacco il re quanto la pedina — Prov. Triv.
111. La morte non risparmia né età né bellezza, contro di essa non han riparo I più felici climi.
112. La morte è il fine della vita dello scellerato ed il principio di quella del giusto.
113. I delitti rendono nojosa la vita ed orribile la morte (3).
Nota: (3) .... Ahi sciaurata etade Che il viver rendi ed il morir più amaro. Pindemonte, I Sepolcri.
114. La morte è terribile per chi ha poca cura di ben vivere.
115. La preparazione alla morte è una buona vita.
116. Miglior vita del morir non prova il saggio.
117. Naturalmente l’uomo sa soffrire con costanza e morire in pace (1).
Nota: (1) Sono i medici colle loro ricette, ed i superstiziosi colle loro esortazioni, che avviliscono il cuore degli uomini, e loro fanno disimparare a morire. Il nembo, il nembo appressasi, Che già m'atterra e sfiorami Domani io non son più. Verrà, doman chi mi mirò pur oggi Gajo di mia beltà, Ei scorrerà col guardo e campi e poggi, Ma non mi troverà. Ossian, berato.
118. L'uomo non trovasi mai in istato di maggiore tranquillità che quando muore.
119. La morte ispira all'uomo i pensieri più nobili, ed al fianco virtù gli sta consigliera.
120. L’ultimo giorno della nostra vita è sempre per noi fausto e glorioso.
121. La morte è un assoluto riposo, cioè il principio della felicità.
122. L’istante della morte è un giorno di raccolta più che di lutto.
123. Nel giorno della morte l’uomo giunge alla sua vera maturità.
124. La natura non raccoglie mai i frutti ch’allorquando sono perfettamente maturi.
125. Il vantaggio della morte è che pon fine alla vecchiaja.
126. La morte è il terrore del ricco, Io spavento della gioventù, ed il desiderio del povero.
127. Il ricovero delle debolezze umane è il sepolcro contemplalo dal saggio.
128. La morte e l'uscita di un'oscura prigione pel saggio.
129. Tutto è mare e naufragio in questa vita, e la morte rende ogni cosa eguale (1).
Nota: (1) Non è soltanto il mare che sia il trastullo de’ nostri progetti: la guerra sorprende il soldato in mezzo alle battaglie; il placido cittadino si trova sepolto sotto le rovine della sua casa; quest’altro cade sott’ un carro calpestato dai cavalli; l’avidità strangola il goloso; l'astinenza abbatte le forze dell’avaro: tutto è mare e naufragio in questa vita.
130. La morte e un bravo medico che guarisce ogni male.
131. La morte è una vittoria che incatena i mali furibondi della vita (2).
Nota: (2) Pausania, lib, II, cap. 17, racconta che Cidippe, sacerdotessa di Giunone nel tempio di quella Dea posto tra Argo e Micene, trovandosi al momento di seguire la processione diretta al tempio, ed i buoi del carro non comparendo ancora, Bitone e Clcobi si attaccarono al carro della loro genitrice, e per 40 stadj (miglia 5 1/2) la strascinarono in trionfo per la pianura sino alla porta del tempio. Cidippe giunse in mezzo alle grida ed agli applausi degli spettatori, e nel colmo della gioja pregò la Dea che accordasse a’ suoi figli la maggiore di tutte le felicita. I suoi voti furono, per quanto si dice, esauditi; un dolce sonno li colse nel tempo stesso, e li fece tranquillamente passare dalla vita alla morte, come se gli Dei non avessero maggior bene da accordarci di quello di accorciare i giorni nostri.
132. La morte talvolta è una delle maggiori felicità.
133. L'oblio della morte è l’error capitale de vecchi che a forza di vivere si credono immortali (1).
Nota: (1) Giace Palla Cartago; appena i segni Dell’alte sue ruine il lido serba! Muojono le città, muojono i regni; Copre i fasti e le pompe arena ed erba, E l’uom d’esser mortai par che si sdegni. Tasso, Gerus. XV, 20.
134. I vecchi temono la morte più che i giovani.
135. L'idea della morte basta per estinguere il fuoco dell’ambizione.
136. L'avvicinamento della morte reca maggior travaglia che la morte stessa.
137. Il timore di mancare del necessario è una conseguenza dell’arresto di morte.
138. Il male della natura è poca cosa quando si bandiscono quelli dell’opinione.
139. II timore della morte è un moto della natura non solo indifferente, ma buono in lui stessa e conforme all’ordine.
140. Ogni uomo teme di morire; ciò è il destino dell’essere sensibile.
141. Senza il timore della morte ogni specie sarebbe bentosto distrutta.
142. È bugiardo colui che finge di non temere la morte.
143. Il sole e la morte sona I soli che non si possono fissare attentamente.
144. Non si vive che per imparar a morire.
145. Bisogna cercar di vivere in modo a non aver bisogno di pensare alla morte.
146. Vivere libero e tenersi poco alle cose umane è il miglior mezzo per imparar a morire.
147. II pensiero della morte se non ci rende più virtuosi, ci rende più moderali e meno avari.
148. l’abbondanza fa morir più gente che l’indigenza.
149. Non è la morte che deve osservarsi in un uomo, ma la di lui vita (1).
Nota: (1) … Sempre muor forte e sereno Di qual sia morte chi sé stesso estima. Alfieri, Son. 91.
150. La morte occupa ogni cosa, toltone il pensiero dell'uomo (1).
Nota: (1) Fosca forma la piaggia adombra Quella è un’ombra: Striscia, sibila, vola via, Ossian, La Notte.
151. Non l’uomo solo è mortale, le opere di lui sono ancor esse soggette a perire.
152. L'uomo muore una seconda volta allorché il tempo ha divorate le sue opere.
153. Le opere egregie conservano all’uomo un'apparenza di vita anche dopo morte.
154. Splende più pura la virtù oltre la tomba.
155. La sola virtù resiste alle vicende della fortuna.
156. La sola virtù è maestosa fra i morti.
157. La fiaccola della verità risplende sempre fra i morii.
158. Non è la morte che sia un male, è l'opinione che la rende terribile (2).
Nota: (2) La statua della morte fra i Lacedemoni era situata vicina a quella del sonno, per assuefarci a riguardarla coll'occhio d’indifferenza. Perché temer la morte? i prodi, o figlio, Cadon con gloria: il loro scudo immoto Rattien la foga alla corrente oscura D’aspri perigli l e ne travolve il corso. Emi bianchi lor cria fama si posa. Ossian, Latmo.
159. Disprezzare la morte non è grandezza d'animo, è però sempre debolezza ili temerla.
160. Molti discorsi intorno al morire è di già debolezza (1).
Nota: (1) Plura de extremis loqui, pars ignaviae est. — Taciti Histor. II, 48.
161. È ben infelice chi desidera la morte, ma maggiormente chi la teme.
162. Non v’ha più terribile situazione di quella d’un uomo che teme la morte ed è stanco di vivere.
163. Gli uomini niente più bramano di conservare, e niente meno risparmiano della propria vita.
164. Meglio è morir onorato che vivere con vergogna.
165. Troppo desio di vivere s’oppone a grandi imprese.
166. È meglio con virtù che con istrazj e scherni render l’ultimo fiato.
167. Al solo uom forte non è sempre con cesso il morire (2).
Nota: (2) ….. Spesso è da forte, Più che il morire, il vivere. Alfieri, Oreste, atto IV. ..... Ultimo, e sempre Certo partito egli è il morir; né tolto Ai forti è mai: ma a tutti Necessario ei non è. Alfieri, Sofonisba, atto IV.
168. Giova più il morir con onore che il vivere con obbrobrio (1).
Nota: (1) Così quest’alta donna (Sofonisba) a morte venne Che, vedendosi giunta in forza altrui, Morire innanzi che servir sostenne. Petrarca, Trionfo d’amore.
169. È un vivere troppo lungo tempo il sopravivere a' suoi infortunj.
170. Talora è peggio il viver troppo, se buona fama non ci sostiene (2).
Nota: (2) ….. i vili Cui non scaldò' di bella gloria il foco, Vivendo lunga età, vissero poco. Metast., Ezio, atto III.
171. È più doloroso rapprendere il male che sostenerlo.
172. È capace di tutto intraprendere chi non teme la morte (3).
Nota: (3) Non sostiene ritorte e catene Chi di morte paura non ha. Monti nei Pitagorici
173. Chi s'addormenta nel seno di suo padre non si crucia di quando si risveglierà.
174. La morte è sovente un sollievo all’uomo infelice (4).
Nota: (4) Non è ver che sia la morte Il peggior di tutt’i mali; È un sollievo de’ mortali Che son stanchi di soffrir. Metastasio.
175. Agli infelici difficile non è il morire (1).
Nota: (1) Rebus in adversis facile est contemnere vitam: Fortis ille facit, qui miser esse potest. Martialis Epig. Lib. II. Consultato talete qual differenza passa tra il vivere ed il morire, rispose: tutt’uno; replicatogli, perché dunque non morrie? Rispose: perché è tutt’uno.
176. Non mai tarda è la morte, quando è termine alle nostre pene.
177. L’unica cosa di cui sono capaci i morti è di obliarci (2).
Nota: (2) … piangi, o padre, piangi Il figlio tuo; ma il figlio tuo sotterra Non t’ode più; forte è de’ morti il sonno, E basso giace il lor guancial di polve. Ossian, Canti di Selma.
178. Se vuoi vivere un'altra vita dopo morte devi procurarti una riputazione di cui i tuoi figli non abbiano a vergognarsi.
179. La virtù, ed il merito non passano ai posteri come i titoli, che ne sono la ricompensa.
180. Si dee onorare la propria vita non colle parole altrui ma con le proprie azioni.
181. Quantunque d’una breve vita goda l’uomo, lunghissima lasciar debbe di se memoria.
182. La pompa de funerali riguarda maggiormente la vanità de’ vivi che l'onore de’ morti.
183. Inutili sono i monumenti, basta avere ben vissuto (1).
Nota: (1) Impensa monumenti supervacua est si vita meruimus. —Tacit.
184. L’epitaffio è l’ultima vanità dell'uomo.
185. L’epitaffio è un segno più certo dell’orgoglio de’ vivi, che delle virtù del defunto.
186. Gli epitaffi sono le gasconate de’ morti.
187. La morte è eguale per tutti; la sola buona fama la distingue (2).
Nota: (2) Mortem omnibus ex natura aequalem, oblivione apud posteros vel gloria distingui. — Tacitii Hist. c. XXI.
188. La vita de’ morti consiste nella memoria de’ vivi (3).
Nota: (3) Vita mortuorum in memoria posita est vivorum. — Cic. Philip. IX.
189. La tristezza è il più nobile apparato di una pompa funebre.
190. Alle donne è onesto piangere i defunti, agli uomini ricordarsene.
191. Il piangere gli estinti sovente alleggerisce il duolo (4).
Nota: (4) …. Innamorata Donna, che, a brun vestita, il volto inchina Sovra la pietra che il suo sposo serra, Vedelo ancora, gli favella, l'ode, Trova ciò ch’è il maggior ne’ più crudeli Mali ristoro: uh lagrimar dirotto. Pindemonte, I Sepolcri.
192. Non si dee onorare le ceneri degli estinti con splendidi apparati, ma solo col rammentare le loro virtù ed imitarli.
193. Il tempo del latto non dee essere limitato quando il dolore è vero.
194. Quand’il dolore è falso, è inutile il latto; ciò non è che prolungar l’impostura (1).
Nota: (1) Chi troppo al pianto s’abbandona ha torto; Ciò nuoce al vivo, e non fa bene al morto. Cent. Piacent. III, 78.
195. Per onorare i parenti morti non basta il lutto; vi abbisogna l'imitazione delle loro virtù.
196. Dopo la morte ognun è lodato (2).
Nota: (2) Dunque bisognerà dire: stia pur lontano il giorno delle lodi. La publica censura è ognor coi morti Indulgente, ognor rigida co’ vivi. Di quei par che più non rammenti i otrti, E questi par di guiderdon li privi. Oh! Se i buoni attributi in voi son corti, Se pochi son, moltissimi i cattivi; Acciò spariscan questi, e appaja il resto, Sgombrate dalla terra e fate presto. Casti.
197. Le lodi in favore de’ morti insegnano come si debba vivere.
198. Le lodi ai morti fanno la censura ai vivi.
199. In alcuni paesi i morti sono il terrore de’ vivi (3).
Nota: (3) …. Non mai l’ombre Mi spaventaro: esse sali poco, e fiacche Son le lor destre, ed han nel vento albergo. Ossian, morte di Cuculiino.
200. Il sepolcro fa paura anche alle anime sanguinarie.
201. La veduta de' sepolcri, come l'aere che ivi respirasi, è salubre alla verità e mortale per l'orgoglio.
202. L'ombra degli estinti sembra aggirarsi sempre All’intorno del sepolcro (1).
Nota: (1) ….. due muscose pietre, Mezzo ascoste sotterra, ai riguardanti Segnan quel luogo: dall’alpestre balzo Bieco il sogguarda il cavriolo, e fugge Tutto tremante, che nell’aere ei scorge La pallid’ombra ch'ivi a guardia siede. Ossian, Cartone.
203. I sepolcri degli uomini probi e virtuosi eccitano gli animi alla virtù (2).
Nota: (2) A egregie cose il forte animo accendono L’urne de’ forti. Ugo Foscolo, Dei Sepolcri Né già conforto sol, ma scuola ancora Sono à chi vive i monumenti tristi Di chi disparve. Pindemonte, I Sepolcri.
204. Senza l’esempio degli antenati, a' giovani talvolta poco gjova rammemorar la virtù (3).
Nota: (3) Ma il giovinetto, che que’ sassi guarda, Venir da lor al cor sentesi un foco Che ad imprese magnanime lo spinge. Pindemonte, I Sepolcri.
205. Il sepolcro de padri suoi è la scuola migliore per l’uomo.
206. Dai tumuli domestici non può uscirne che grato odore (1).
Nota: (1) …. Nunc non e manibus illis Nunc non e tumulo fortunataque favilla Noscentur violae? Persio, Sat. I, 38.
207. Il giusto mentre vive non teme di fabricarsi il proprio sepolcro (2).
Nota: (2) ma il solitario loco orni e consacri Religion, senza la cui presenza Troppo è a’mirarsi orribile una tomba. Pindemonte, I Sepolcri.
208. Il sepolcro non è orribile che pel vizioso.
209. Tutto copre il sepolcro, gloria e potenza ivi si chiude (3).
Nota: (3) …. Anche la Speme, Ultima Dea, fugge i sepolcri; e involve Tutte cose l’obblio nella sua notte. Foscolo, Sepolcri.
210. II potente, ignorante nella sublime scienza dell’orgoglio, palesa alla vista dei sepolcri il terrore che sente.
211. L'orgoglioso che ragiona nulla teme, e con ciò aumenta il suo amor proprio.
212. L'amor proprio è comune agli uomini tutti.
213. L'amor proprio è il maggiore degli adulatori (1).
Nota: (1) L’amor proprio è il primum vivens e l’ultimum moriens del nostro cuore; quando si scaccia dalla porta entra per le finestre. Naturam expellas furca, tamen usque recarret. Horat.
214. L’amor di sé stesso renderebbe gli uomini tiranni degli altri se la fortuna gliene dasse i mezzi.
215. L’amor proprio rende sempre gli uomini idolatri di sé stessi.
216. Pel troppo amor proprio sempre l'uomo è signoreggiato (2).
Nota: (2) .... Ma corrotta Età viviam: gloria è il servir; virtude L’amar sé stesso. Alfieri, Congiura, atto I.
217. L’amor proprio è l’autore di tutti i vizj e virtù morali, secondochè è bene o male inteso.
218. L'amor proprio non si riposa mai fuori di sé.
219. Ognuno ama sé stesso sopra gli altri, non giammai gli altri come sé stesso (3).
Nota: (3) Scoprì chi sull’amor studiò ex professo, Che infin tutto è amor proprio e di sé stesso. Cent. Piacent. VI, 65.
220. Noi amiamo sempre coloro che ci ammirano.
221. Noi non ammiriamo sempre quelli che noi amiamo.
222. L'amor proprio non si ferma su stranieri soggetti, come le api sopra i fiori, che per cavarne ciò che gli aggrada.
223. L’amor proprio è una malattia difficile a guarirsi.
224. Dell'amor proprio niente è si impetuoso quanto i di lui desiderj.
225. Niente è tanto nascosto quanto i progetti dell'amore di sé stesso.
226. Quando l’amor proprio è sedotto, il cuore è vinto.
227. La più gloriosa vittoria è vincere sé stesso.
228. L’amor proprio è più abile che il più abile uomo del mondo.
229. L'amor proprio ci rende più sensibili al le disgrazie che ai favorì della fortuna.
230. Niente è cotanto abile quanto sono le azioni dell’amor proprio.
231. L’amore di sé stesso ora sregolato, ora cieco e disordinato, fu il principio fecondo di tutte le calamità.
232. Noi non risentiamo i nostri beni ed i nostri mali che a proporzione del nostro amor proprio.
233. Non v'ha passione ove l’amor di se stesso non regni sì potentemente che nell'amore.
234. È più facile amare coloro che noi odiamo, che coloro che ci amano più che noi non vogliamo.
235. Coll’amor proprio è sempre l’egoismo e l’ignoranza (1).
Nota: (1) Egoista e misantropo si chiama Chi fuori che sé stesso altri non ama. Cent. Piacent. IX, 6.
236. Chi si risente assai per lieve offesa fa palese molta superbia e molto amor proprio.
237. Sovente si è più disposto a sacrificare la quiete di chi si ama, che a perdere il proprio riposo.
238. L’amator di sé stesso ha un amore che non ha rivali (2).
Nota: (2) Marziale disse ad un amatore di sé stesso: Quare desine jam tibi videri; Quod soti Ubi Caecili videri.
239. Chi conosce le insidie dell’amor proprio sa che il di lui sottil veleno s'insinua anche nelle più sublimi virtù.
240. Non avvi vanità più odiosa, quanto il far l'elogio a sé stesso facendo la satira di tutti gli altri.
241. Dall'amor proprio deriva l'invidia, e da questa le persecuzioni.
242. L’amor proprio è inseparabile dal falso zelo (1).
Nota: (1) Elvezio dice che l’ipocrisia ha posto il punto d’appoggio in cielo per mettere sottosopra la terra.
243. L'amor proprio, rinchiuso in stretti limiti, è un legame della società; lasciato in sua balla, n'è il flagello.
244. La base necessaria d’ogni associazione è l’amore di sé stesso; da ciò dipende il destino d'ogni nazione.
245. Gli uomini sentono a un dipresso all’ingrosso ciò che loro è utile.
246. Il dispregiarsi da sé stesso fuor di modo è segno di occulta ambizione o di manifesta viltà.
247. L’esistenza d’un uomo che non stima sé stesso è un supplizio lento che lo fa a pezzi.
248. Il troppo grande amore di sé stesso è sempre punito dall’altrui disprezzo.
249. Non v’ha persona che non abbia sì sovente torto, quanto coloro che non possono soffrire di averne.
250. II piacere che sentiamo a parlare di noi stessi ci dee far temere di poco piacere a coloro che ci ascoltano.
251. L'amor proprio è il difetto di tutti gli uomini, ed il più pericoloso nemico della ragione (1).
Nota: (1) L’amore di noi stessi è naturale; L’amor proprio ne accieca e induce al male. Casti.
252. La maggior parte degli uomini il meno che conosca è sé stesso.
253. Pochi sono che sappiano render conto de principj co’ quali dirigono le loro azioni.
254. Felice chi conosce sé stesso e sopra tutto i suoi difetti.
255. II principio della sapienza è conoscere noi stessi.
256. La presunzione è la passione viva degli spiriti leggieri.
257. La presunzione non può derivare che dall’ignoranza.
258. La presunzione opera in modo che gli uomini amano più di comparir grandi che di esserlo veramente.
259. Il presuntuoso è un cieco che non conosce sé medesimo (2).
Nota: (2) Di fitta notte viaggia senza lume Chi di saper quel che non sa presume. Casti.
260. La vana presunzione di taluni è sempre in proporzione della loro ignoranza.
261. La presunzione fa commettere varie stoltezze che si eviterebbero se si sapesse farsi giustizia (1).
Nota: (1) Urtano ad ogni passo in qualche scoglio La cieca presunzione e il forte orgoglio. Casti.
262. La presunzione, ci fa fare maggiori cose contro il nostro genio, che la ragione.
263. Le passioni più violenti ci lasciano qualche volta tranquilli, non mai la presunzione.
264. Se la presunzione non rovescia intieramente le virtù, almeno le scuote tutte.
265. Il presuntuoso è sempre imprudente, e di conseguenza strascina sempre dietro a sé mali funesti (2).
Nota: (2) Nimia fiducia quantae calamitati soleat esse. – Cornel. Nep. Vita Penelop. ….. Felice È in suo cammin di rado Chi varca i fiumi, e non ne tenta il guado. Metast. Achille, atto I.
266. La superficialità delle cognizioni unita alla presunzione porta seco la precipitanza nell'agire.
267. È sempre un grand'ignorante chi troppo presume (3).
Nota: (3) Veggonsi ogni dì degli asini altieri Che d’eguagliarsi ardiscono ai destrieri. Prov. Triv.
268. Chi può meno assai presume.
269. La presunzione accresce sempre la vanità e la stupidezza.
270. La vanità e la stupidezza uniscono disparati eventi, che assieme accrescono la caparbietà.
271. La vana presunzione fu sempre figlia della caparbietà.
272. Gli ostinati ed i caparbj non vogliono credere che a quanto essi concepirono.
273. Un preteso dotto è la cosa più incomoda nella società civile (1).
Nota: (1) Tel y vieni qui sait pour tout secret Cinq et quatre font neuf, otez deux, font sept. Boileau.
274. L'uomo pieno di vanità, è prevenuto del proprio merito, più di tutti annoja.
275. Non avvi presunzione più odiosa di quella di voler comparire più abile de' suoi emuli (2).
Nota: (2) ovunque scorgesi Pretensioni molte e merti pochi, Chi pretende e non merla, ognor vedrai; Chi merta e non pretende, è raro assai. Casti, Anim, par.
276. Non si è mai tanto ridicolo per le qualità che si hanno che per quelle che si affettano di avere (1).
Nota: (1) Giammai un trionfatore fu tanto signoreggiata dall’amor proprio, quanto un infaticabile presuntuoso ciarliere, eterno preconizzatore delle sue azioni, delle sue belle risposte, e fin anco de’ suoi pensieri. Avvicinate costui: egli non vi parlerà che delle proprie opere e degli eroici suoi sentimenti, e chi sa che non sia apparecchiata la sua orazion funebre.
277. L'affettazione è altrettanto insoffribile agli altri ch’essa è incomoda a chi se ne serve.
278. Alcuni pretendono che si tolleri la vanita, ma non possono soffrire quella degli altri.
279. Alcuni perdonano tutto a sé stesso, niente agli altri (2).
Nota: (2) Adeo familiare est omnibs omnia sibi ignoscere, nihil aliis remittere. – Vell. Pater. 116, II, 2, 30.
280. L’altrui presunzione è insoffribile, perché ferisce la nostra.
281. Le ambasce del disonore o della gelosia sono insoffribili, perché la presunzione non può servire a sopportarli.
282. Pazzo è sempre chi crede non aver bisogno de’ consigli altrui.
283. L'aria d’uom di spirito è negli uomini lo stesso che la regolarità de’ lineamenti nelle donne.
284. I presuntuosi sono come le spiche del frumento, quelle che maggiormente s'innalzano sono le più vuote.
285. L'orgoglio che rigonfia l'ambizioso manifesta la di lui bassezza.
286. Gli uomini cominciano coll'amore e finiscono coll’ambizione.
287. Si passa sempre dall'amore all'ambizione, ma non si ritorna mai dalla ambizione all'amore.
288. Tanto l'invidia quanto l'ambizione hanno gli occhi chiusi sopra il merito altrui.
289. La sete dell’ambizione è inestinguibile, come la gelosa ingordigia del commercio non è mai satolla.
290. L'ambizione chiama sempre presso di sé l'ingiustizia e la violenza.
291. Coll'ambizione la sincerità si annulla; altro si ha nel petto altro sulle labra.
292. L'ambizione è la regina delle passioni; l’invidia e l'amore gli sono sottomessi (1).
Nota: (1) Cosi color che fur nemici pria Interesse comun ‘ega e congiunge: Ciascun la sua privata offesa obblia Per soddisfar l’ambizion che il punge; Che se in un core ambizion s'alloga Ogn’altra passion vince e soggioga. Casti, Anim. Parl.
293. L’ambizione è un vizio che di virtù mantiene l’apparenza.
294. L'uomo è più vano che ambizioso.
295. L'ambizione è un vizio, ma alcune volte è la madre e la cagione di molte virtù.
296. L'ambizione è utile, anzi necessaria; ma devesi tener nascosta (1).
Nota: (1) L’ambizioso rassomiglia al viaggiatore dell’Alpi, il quale, appena salito ha una montagna, è punto dal desiderio di salir l’altra.
297. L’ambizione è come l’amore: l’una e l’altro conducono a grandi cose se sono bene diretti.
298. L’ambizione è per l’uomo la sorgente del bene come del male.
299. L’ambizione è per l’uomo quel che sono le ali per gli uccelli.
300. L’ambizioso attribuisce alla sua prudenza ciò che è proprio della fortuna e del caso.
301. L'ambizioso non si sostiene che per mezzo della fortuna.
302. L’ambizioso fonda la sua felicità sull’imaginazione altrui, come il voluttuoso sulla propria.
303. L’ambizione riempie la testa di fumo, e la borsa di vento.
304. L’ambizione non abbandona mai l’uomo a qualunque grado egli salga (2).
Nota: (2) A chi avanzarsi ambisce è grande intoppo Presumer di sé stesso e cercar troppa. Casti, Anim, parl.
305. Arriva di rado in cui si possa dire: io fui ambizioso; o non si è tale, o lo si è sempre.
306. Ciò che sembra generosità non è sovente che un’ambizione nascosta.
307. L’ambizione nascosta sprezza i piccoli interessi per andare in traccia dei più grandi.
308. L’ambizioso sta sempre pronto per approfittare del momento felice per innalzarsi.
309. Il far nascere l’istante opportuno all'ambizioso dipende sempre dall’azzardo.
310. Lo schiavo ha un sol padrone, l’ambizioso ha le persone tutte utili alla di lui fortuna.
311. Senza virtù i talenti dell’ambizioso non producono che celebri misfatti.
312. I talenti dell’ambizioso non fanno che accoppiare l’onore all’infamia (1).
Nota: (1) Purché egli appaghi ambizion che il rode E l’orgoglio fatal che lo divora, Non intende ragion, priego non ode, E il mal ch’ei cagionò non cura o ignora; Ciaco all’altrui calamitadi orrende, E sordo al grido universal si rende. Casti, Animal, parl. XXIII, 28.
313. Non è la povertà che ci rende infelici, ma l'ambizione.
314. L'appetito viene mangiando, e l’ambizione si gonfia a misura che il potere s’aumenta.
315. La presunzione è figlia dell’ambizione, e, come sua madre, l’oggetto dell’odio universale.
316. Tosto o tardi è ingannato da' suoi sentimenti chi non vive che per sé stesso.
317. La maggior parte degli uomini crede più al senso che alla ragione.
318. La ragione difficilmente persuade le menti già incallite con un’opinione.
319. L’impero dell’opinione è il più potente e costante di tutti.
320. Le opinioni governano il mondo e sono le motrici di tutte le azioni umane.
321. L’opinione è la padrona del mondo, e perciò la potenza e la forza più efficace (1)
Nota: (1) L’opinion consacra anche il delitto; Se fissi in tuo favor l'opinione, Fa quel che vuoi, che sempre avrai ragione. Casti, Animal. Parl.
322. L’opinione ha messo in credito l’apparenza della virtù al disopra della virtù stessa.
323. Quando trattasi d’opinioni, l’errore gli stessi diritti della verità.
324. L’opinione è soggetta ad involgersi ne’ suoi dubj, e ci guida sovente in errore.
325. L'opinione varia secondo i costami, le abitudini ed i lumi.
326. I caratteri degli uomini sempre influiscono sulle loro opinioni (1).
Nota: (1) Tale è di ciascun l’opinion tiranna: Chi com’egli non pensa odia e condanna. Casti, Anim. Parl.
327. Non di rado la publica opinione ha forza nell’uomo quanto la virtù.
328. L'uomo di buona fede tollera le contradizioni, perché essa sola fa nascere l’evidenza.
329. La privata opinione nasce dal libero corso de' pensieri, e dalle parole paragonate coi fatti.
330. L'opinione è figlia in origine di una tal qual persuasione, e non mai della forza.
331. Adottare opinioni false ed assurde non è che un difetto di cognizione (2).
Nota: (2) Come è un difetto di logica l’adottarne di contradittorie ed inconseguenti.
332. Quando si parla di un'opinione con asprezza corre il dubio che la persuasione non sia intera.
333. Le false opinioni producono delle gioje passaggere e delle speranze ingannevoli.
334. Ognuno desidera di far adottare l'opinione ch'egli ha.
335. Ogni desiderio nasce dall'opinione fondata sull'imaginazione.
336. I desiderj degli uomini differiscono quanto le loro opinioni.
337. Tutte le persone di poco merito hanno una grandissima opinione di sé medesime.
338. L'opinione giudica inesorabilmente gli uomini e le cose.
339. L'altrui opinione non decide della felicità di chicchesia.
340. Non le cose, ma le opinioni delle cose è ciò che dà fastidio.
341. Non bisogna aver cattiva opinione né di sé né degli altri.
342. L'influenza dell'opinione è la prima molla del Governo.
343. La publica opinione fra una nazione che pensa e che ragiona è la regola del Governo.
344. Non si deve mai urtare la publica opinione senz'aver prima tentato di disabusarla.
345. I Governi denno migliorarsi e perfezionarsi come le opinioni.
346. L’influenza degli scritti, allorché tendono a rinovare o confermare un'opinione, riesce molto superiore al potere delle leggi.
347. È sempre stata la sorte di tutt’i popoli di essere governati dalle opinioni.
348. La publica opinione nasce dallo sviluppo degli eventi e dal carattere dei principali personaggi che compariscono sulla scena.
349. Gli effetti reali e troppo frequenti delle cose d'opinione indeboliscono le forze dell'opinione medesima (1).
Nota: (1) Nell’istesso modo come l'infamia di molti si risolve in infamia di nessuno.
350. Un'opinione universale di probità vale meglio che tutte le finezze.
351. Anche nelle azioni virtuose il caso dirige quasi sempre l'opinione degli uomini.
352. Qualunque opinione è forte abbastanza per farsi sposare a prezzo della vita.
353. L'opinione fa diventar missionario anche lo scellerato, perché vi trova il proprio interesse.
354. Le opinioni religiose hanno su gli uomini maggiore influenza che tutte le altre.
355. Il tempo cancella i prestigi dell'opinione, e conferma i giudizj della natura (2).
Nota: (2) Opinionum commenta delet dies, naturae judicìa confìrmat. — Cic. De Off.
356. Gli uomini non sono che il prodotto dei loro costumi e delle loro abitudini.
357. I costumi sono la condotta dell'uomo.
358. I costumi sono il lento risultato delle circostanze, degli usi e delle istituzioni.
359. I costumi regnano altrettanto imperiosamente quanto le leggi.
360. L'uomo deve a sé stesso l’amore e la stima de’ suoi simili, né può acquistarle che coll’avere dei buoni costumi.
361. Chi ha buoni costumi li ispira facilmente agli altri.
362. I costumi piò che le leggi fanno sempre migliori i cittadini.
363. I buoni costumi sono più potenti sul popolo che le leggi (1).
Nota: (1) Plus ibi boni mores vale ut quarti alibi bonae leges, — Tacit.
364. È più importante dare agli uomini dei costumi che delle leggi e dei tribunali.
365. D'ordinario non sono le leggi che governano, ma bensì i costumi.
366. La crudeltà delle leggi rese sempre atroci i costumi.
367. I costumi emendano la ferocia delle leggi, come i vizj ne corrompono la santità.
368. L’unico mezzo di conoscere le leggi di un popolo è di studiare i di lui costumi.
369. Le buone leggi si mantengono con buoni costumi, ma i buoni costumi si stabiliscono con buone leggi.
370. Le leggi per sé stesse impotenti prendono le loro forze unicamente dai costumi.
371. I costumi sono tanto superiori alle leggi, quanto la virtù è superiore alla probità.
372. I costumi fanno il cittadino col timore dell'opinione, mentre le leggi non lo frenano che pel timore del castigo.
373. L'innocenza e l’inscienza conservano costumi più facilmente che i precetti e le controversie.
374. La libertà, le arti, le scienze contribuiscono sempre a migliorare i costumi.
375. La vera opulenza di uno Stato è nei costumi, e non già nelle ricchezze.
376. Le ricchezze d'ordinario sovvertono i buoni costumi.
377. La corruzione dei costumi rende eguali tutt’i mezzi d'accumulare le ricchezze.
378. La massa dei costumi viene sempre corrotta dall'amore delle ricchezze.
379. La fortuna non cambia i costumi, li copre soltanto.
380. Si cambia di stato, non mai di costumi.
381. L'illibatezza dei costami chiama a sé il sentimento della gloria (1).
Nota: (1) ….il suo costume Chi co’ Numi conforma, agli altri è Nume Metast. Adriano atto II.
382. I costumi dell’animo sono le potenze del corpo.
383. Chi giudica de’ costumi giudica dell’onore.
384. Chi giudica dell’onore prende la sua legge dall’opinione.
385. I pessimi costumi bastano per distruggere la migliore costituzione.
386. Molti Stati perirono non tanto per avere violentate le leggi, quanto per aver violati i costumi e gli usi.
387. L’ordine sociale riposa sulla giustizia, ed i costumi; fuori di queste due virtù dapertutto delitti e sciagure.
388. I costumi si misurano a norma dei principi e della condotta del Governo.
389. Quando il Governo è umano i costumi sono sempre dolci.
390. Le nazioni avranno buoni costumi quand’esse avranno buoni Governi.
391. I costumi di una nazione dipendono unicamente dall’esempio di coloro che la governano.
392. Allorché i costumi de’ grandi sono corrotti, la corruzione gravita sul popolo coll’impeto della caduta.
393. Piò si cade dall'alto, più profonda si fa l’impressione.
394. La corruzione non risale mai, ma discende da una classe all'altra.
395. Un sol uomo talvolta fa il destino delle nazioni.
396. Si prendono facilmente i costumi di quelli coi quali viviamo (1).
Nota: (1) Dum spectant ochli laesos, laediuitur et ipsi. Ov. De remeD. amoris.
397. I costumi, sono il più fermo appoggio della legislazione.
398. Senza costumi non avvi nessuna buona legislazione.
399. La forma e il carattere dei Governi si costituiscono coi costumi dei popoli.
400. La molla dei costumi è la più potente di tutti (2).
Nota: (2) Secondo questa massima Solone delegò la censura ad un tribunale, la cui condotta era la più imponente censura.
401. La censura è utile per conservare i costumi, non mai per ristabilirli.
402. I costumi fanno un’altra natura.
403. In uno Stato la cosa che dà maggior forza è la saviezza dei costumi (3).
Nota: (3) Massime nei grandi ingegni e nei publici amministratori.
404. Quand'il costume s'ingentilisce, gli animi si snervano e si affievoliscono.
405. Sovente chi ha molti talenti ha pochi costumi (1).
Nota: (1) Trop de talents, trop de succès flatteurs Trainent souvent la ruine des mœurs. Gresset, ver-Vert.
406. La mala fede e la menzogna formano il carattere dei popoli scostumati.
407. I costumi dei popoli corrotti sono sempre i costumi dell’uomo debole.
408. L'uomo forte progredisce sempre verso la virtù, e l’illibatezza de’ costumi è la sua vera dote.
409. II ritorno ai buoni costumi non è mai fuori di stagione (2).
Nota: (2) Sera nunquam est ad bonas mores via. Senecae Agamemnon, act. II.
410. Ogni cosa fa il suo giro, e i costumi tornano come le stagioni.
411. Vi sono poche femine il cui merito duri quanto la bellezza.
412. Chi a quarant’anni mena una vita scostumata difficilmente cambia di condotta (3).
Nota: (3) ..... a poco a poco L’alma al male s’avvezza, il reo costume Si converte in natura, E, cieca alfin, di risanar non cura. Metast.
413. I buoni costumi fanno la femina sempre bella (4).
Nota: (4) In America si suol dire che una femina nera (mora) è sovente più candida che le donne bianche quanto a’ suoi costumi.
414. Il merito delle femine non sta nella loro bellezza, ma nei costami.
415. II vero merito non dipende dal tempo né dalla moda.
416. Il buon senso, il sapere, la saviezza costituiscono la persona amabile in ogni luogo, in ogni tempo.
417. Il vero merito non è incomodo che per chi non l’ha.
418. Per acquistare del merito non basta avere buone qualità, bisogna saperne far uso.
419. Non giudicare del merito di una persona dalle sue qualità, ma dall'uso che ne sa fare (1).
Nota: (1) Non posson d’egual merito esser tutti: Gusta i bei, se ne trovi, e lascia i brutti. Cent. Piacent, XII, 100.
420. Il motivo prescrive il merito delle nostre azioni, il disinteresse le perfeziona.
421. La natura fa il merito, ma sovente oltre la volontà anche le ricchezze lo mettono in opera (2).
Nota: (2) Fa per celarsi il inerito ogni prova; Il premio ne va in traccia, e in fine il trova. Cent, Piacent. V, 42.
422. Il gran merito ebbe in ogni tempo degli avversarj.
423. L’arte di saper mettere in opera le mediocri qualità dà maggior riputazione che il vero merito.
424. II mestiere più difficile è quello d'acquistarsi una grande riputazione.
425. Si ricompensano e si stimano più sovente le apparenze del merito, che il merito stesso.
426. Bisogna preferire la solidità del merito al vuoto dell’ostentazione.
427. Sopra la più squisita eccellenza che invecchia, trionfa sempre un merito che sbuccia.
428. Non sono le dignità che danno il merito; non debbono essere che la ricompensa.
429. Un gran inerito eccita molti ammiratori ma pochi amici, e di rado qualche benefattore.
430. Un gran merito è la più eminente prerogativa in cui l'uomo possa essere sollevato.
431. Il vero merito è sempre accompagnato d'onestà e di modestia, come il falso lo è di vanità e di alterigia.
432. Grande nascita ed opulenza sono gli annunziatori del merito; è per essi che più presto si manifesta.
433. Se è un merito l’essere di grande nascita, Io è non minore l’esser tale che più non si cerchi se voi Io siate.
434. Il merito e la fortuna sono irreconciliabili, né possono abitare sotto lo stesso tetto.
435. Un grado eminente è al merito ciò che racconciamento è per una bella persona.
436. Vi sono dei meriti senza che siano inalzati a gradi eminenti, ma non vi è elevazione alcuna senza qualche merito.
437. Il merito non conosciuto corre la sorte cui va soggetta una vita inerte ed oscura.
438. Quasi nessuno s’avvede da per sé stesso del merito altrui.
439. Chi dice male degli altri non è che per sospetto che si ha di un merito superiore al proprio.
440. A chi n'è privo, sempre fu l'altrui merito una cosa incomoda e nojosa.
441. Non si approva alcuno da noi se non per que’ rapporti, che sentiamo aver egli con noi.
442. Lo stimare qualcuna sembra altro non sia che un crederloci eguale.
443. Si è sempre disposti a giudicar male di un merito eminente.
444. La grande riputazione è alcune volte altretanto pericolosa, che cattiva.
445. L'invidia s'attacca al merito come alla sua ombra, né gli è utile, poiché senz'essa cadrebbe in languidezza.
446. Il medesimo merito che fa nascere l’invidia alla fine la fa morire.
447. La maggior prova d'aver grandi qualità è d'essere nato senz'invidia.
448. Il mezzo di non avere invidiosi è di essere senza meriti.
449. Per quelle stesse ragioni che si trascura un uomo di merito, si ammira uno sciocco.
450. La confidenza che ci dà il nostro merito è un gran pegno dell’altrui volontà.
451. È impossibile il sostenere una riputa zione che sia al di sopra del nostro merito.
452. Il vero merito può solo guarentirci dai vizj che nella povertà ci pervertono (1).
Nota: (1) Non può darsi più fiero martire Che sugli occhi vedersi rapire Tutto il premio d’un lungo sudor. Per la gloria stancarsi che giova, Se nell’ozio pur gloria si trova, Se le colpe son strade d’onor? Metast. Parnaso accusato.
453. Se i vizj ci pervertono nella povertà, gli errori nella mediocrità ci fanno traviare.
454. V’hanno cattive qualità che sono il prodotto de’ grandi talenti.
455. I vizj partono sempre da una depravazione di cuore.
456. I difetti sono prodotti da un vizio di temperamento.
457. Il ridicolo proviene sempre da una mancanza di spirito.
458. Il motteggio è certo indizio di mancanza di spirito.
459. Ridicolo è colui che nel mantenersi tale ha tutte le apparenze di sciocco.
460. Lo sciocco non si scosta mai dal ridicolo; quest'è il suo carattere.
461. Lì uomo di spirito dà talor nel ridicolo, ma sa altresì uscirne.
462. Un contrassegno della mediocrità di spirito è l’esser sempre in racconti.
463. Alcune buone qualità sono come i sensi, coloro che ne sono totalmente privi non li possono né vedere né comprendere.
464. Un uomo virtuoso, abbia o non abbia spirito e coltura, sarà sempre un uomo di merito.
465. L’uomo virtuoso non può mancare di adempiere a’ suoi doveri (1).
Nota: (1) Eterno obbrobrio coprirà quel vile Che sfuggir brama al suo dover; un empio, Un perfido è chi la virtù tradisce. I templari, traduz. Di Franco Salfi.
466. La buona condotta morale risulta dalla saviezza e dalla buona inclinazione.
467. La sola cognizione necessaria agli uomini è quella dei proprj doveri.
468. Il bene a cui l'uomo è sensibile sta nella fiducia di aver adempiuti ì suoi doveri con fedeltà ed onore.
469. L'intima convinzione d'aver bene adempiuto i doveri suoi accresce la propria felicità.
470. È sempre ragionevol cosa che l'uomo eseguisca i proprj doveri.
471. Il primo dovere è quello di ubbidire alle leggi senza dispensarsene sotto qualsiasi pretesto (1).
Nota: (1) Tutti dell’uomo vantano i diritti, Sui doveri dell’uom tutti stan zitti. Cent. Piacent. VII, 63.
472. La vita è un nulla per l'uomo che stima i suoi doveri al disopra di tutto.
473. Un animo generoso sottomette le proprie passioni al suo dovere.
474. La legge delle azioni è tanto essenziale alla moralità, che sovente tutta la morale si riduce a questa legge.
475. La morale è unir scienza il cui oggetto è la conservazione e la felicità della specie umana.
476. La morale è la felicità dimostrata, cioè che insegna agli uomini il condursi bene.
477. Dai costumi regolari della morale risulta la felicità delle nazioni, e perciò è veramente la scienza della felicità.
478. La morale è la scienza necessaria per bilanciare i diritti e le obligazioni dell'uomo.
479. La morale appartiene all’uomo più d'ogni altra scienza, perché risguarda lui solo.
480. È necessaria una disciplina per la condotta, com’è necessario un ordine per le idee.
481. S'impara a praticare la virtù praticando quelle cose che vi conducono, oche almeno ne ricordino l'idea.
482. La virtù non può essere assicurata che dall'uso e da certe pratiche che prevengono fa negligenza o la dimenticanza.
483. Le buone azioni non possono essere preparate e guarentite che dalle buone abitudini.
484. La morale non è una scienza speculativa; non consiste unicamente nell'arte di ben pensare, ma in quella di ben fare.
485. Nella morale trattasi meno di conoscere che di operare.
486. La morale non ha altro oggetto che le relazioni tra uomo e uomo.
487.La morale fu la prima ad essere conosciuta dall'uomo, ed è la più vicina alla sua perfezione.
488. La morale è un composto di elementi complicati nelle loro azioni, ma invariabili nella loro natura.
489. La morale senza precetti lascia la ragione senza regola.
490. S’impara la morale coll’esercizio de’ buoni costumi, non mai colla scienza.
491. La moralità debb’essere una quantità costante di tutti gli istanti.
492. L'ufficio della morale volgare è di declamare contro gli effetti, perdonando alle cagioni.
493. Il vero interesse sempre trovasi d’accordo colla sana morale.
494. Le cattive massime corrompono la ragione, né più lasciano alcun mezzo per ritornare al bene.
495. Né le scienze né la filosofia bastano per sciogliere i complicati problemi della morale e della felicità.
496. La morale, che è la regola del costume, s’insegna più cogli esempi che coi precetti (1).
Nota: (1) Secondo i Francesi la parola morale viene da moeurs, costumi.
497. Il ben dire appartiene a pochi, ma il ben vivere conviene a tutti.
498. Il fondare la morale su ragionamenti sublimi è lo stesso che fare una morale di speculazione.
499. Il mezzo più alto a comunicare le Idee morali debb'essere per la strada del sentimento.
500. Molti sentono, ma pochissimi ragionano.
501. Non è che il sentimento ed il cuore che condiscano la veramente buona società.
502. Il sentimento non fa sofismi, l’intelletto ne fa moltissimi.
503. Il vero mezzo d'essere felice è quello d'essere uomo dabbene.
504. La morale che regola le azioni dei privati non è diversa dalla politica, che è la morte degli Stati.
505. La morale e la politica devono avere per oggetto la conoscenza degli uomini.
506. La riputazione di una buona morale è altretanto importante per i principi che pei particolari.
507. L'immortalità è più temibile che l’orgoglio.
508. L'orgoglio solo formò i sapienti del’antichità.
509. Il desiderio della perfezione sovente è confuso coll'orgoglio.
510. L’amore'della virtù non mai debb’essere confuso coll’orgoglio.
511. Altretanto è onesta cosa l’essere glorioso con sé stesso, com'egli è ridicolo di esserlo con gli altri.
512. La modestia è una riserva sopra tutto quanto riguarda la stima di sé stesso.
513. La modestia proibisce l'ostentazione di quanto possediamo e di quanto abbiamo sofferto.
514. L'orgoglio è il maggiore de' vizj, come pure n'è il più ridicolo.
515. L’orgoglio è eguale in tutti gli uomini, non v'è differenza che nei mezzi e modi di farlo palese.
516. La fierezza è Io scoppio, ossia la dichiarazione dell'orgoglio.
517. Chi non è orgoglioso non si lamenta mai dell'altrui orgoglio.
518. Se noi non avessimo alcun orgoglio, non ci lamenteremmo di quello degli altri.
519. II nostro orgoglio si aumenta sovente da quanto noi difalchiamo dagli altri nostri difetti.
520. La prontezza a credere gli altrui difetti senza averli esaminati è effetto di orgoglio più che di pigrizia.
521. Lo stesso orgoglio, che ci fa biasimare i difetti di cui ci rendiamo esenti, ci porta a sprezzare le buone qualità che non abbiamo.
522. L’uomo è orgoglioso del suo talento, quando non conosce quello degli altri.
523. L’orgoglio rende gli uomini dispiacevoli, come la vanità li rende ridicoli.
524. La furba insolente de’ ricchi orgogliosi non pensa agli sventurati che per insultare alla loro miseria.
525. Chi comanda con orgoglio è altretanto più pronto a servilmente obbedire (1).
Nota: (1)….. Là dove Il suo merto ostentar ciascuno procura, Lavirtù che più splende è men sicura. Metast., Temistoc., atto II.
526. Dapertutto ed in ogni tempo l’uman orgoglio da sé medesimo fece alleanza col nulla.
527. I vanagloriosi vogliono alzarsi al disopra degli altri uomini, come le spiche vuote s'alzano al disopra delle spiche piene (2).
Nota: (2) ….. no parla Chi orgogliose stoltezze al vento spande, Né alcun lo ascolta. Alfieri, Bruto II, atto I.
528. Tanto nel popolo che nei grandi il fastoso dispregio dinota ordinariamente pochi lumi.
529. Non avvi persona tanto orgogliosa quanto uno che con pochi talenti giunse alle grandi magistrature (3).
Nota: (3) Anche i Francesi sensatamente dicono: Il n’y a rien de plus orgueilleus Q’un riche qui a ète gueux.
530. L'orgoglio è il sentimento della mediocrità, e la confessione della nostra debolezza.
531. Il trattare con alterigia nasce dall’alta opinione che uno ha di sé stesso.
532. Il trattare con disdegno deriva dalla bassa opinione che uno ha degli altri.
533. L’orgoglio è legalo col desiderio d’inalzare sé stesso, e di abbassare gli altri.
534. L'orgoglioso ha sempre soverchia stima di sé stesso; il vanaglorioso cerca soverchiamente la stima degli altri.
535. La troppa stima di noi stessi vien spesso punita col disprezzo universale.
536. È altretanto onesto l’essere glorioso con sé stesso, quanto e ridicolo di esserlo cogli altri.
537. Ciò che rende l'altrui vanità insoffribile è che ferisce la nostra.
538. Se la vanità non rovescia intieramente la virtù, almeno si scompagina.
539. L'estensione della virtù dee misurar la grandezza dell’uomo ambizioso, e la sola virtù può ingigantirlo.
540. L'austera ed indipendente virtù è debitrice all’orgoglio, che coll’acuto stimolo ognor la punge d’emulazione.
541. Maggior sarebbe nella società il numero delle virtù, se l’anima fosse meno superba.
542. Fra tutt'i vizj il più mal consigliato è l’orgoglio.
543. Quanto più l’uomo presume di rendersi grande, tanto maggiormente si rende piccolo (1).
Nota: (1) Altiero io non ti vò: Mai non ti loda tu; Sempre bella spiccò La modesta virtù.
544. Il mostrarsi avido d’elogi è un solleticare nella parte più sensibile l’amor proprio degli altri.
545. La vanità è il più intimo dei nostri consiglieri, ed il suo avviso sempre prevale.
546. L'orgoglioso è talmente ostinato, ch’è persuaso di degradarsi chiedendo l’altrui parere.
547. La vanità è un vizio attaccato alla natura: bisogna cessar d'esistere per esserne esenti.
548. L'orgoglio è, riguardo alle nostre passioni, ciò che un buffone in una compagnia.
549. L’orgoglio si manifesta coll’affettazione c coll’ostentazione.
550. L’orgoglio si conosce coll’altrui negligenza, l’inattenzione e l’arroganza.
551. La disposizione allo sprezzo è incotti patibile coll’affetto, col candore ogni riguardo possibile.
552. L'orgoglio è la mancanza dei riguardi che si devono ad ognuno, e consiste nello sprezzarli.
553. Non è orgoglio quando si sprezza ciò che non è degno d’apprezzarsi.
554. Avvi sovente più d'orgoglio che di bontà nel compiangere i mali dei nostri nemici.
555. L'orgoglio ha le sue bizzarrie come le altre passioni (1).
Nota: (1) Si ha rossore di confessare che si ha della gelosia e si fa un onore d’averne avuta, e d’essere capace d’averne.
556. Lo sprezzar la gloria o l'onore che cotanto è dagli altri stimato, è un gloriarsi e onorarsi sopra tutti gli altri.
557. I titoli fastosi sono orgoglio in chi li usurpa od accetta, sono bassezze in coloro che li danno.
558. Quando l’orgoglio cammina innanzi, ne viene appresso vergogna e perdita (2).
Nota: (2) Lodovico XI re di Francia si serviva di questa massima nel rispondere a coloro che gli rimproveravano di non conservare sufficientemente la sua dignità.
559. Non v’è pazzia di cui non possa guarire un uomo che non sia pazzo, fuorché la vanità.
560. Non v’ha che l’esperienza che possa correggere la vanità, se pure qualche cosa può correggerla.
561. Quelli che si chiamano i servitori dei servitori sono sempre i più orgogliosi degli uomini.
562. L'orgoglioso è talvolta umile, perché sarebbe esposto a mille insulti se si manifestasse apertamente.
563. L'estrema modestia ha i suoi pericoli quanto l'orgoglio.
564. L’orgoglio s’indennizza sempre, e perde nulla anche allorquando rinuncia alla vanità.
565. La vanagloria è un ramo di pazzia, il cui tronco è l'orgoglio.
566. Si deve aver disprezzo del ricco orgoglioso, ma il povero orgoglioso si deve rinchiudere all'ospedale de’ pazzi.
567. Chi vive coll’orgoglioso, orgoglioso diventa (1).
Nota: (1) Chi tocca la pace rimane imbrattato. Prov. Triv.
568. La lunga prosperità partorisce negligenza ed orgoglio.
569. Il vestir magnifico è prova di cervello leggiero.
570. L’orgoglio non vuol doveri, e l'amor proprio non vuol debiti (2).
Nota: (2) Fuggi gli onori sterili, e piuttosto Che il leggier fumo, scegli il pingue tosto. Cent, Piacent. X, 91.
571. È un gran male esser buono a nulla, ma è peggiore l’esser buono a tutto.
572. L’orgoglioso non avrà mai buona fama di uomo virtuoso.
573. È più difficile a conservarsi una riputazione che a farsela.
574. È naturale alle grandi anime il desiderio di procurare l’immortalità ai loro nomi.
575. Chi vive senza rimproveri non teme che gli venga oscurala la fama (1).
Nota: (1) Olgiato, uno degli uccisori di Galeazzo duca di Milano, soffrendo il supplizio dovuto suo delitto si consolava con queste parole: Mors acerba. fama perpetua, stabit vetus memoria facti.
576. La gloria è la prima virtù degli eroi.
577. La fama serve più sovente di tomba alla fortuna, che al merito.
578. Una perfetta riputazione consola l'uomo onesto, e lo ricompensa della cattiva sua fortuna (2).
Nota: (2) Duni existimatio est integra, facile consolatur egestatum honestas — Cic. Pro Publio.
579. Non si può acquistare una buona faina li che diventando quale si vuole essere creduto.
580. La fama è l’ultima veste che lasciano anche i filosofi (3).
Nota: (3) Etiam sapientibus cupido gloriae novissima exuitur. — Tacitit Histor. IV, 6.
581. Far parlare di sé la fama e esser celebre, ma non è già essere illustre.
582. Un gran nome difficilmente si conserva; la troppa estimazione reca sovente pregiudizio (1).
Nota: (1) magnum enim labor est magnae custodia famae. – tacit.
583. La gloria dogli uomini si deve sempre misurare dai mezzi con cui si sono serviti per acquistarla.
584. Non è onorevole a persona savia il procacciarsi gloria dove ad altri deggia apportar danno.
585. La gloria e l'infamia sono vane se non si rapportano ai beni ed ai mali reali che li accompagnano.
586. La tromba della fama da ognuno è suo nata, da ognuno è sentita (2).
Nota: (2) Fama crescit cundo, Minuit praesentia famam.
587. D’ordinario si passa per ciò che si è tenuto, e non perciò che si è realmente.
588. Felice è colui che gode una buona fama, quand’anche non la meritasse.
589. Infelice è chi ha una cattiva fama abbenché sia innocente (3).
Nota: (3) Ovinione regitur mundus.
590. La fama dipende sempre dalla buona o pessima idea che forma la stoltezza degli altri (1).
Nota: (1) Dell’alte imprese, ottima o trista pende, Dall’evento la fama. Alfieri, Agide, atto I.
591. S'inalza la gloria degli uni per abbassare quella degli altri.
592. Perduta la fama, più altro non si può perdere (2).
Nota: (2) Ego, si bonam famam mihi servasso, sat ero dives —. Plautus, Mostellaria, I, 3. Buona fama vale più che borsa piena. Buon nome vale più che cintura dorata. Prov, triv.
593. Chi perde la riputazione, difficilmente la ricupera.
594. Ad acquistar molte sono le vie, e natura a ciascuno le addita.
595. La stima de' suoi simili è un bisogno per tutti.
596. Se fama ampia non va, virtù sen giace (3).
Nota: (3) Jacet omnis virtus, fama nisi lata pateat. – Publ. Sirus.
597. Gloria ed ambizione sono vie certe ad infamia, se virtù non le guida.
598. Per molta voglia di vivere molti oscurarono lor fama.
599. La buona fuma è la vera vita; si vive anche dopo morte.
600. Buona fama debbesi sopra ogni altra cosa procurare.
601. Chi non prezza la fama disprezza la virtù.
602. Il buono e l'inetto del pari desiderano comando, onori e fama.
603. Per la via retta il buono si spinge sempre ad acquistar buona fama.
604. La riputazione e gli onori sono il fruito delle luminose virtù.
605. L’uomo inetto, delle vere arti sprovisto, con frode ed inganni spingesi ad acquistar fama.
606. Si deve desiare più la gloria con l’ingegno acquistata, che non colla forza (1).
Nota: (1) Rectius videtur, ingenii, quam virium opibus gloriam querere. – Sallust. Catil.
607. La gloria d’una fama luminosa è il concerto unanime di una ammirazione universale.
608. Chi meritò vera gloria non mai se ne vantò (2).
Nota: (2) ….. le lor passate imprese Sono all’alme de’ forti un sogno, un’ombra; E van pel campo delle fama in traccia Di novelli trofei, né dai lor labri Escon mai voci di baldanza e vanto. Ossian, Temora, V.
609. La gloria, premio delle nobili imprese, né si conseguisce né si serba senz'affanni.
610. Non v'è gloria senza virtù, ma vi sono virtù senza gloria.
611. La gloria è lo splendore d’una buona fama, come la celebrità lo è di una fama estesa.
612. La gloria è la stima che si concepisce di un uomo per rutile che ha procacciato ad altrui.
613. Fugge la fama ogni solitudine, e volentieri siede in publico.
614. Il primo premio d’ogni alta opera è la gloria.
615. A' principi altro non manca se non fasciare di sé felice memoria e gloriosa fama (1).
Nota: (1) Quanti passar com’ombra Dei duci antichi e senz’onor di fama! Ossian, Berato.
616. La gloria consiste nell’intima certezza di veramente meritarla.
617. La vera gloria è portata con sé stesso al sepolcro morendo.
618. Rara è quella fama che lungamente si conservi dopo il sepolcro.
619. Dimenticanza sovente copre estinti e vivi.
620. Chiunque muor da grand'uomo, certo è che visse da uomo grande.
621. L'uomo grande è sempre tale quantunque iniqua gli si mostri la fama.
622. L'amor della gloria fa gli eroi, ed il disprezzo della gloria fa gli uomini grandi.
623. Fama di modestia ne' grandi uomini più riluce ed è più cara a Dio.
624. La gloria, quand’è data dall'universalità, non si può mai dire surretta.
625. L'amore della fama presente, e non vera, spesso fa perdere o scemare la futura, sola verace e durevole.
626. La misura della fama acquistata sta nel maggiore o minor utile che si è, arrecalo agli uomini.
627. La gloria è un nulla se non è accompagnata da qualche vantaggio.
628. Il desiderio dell'immortalità è sempre stato il mobile delle più grandi cose.
629. La soverchia voglia di vivere s'oppone all’acquisto di nuova gloria, e scema lo splendore dell'antica.
630. Chi cammina al sole è accompagnato dall’ombra; chi pel sentiero della gloria per compagno l’invidia.
631. Un magnanimo disprezzo avviva la fama e non l'abbassa.
632. Non havvi gloria luminosa che talvolta non sia soggetta ad essere ecclissata.
633. Infelice è quella riputazione che viene oppressa da un partito dominante.
634. La gloria umana sparisce come filmo ed ombra.
635. il conservar la gloria è al sommo difficile.
636. Non v'ha al mondo uomo grande, a cui il publico non dia un rivale (1).
Nota: (1) Populus neminem sine aemulo sinit. – Tacit. Anal. III
637. La gloria, essend'un premio ideale, ed un mero nome, nulla toglie a chi la dà.
638. Gli onori che dà la posterità sono soggetti come gli altri ai capricci della fortuna.
639. La gloria della prosperità non è che il regno dell’illusione, e svanisce con essa (2).
Nota: (2) Non è il mondan rumore altro che un fiato Di vento ch’or vien quinci ed or vien quindi, E muta nome perché muta lato. Dante, Purg., XI, 100.
640. Veruna gloria appartiene alla prosperità; essa usurpa quella dei talenti, di cui si suppone essere la compagna.
641. L'amore della gloria fa sorgere gli eroi.
642. L'amore della gloria è sovente la cagione di quel coraggio tanto vantato fra gli uomini.
643. La fortuna e l'ardir van spesso insieme.
644. Il coraggio consiste nella difficoltà di resistere agli ostacoli ed ai pericoli.
645. L’uom coraggioso è sempre quello che è mal assistito dalla fortuna.
646. Il vero coraggio basta a sé medesimo (1).
Nota: (1) ….. verace valor, benché negletto, è di ses stesso a sé fregio assai chiaro. Tasso, Gerus., II, 60.
647. Il più coraggioso è colui che persiste a fare il suo dovere a costo della sua fama.
648. Il perfetto valore è di fare senza testimonj quanto si potrebbe fare in publico.
649. Il vero valore è sempre diretto dalla ragione.
650. Un valore inutile non è che un’imprudenza temeraria.
651. Il coraggioso conosce il pericolo, come pure la necessità di affrontarlo (2).
Nota: (2) ….. ad urtar coi forti Pari vuolsi all’invidia aver l’ardire, E non men pari all’alto ardir la forza. Alfieri, Congiura, atto II.
652. L'eccessivo coraggio non è mai stato una virtù (3).
Nota: (3) Ragion ne insegna l’uo coraggioso e il temerario. Casti, Anim. Parl.
653. La virtù riflette, e la riflessione mette limiti al valore (1).
Nota: (1) Alcuni principi acquistarono il titolo poco glorioso di ardito e temerario, mentre misero nel loro coraggio più di ferocia che di ragione virtù.
654. Il coraggio, purché non giunga alla frenesia, diminuisce i pericoli anche fisici.
655. Il coraggioso guidalo dalla sana ragione conosce il pericolo, lo teme, e vi si precipita.
656. Il vero valore non deve mai andar disgiunto dalla giustizia e dalla generosità (2).
Nota: (2) …. il suo nome altiero Irraggerà di nobili faville Le tarde età, perché il suo forte acciaro Schermo fu sempre all’infelice oppresso. Ossian, Temora, VII.
657. Col coraggio si conquista o si difende uno Stato, ma colla giustizia si rassoda.
658. Chi abusa del proprio coraggio è indegno del nome di valoroso.
659. L'uomo è coraggioso dappertutto quand’è virtuoso (3).
Nota: (3) Il virtuoso è coraggioso in battaglia contr’al nemico; in un circolo in favore degli assueti e della verità; nel suo letto contro gli attacchi del dolore e della morte.
660. Il coraggio moltiplica gli sforzi quando si ha la speranza del buon successo (1).
Nota: (1) Nei perigli il mio cuor cresce e s’allegra Nel fragor dell’acciar. Ossian, Morte di Cucullino. Ogni rischio al valor sempre è securo; Tutte le vie so piane agli animosi. Tasso, Gerus. XVIII, 73. … e venga ei pure Con tutti i suoi; che non conoscon tema Gli amici degli estinti. Ossian, Fingal., III.
661. Il vero coraggio non teine se non quando havvi ragion di temere.
662. Coraggio mai non manca a chi ha testimonj delle sue azioni (2).
Nota: (2) …. E fra notturna nebbia Avviluppar dovremci? Amano i prodi Per testimon di lor prodezze il Sole. Ossian. Temora, II.
663. Ognuno presso a poco è egualmente bravo, ma sovente gli abbisogna sprone.
664. Si muore sempre di coraggio quando s’hanno testimonj della propria morte.
665. Le difficoltà producono il coraggio.
666. Soltanto chi sprezza i pericoli sa superarli.
667. L’estremo pericolo produce talvolta estremo timore, ma sovente un maggior coraggio (1).
Nota: (1) Disperato dolor chi non fa prode? Alfieri, Antigone, atto I.
668. Il coraggio non s’acquista per teorica: la riflessione non fa l’uom coraggioso.
669. L’uomo ardito sempre riesce, purché forte sia e virtuoso (2).
Nota: (2) Ardir, che a forti è brando e mente e scudo. Alfieri, Congiura, atto II. Un uomo valoroso da Ossian (Temora, canto III) è paragonato ad un fiume; la sua idea è talmente sublime e maestosa, che non posso tralasciare di qui trascriverla. Lì sul Crona un rivo sbocca; D’nulle ingrossa, e in sul mullin trabocca. Allor sé stesso incalza Di balza in balza, E spuma e strepita, E massi sgretola, E piante sbarbica; La morte rotola Nell’onda che tuona Fra tronchi e sassi: Lungi dal Crona, Lungi i miei passi.
670. il vero coraggio tiene il termine di mezzo tra la viltà e l’audacia.
671. Tra il perfetto valore e la compita vigliaccheria vi sono due estremità a cui di rado si giunge.
672. Non è sempre il valore che rende l'uomo valente (1).
Nota: (1) Come non è lo stato nubile che renda le femine sempre caste. Ciò che noi prendiamo sovente per virtù, non è spesso che la unione di diverse azioni che il caso, o la fortuna, o la nostra industria sanno accoppiare.
673. Il posto non dà il valore, ma bensì il coraggio.
674. Il vero valore non ha bisogno di sprone (2).
Nota: (2) …..Prod’uomo Presto a più far, poco il già fatto estima. Alfieri, Rosmunda, atto II.
675. Il folle oppone sempre da forte il petto anche ne’ casi perversi (3).
Nota: (3) …..quocirca vivite fortes, Fortiaque adversis opponite pectora rebus. Horat. Sat. lib. II, II, 35 …..d’un valoroso l’alma Nei perigli s’addoppia. Ossian, Latmo. ….. il petto audace Non fe’ natura di timor capace. Tasso, Gerus., XIX, 23.
676. Il magnanimo non conosce timore; cosi ogni sua azione è a tutti palese.
677. Il magnanimo ama di far cose che persino alla posterità.
678. La magnanimità sprezza tutto per aver tutto.
679. Una sola ed eguale natura è degli uomini, e nobilissimo ogni prode.
680. Il valore consiste nel sentimento delle proprie forze, piuttostochè nel coraggio ideale.
681. Il vero valore consiste nel dominare tranquillamente sé medesimo.
682. L'intrepidità consiste nel conservare la fermezza e la presenza di spirito in mezzo ai pericoli.
683. Una valorosa azione che troppo dura, finisce per illanguidire (1).
Nota: (1) Pleraque caepta initiis valida spatio languescunt. – Tacit- Ann. II.
684. Fuori del pericolo ognuno è coraggioso.
685. Non si può chiamar coraggioso chi non fu mai in periglio.
686. Il coraggio fu sempre dominatore del l’universo, perché tutto è coraggio o timore.
687. Al vile mai non soggiaque il prode.
688. Dalla man dei prodi piove la morte.
689. La vicendevole paura è quella che governa il mondo.
690. Il più coraggioso e forte ha la parte del debole e timido (2).
Nota: (2) ..... difesa è’l brando Dei valorosi, ma la morte insegue La fuga dei codardi, e li raggiunge. Ossian, Latmo.
691. Le vie più caute, come le più ardite, mantengono nel potere.
692. Il coraggioso è dolce e benevolo cogli umili, ma sempre fiero co’ superbi.
693. Debolezza fa l’uom timido ed umile (1).
Nota: (1) Giace sul magro a serpeggiante rivo In solitaria valle anima imbelle Di picciolo mortal passano gli anni, Volvonsi le stagioni, ei neghittoso Torpe in riposo vil. Ossian, Latmo
694. La natura dell’uomo è di temere, e perciò di aborrire chiunque gli può nuocere.
695. II timore stringe insieme gli uomini, e li rende amici tra di loro.
696. Il timore figlio e ministro del bisogno fece nascere le prime società (2).
Nota: (2) Gli stormi ed i colombi vanno in schiera, I daini, i cervi ed ogni animal che teme; Ma l’audace falcon, l’aquila altera, Orsi, tigri, leon’ soli ne vanno, Che di più forze, alcun timonr non hanno. Casti, Anim. Parl. IX.
697. I piccioli timori uniscono gli uomini fra di loro, ma gli eccessivi li disperdono.
698. Il timore avvicina le affezioni degli uomini.
699. Chi previene colle agitazioni sue i pericoli, li fa se non altro più lunghi.
700. Le offese generano timore, il timore cerca difesa.
701. Il timore è sempre accompagnato dalla diffidenza, ed a questa tien dietro l’inimicizia (1).
Nota: (1) … sol la paura è delle noje L’orogine primier…. ….questa i legami Spezza dell’amicizia; e questa in somma Volge sossopra le pietade, e tosto Dalle radici le disveglie e schianta. Lucrez. Del March., lib. III
702. Il timore precede il dolore, e la tristezza gli vien dietro.
703. il timore è compagno indivisibile d'ogni sventurato (2).
Nota: (2) Res timida est omnis miser. Ovid. Ex Ponto, lib. II. Ep. 7
704. Sempre peggior del male è il timore.
705. L'ignoranza rende sempre l'uomo credulo e pazzo ne’ suoi timori.
706. Il timore d'un male non lo previene, talvolta lo affretta (3).
Nota: (3) Se un piccol fosso hai di saltar paura, Tu vi salti nel mezzo a dirittura. Cent. Piacent. XI, 80.
707. È più facile guarire alcuno da un male, che da un timore.
708. Non si deve mai aver altro timore che quello d'offendere la virtù.
709. Dove non c'è vergogna non v'è timore.
710. Il timore accompagna l'uomo dalla culla al sepolcro (1).
Nota: (1) Si teme di fatti in primo il padre e la madre, indi il maestro, il magistrato, le leggi, le intemperie delle stagioni, i rovesci della fortuna, le malattie e la morte.
711. II timore, reso troppo servile, merita il massimo de’ rimproveri (2).
Nota: (2) ma il temer solo è morte vera al prode. Alfieri, Saul, atto I.
712. Un eccessivo timore, è sempre un mal mortale.
713. Temenza grande affrena ogni gran desire.
714. Il timore è sempre stato la più funesta delle epidemie.
715. Il timore, lungi dal mitigare il coraggio, Io annienta.
716. Il tintore ha le porte larghe per il pericolo, ed i muri alti per il rimedio.
717. Chi ha paura non arriva mai a fare grandi cose.
718. Il timor panico e l’eccessiva fidanza precipitano negli stessi mali.
719. Il timore, che è l’effetto del temperamento, è più degno di pietà che à disprezzo.
720. Lo spavento ed il panico terrore non sono sempre l’effetto del temperamento, la coscienza ne ha la sua parte.
721. Il timore è sovente l'effetto d'una cattiva coscienza.
722. A chi mal vive il timor segue.
723. I timori vani sono nocivi quanto la troppa confidenza (1).
Nota: (1) Non siam schiatta d’imbelli. E che? Temenza Dunque verrà quasi notturno spettro A sbigottirci? Ah no: crescon del paro Al nemico le forze, al prode il core. Non riversar bujo di tema in petto D’animosi garzoni. Ossian, Temora, IV.
724. La timidità è un picciol difetto, ma fa commettere fatti maggiori.
725. Merita d'essere temuto chi nei più grandi pericoli nulla teme.
726. Al solo uom saggio è ignoto il timore (2)
Nota: (2) Si dormieris, non timebis: quiesces, et suavis erit somnus tuus. — Prov. III, 24. Quando giova il timor, teme l’uom saggio; Quando ragione il vuole, ha pur coraggio. Cent. Piacent. I, 43.
727. Il timore della morte toglie al coraggio la massima parte della sua gloria.
728. Chi ha d'ordinario più d'amore per la vita che per la gloria.
729. Devesi, se morir si dee, affrontar ogni pericolo (1).
Nota: (1) Si cadere necesse sit, occurrendum discrimini. — Tacit. Histor. I, 33.
730. Valore e liberalità ammiransi dagli uomini, nessuno milantasi d'essere coraggioso e liberale.
731. Chi non teme la morte teme il ridicoIo (2).
Nota: (2) Quel valoroso difensore della patria, che in battaglia è prodigo del suo sangue, volontariamente non avrebbe il coraggio di mostrarsi in un’adunanza vestito diversamente dall’uso comune.
732. Alcuni timori sono perdonabili, e vene sono di salutari, come quello delle leggi.
733. Quanto il timor delle leggi è salutare altretanto quello di uomo a uomo è fecondo in delitti.
734. Dall’avvilimento altrui il coraggio non deve dar diritto per opprimere il debole.
735. L’ignoranza dà debolezza e timore; il valore dà arditezza e confidenza.
736. L'uomo coraggioso vive immortale, del vigliacco nessuno si ricorda (3).
Nota: (3) ….. ivi sta muta La schiatta de' codardi: ella non lascia Di nobil orma ed ammiranda impressa La fronte dell'etade. Ossian, Calloda, III.
737. Nulla stordisce un’anima che conosce tutte le cose con distinzione.
738. Colui che può prevedere, e che s'aspetta, nulla teme.
739. II pericolo è pei coraggiosi la pietra di paragone.
740. I soli fatti repentini sbigottiscono anche i valenti (1).
Nota: (1) Etiam fortes viros subitis terreri, — Taciti Ann. XV, 59.
741. Non havvi virtù senza forza: la strada del vizio è la vigliaccheria.
742. La viltà e la corruzione, quasi sempre compagne, dispongono gli animi ad ogni specie di tradimento.
743. La sua viltà confessa chi l’altrui forza accusa (2).
Nota: (2) ….. agli occhi altrui Si confondon sovente La prudenza e il timor. Metast. Catone, atto I.
744. Debolezza rende l’uomo timido.
745. Le anime vili a se stesse sono ignote.
746. Non sempre la mestizia od il silenzio sono segno di viltà.
747. Sovente chi minaccia ha maggior timore.
748. Anche minacciando alcuni temono.
749. Sovente chi è altiero nelle parole è pusillanime nelle azioni.
750. Le parole non danno il titolo di coraggioso, ma bensì i fatti (1).
Nota: (1) A l’entendre parler de guerre Il detruit comme le tonnere Les tours, montagnes et vallons: Attaquez-le par aventure, Vous verrez que comme Mercure Il a des ailes aux talons. Regnier, Satires.
751. La viltà ha paura di tutto, l'audacia nulla teme.
752. Temerario è ehi sprezza i pericoli più di quel che conviene.
753. Talor la viltà si veste di finta audacia.
754. Se la vigliaccheria non fosse un ostacolo alla virtù, cesserebbe d'essere un vizio.
755. Il cedere alle ingiustizie e la peggiore di tutte le viltà (2).
Nota: (2) ….. chi può gli oltraggi Vendicar con un cenno, e si raffrena, Vile non è. Metast. Catone, atto I.
756. Vile è chi teme più di quel che deve (3).
Nota: (3) Tutta Brescia non armerebbe un vigliacco.
757. Vi sono pochi poltroni i quali conoscano sempre tutta la loro paura.
758. L’occasione produce sovente il coraggio od il timore (4).
Nota: (4) Un uomo varrà per cento in più occasioni, E cento insieme saran cento poltroni. Cent. Piacent. V, 92.
759. Il timore è come il custode o guardiano della vita.
760. È più stimabile un'opportuna fuga che un'inutile resistenza (1).
Nota: (1) Plus fuga laudatur Pyrri quam vincula Jugurthae.
761. Di rado vedesi piangere la madre di colui che tutto teme (2).
Nota: (2) Matrem timidi fiere non solere. —Cornel. Nep. Vita Trasibul.
762. Il timore ha le ali ai piedi e lunghi i passi.
763. L’oscurità d’una notte è una buona scusa, a' fuggiaschi.
764. La notte aumenta l'ardire in alcuni, e favorisce il timore in altri (3).
Nota: (3) Nox aliis in audaciam, aliis ad formidinem opportuna. — Tacili Ann. IV.
765. Il pericolo alloggia in riva alla sicurezza.
766. Le parole non accrescono il coraggio ai forti.
767. Un fiacco esercito imbelle non diventò prode mai né possente per arringare di duce.
768. Quanto ha d'ardire ciascuno dalla natura o dall’arte, altretanto ei ne mostra in battaglia.
769. Grandissimo sempre in battaglia è il pericolo per chi grandemente il paventa.
770. Vano è l’esortare coloro che non per gloria si destano: sordi il timor li fa essere.
771. Il coraggio vince in battaglia più che le armi (1).
Nota: (1) ….. Calmar somiglia Ai padri suoi: dall’inalzata spada Fugge il pericolo: uom ch’ha fermezza, ha sorte. Ossian, Fingai, III.
772. Tutte le vie son piane agli animosi.
773. Campi, mari, città obbediscono al valore.
774. Sempre l’ardire è uno scudo impenetrabile.
775. Vincere non si può chi morir non teme.
776. È padrone della vita altrui chi sprezza la propria.
777. Da piccolissima circostanza dipende sovente la sorte d’una battaglia (2).
Nota: (2) Fortuna belli semper ancipiti in loco est. - Senec. Trag. III.
778. Le battaglie sono la maniera di decidere un processo fra le nazioni.
779. Se glorioso è il vincere una battaglia altretanto è terribile il vederne gli effetti (3).
Nota: (3) Giacc il cavallo al suo signore appresso; Giace il compagno appo il compagno estinto; Giace il nemico appo il nemico; e spesso Sul morto il vivo, il vincitor sul vinto. Non v'e silenzio, e non v’è grido espresso, Ma odi un non so che roco e indistinto; Fremiti di furor, mormori d’ira, Gemiti di chi langue e di chi spira. l'asso, Gerus., XX, 51.
780. La discordia de’ nemici è il maggior ajuto che possa porgere la fortuna.
781. La fortuna si dee seguitare, mentre i primi successi tiran dietro ogni cosa.
782. Quando l’occasion è passata, all’uopo più non ritorna (1).
Nota: (1) Pelle moras. Brevis est magni fortuna favoris. Sil. Ital. lib. IV. Periculum in mora — Vetus axioma.
783. Nelle battaglie non è tanto necessaria la fortezza, quanto l'agilità del soldato.
784. La forza è l’arte di un atleta, l’agilità è la virtù d’un uomo sano.
785. Col sangue de' popoli si conquistano le nazioni (2).
Nota: (2) Proviticiarum sanguine provincias vinci. Taciti Hist. 17.
786. Le battaglie si guadagnano colla direzione de' capitani, e con l’arme dei soldati.
787. Il soldato non deve che ubbidire (3).
Nota: (3) In bello qui rem a duce prohibitam fecit, aut mandata non servavit, capite punitur, etiam si rem bene gesserit. — Pandec. XVI., 19.
788. Senza la subordinazione non si dà fra i soldati né onore né coraggio.
789. Tutt’i cittadini devono essere soldati per dovere, e nessuno per mestiere.
790. Quelli soli che combattono per la propria gloria sono i buoni soldati.
791. Il tradimento è punito colla morte; chi diserta è soggetto alla stessa pena.
792. Disertare è Io stesso che tradire lo Stato.
793. Se in uno Stato non vi sono soldati nasce per difetto di chi comanda.
794. Ogni paese è alto a far buoni soldati purché vi siano buone leggi e giusti premj.
795. La vita guerriera richiede temperane e frugalità.
796. Ove regna la frugalità poco ci vuole per vivere.
797. Sostegni degli imperj non sono i tesori ma gli eserciti ed anche gli amici.
798. I pochi fanno buona prova, ma i più vincono.
799. Gli amici non a forza si acquistano, né con loro si comprano, ma procacciansi colla fede.
800. Una spada fa tener l’altra nel fodero.
801. II mestiere d’ammazzare gli uomini (1) è sempre stato riputato più nobile che quello di salvarli (2).
Nota: (1) II soldato.
Nota: (2) II medico.
802. I soldati non possono essere buoni ed utili se non sono tolti fra gli abitanti del proprio paese.
803. Un soldato estero è sempre un mercenario, e sovente un traditore.
804. Ogni Stato in cui le forze consistono in truppe straniere facilmente può essere conquistato.
805. Le truppe straniere non combattono mai col coraggio di chi difende la propria patria.
806. La costrizione militare è il solo mezzo per formare buone milizie.
807. Ogni cittadino deve sempre essere pronto a marciare per la difesa della patria (1).
Nota: (1) …. Brillami l’alma Entro i perigli, e mi festeggia il core. Son della schiatta dell’acciaro, a cui Nome ignoto e ‘l timor. Ossian, Fingal. III.
808. Nelle coscrizioni militari, risparmiando gli uomini ammogliati, si fa che molti prendano moglie.
809. Non dal numero de' soldati, ma dal genio del capitano deriva talvolta la vittoria.
810. Per sapere comandare bisogna prima saper obbedire.
811. Non è la sola natura che faccia gli eroi, la fortuna vi ha gran parte.
812. Vi sono degli eroi nel male come nel bene (1).
Nota: (1) Cromwel era un eroe nel bene come nel male, ma il petronio di Tacito era un eroe soltanto nel male.
813. Gli anni d’un eroe non si contano che dalle sue vittorie.
814. L’arte d’un buon capitano è di saper profittare d'ogni menomo fallo per vincere il nemico (2).
Nota: (2) Fu il vincer sempre mai laudabil cosa, Vincasi o per fortuna o per ingegno. Ariosto, Orl. XV, 1.
815. Migliore è il capitano che va al sicuro, che quello che corre in fretta.
816. Mal delibera chi poco riflette.
817. La perdita, non l’attacco, discredita il valore.
818. Il primo che esce in campagna toglie al nemico grandissimi vantaggi.
819. Giovasi più volte con la fretta, non mai coll’indugio (3).
Nota: (3) Mora res corrumpi. Tacit.
820. Nelle rischiose intraprese ogni indugio cagiona una sconfitta.
821. L’andar cauto non è grato, la temerità da speranza.
822. La temerità in casi disperali può sempre assai.
823. Nell’armi non è necessaria che molta attività.
824. Per allontanare un nemico che minaccia si deve tosto portare la guerra né di lui Stati (1).
Nota: (1) Ad imminentes nobis hostis vires advertendas bellum in ipsius hostis solum trasportandam. – Thucid. Hist. Lib. IV.
825. Non basta vincere, conviene saper far uso della vittoria.
826. Vincere un nemico disperato e risoluto è cosa malagevolissima.
827. II non sperare veruna salute è talvolta la salute dei vinti (2).
Nota: (2) Una salus victis nullanm sperare salutem. Virg. Aencid. II.
828. Incalzare il nemico vinto sino ad incutergli lo spavento è un coronare la vittoria.
829. A nemico che fugge, ponti d’oro.
830. Non chiudere mai la strada all'inimico che fugge.
831. Nelle cose disperate ognuno comanda e niuno eseguisco (3).
Nota: (3) Quod in perditis rebus accidit, omnes praecipere, nemo exsequi. – Taciti Hist. III, 73.
832. La vittoria si ottiene col coraggio, colla prudenza e colla moderazione.
833. il coraggio, la prudenza e la moderazione sono le vere potenze d’ogni stato civile e militare.
834. La troppa speranza di vincere dà spessa occasione di perdere.
835. La velocità in guerra talvolta s’accosta a timore, la tardità a fermezza.
836. Il Capitano mediocre, tentando evitare il pericolo, vi trabocca; il valente Io affronta e lo distrugge (1).
Nota: (1) Segreta gioja ricercar le vene Sente Calmor, gioja d’eroi, qualora Sorge periglio a lor grand’alme eguale. Ossian, Temora, V.
837. Le prosperità fanno insolenti anche i buoni capitani.
838. Non v’è maggior vittoria quanto quella che si ottiene senza effusione di sangue.
839. Ove alcun non contrasta facile è la vittoria.
840. II non combattere fu sempre viltà.
841. II perdere le battaglie non è delitto (2).
Nota: (2) ….. già sicura e ferma È la sua fama, e di svanir non teme. Molti prodi fur vinti, e poi di nuovo Scintillaron di gloria. Ossian., Fingal, VI. Posso cader, ma glorioso e grande Cader saprò, né di Fingallo indegno. id. Guerra di Caroso.
842. La vittoria riportata in tempo di guerra civile è egualmente funesta ai vincitori ed ai vinti.
843. Nelle guerre civili non è sempre lode vol cosa il vincere (1).
Nota: (1) Omnem civilem victoriam funestam putabat.—Corn. Nep. Vita Epam.
844. Si deve correre all’armi contro i nemici, non mai contro la patria.
845. Oblio di leggi ed audacia contro il governo sono due sorbenti di guerra civile.
846. Ciò che nella pace si dice caso o natura, nelle guerre ci vili si dice essere ira di Dio.
847. Un popol guerriero, ma tra sé discorde, presto o tardi diventa un popolo di conquistatori.
848. Il popolo conquistatore ben presto passa dall’estrema miseria all’opulenza (2).
Nota: (2) …..in cotal guisa Si ragunaro del deserto i figli Del lor signore alla terribil voce, Terribile ai nemici, a’ suoi guerrieri Grata e gioconda; perché spesso ei seco Li condusse alla pugna, e dalla pugna Carchi tornàr di gioì tose spoglie. Ossian, Fingal, JV.
849. È più facile far conquiste che conservarle (3).
Nota: (3) Plus est provinciam retinere, quam facere. Flori Rerum roman. lib. II, 17.
850. I regni quanto più sono estesi tanto sono più facili a rovesciarsi.
851. Il vincitore che perdona stabilisce meglio i suoi diritti e rende più sicura la sua conquista.
852. I popoli si vincono colla clemenza e coll'umanità non colle stragi e col sangue.
853. Clemenza coi vinti è consuetudine universale delle genti (1).
Nota: (1) ….. i possenti Ceder ponno senz’onta: io non ho sdegno Col dimesso nemico, e non m’allegro Al cader d’un eroe. Ossian, Temora, VIII.
854. I supplizi e gli insulti ai vinti sono costumanze soltanto di nazioni selvagge.
855. Alle nimicizie e guerre aperte v’ha riparo: all’inganno e frode bisogna nascondersi (2).
Nota: (2) Aperta odia, armaque palam depelli: fraudem et dolum obscura, eoque inevitabilia. – Tacit. Hist. IV, 24.
856. Sempre machina il vinto contr’al vincitore, quantunque gli manchi l’ardire.
857. Le piazze forti non sono che i monumenti del timore verso i vinti.
858. La vittoria, oltre il procacciar vera gloria, procura anche la pace (3).
Nota: (3) ….. il braccio invitto Mille e mille guerrier caccia e travolve E a sé fama procaccia e pace altrui. Ossian, Sulmalla.
859. La pace e la concordia sono utili ai vinti sempre onorevoli ai vincitori.
860. Il veramente coraggioso, senza temer la guerra, desidera sempre la pace (1).
Nota: (1) Acuta è l’asta di Conallo, ed ama Di brillar nella pugna, e di dignazzarsi Nel sangue degli eroi: pur se alla guerra Pende la man, sta per la pace il core. Ossian, Fingal, I.
861. Un trattato di pace altra non è che una legge che il più forte impone al più debole (2).
Nota: (2) Spesso pace propon chi men la vuole, E il veleno nel cor ricopre e il fiele Sotto corteccia di dolci parole, Che sembran distillar zucchero e mele; E così rigettar sul conto altrui Tenta l’odiosità dovuta a lui. Casti, Anim. Parl. XXIV, 80.
862. La vittoria fa la legge, ma la sua incostanza irrita il fuoco della discordia.
863. È migliore una certa pace che una sperala vittoria.
864. Niuno mai, se non se vincitore, scambiò la guerra con la pace.
865. La continuazione della guerra è sempre di gran rischio ai due partiti.
866. La pace è vantaggiosa al vincitore e necessaria al vinto.
867. In tempo di pace i pesi sociali sono sempre più leggieri.
868. Quando i pesi sociali sono leggieri, la beneficenza e l’amor fraterno sono più adempiuti.
869. La pace non è che un desiderio di rendere migliore la propria condizione.
870. La pace non è prodotta che dalla stanchezza della guerra.
871. Il popolo più infelice è quello che; non potendo più continuare la guerra, è costretto a ricevere la pace (1).
Nota: (1) Jam Latio is status erat rerum, ut neque bellum pati possent. – Tit. Liv. IX.
872. L’arte del principe è in pace apparecchiarsi a guerra, e crear colla guerra la sicurezza.
873. Quando i capi vorranno daddovero la pace, le nazioni formeranno una sola famiglia.
874. L'universalità del genere umano non forma che una medesima famiglia, il cui oggetto è la pace.
875. La pace consiste nella felicità di e di ciascuno de’ suoi membri.
876. L’uomo non è forte che per mezzo della concordia.
877. Non v’è che la pace che possa rendere felice una nazione.
878. La pace è sola capace di fecondare campagne (2).
Nota: (2) Interea Pax arva colat. Pax candida primum Duxit araturos sub iuga curva boves. Pax aluit vites, etc. Tibul. Lib. I, eleg. X. Accostumati a tutto personificare, deificando i beni come i mali, le virtù come i vizj, gli Antichi non mancarono di dare alla pace gli onori divini, e sarebbe a desiderare che non avessero mai creato che di siffatti Dei; essa era rappresentata con ali bianche tenendo delle spiche nelle mani, per esprimere quanto era favorevole all’agricoltura. Vespasiano gli fece fabricare in Roma un magnifico tempio di cui tutt’ora vedonsi le maestose rovine.
879. L'abbondanza fugge sempre d’innanzi la guerra, e non abita che il soggiorno della pace.
880. Anche le scienze e le arti vanno raminghe ove guerra le incalzi.
881. Tutti desiderano la pace, e pochi talvolta ne profittano.
882. Per ottenere vera pace è necessario prepararsi a far la guerra.
883. Ogni pace resta distrutta se si fa conoscere che non si ha la forza di fare la guerra.
884. Un popolo che ami la pace si mostri sempre pronto a fare la guerra (1).
Nota: (1) …. giova, Più certa pace ad ottener, la forza. Alfieri, Polinice, II. ....…. ma non giunge A ben sicura ed onorevol pace, Che chi deciso e intrepido si mostra, E pronto a entrar coll'inimico in giostra. Casti, Anim. parl. XVI, 53.
885. Chi prevede la guerra non mai la teme.
886. Le spade nude ritengon le altre nel fodero.
887. Ad una nazione guerriera è piuttosto nociva una lunga pace (1).
Nota: (1) Bellicoso populo quies diuturnior nocet. - Sallust. De Repub. ordin.
888. Una nazione povera è necessariamente bellicosa.
889. La povertà stessa di una nazione tosto o tardi le ispira il desiderio di Iiberarsene.
890. D'ordinario non si esamina se la guerra è giusta; non si pensa che all’esito (2).
Nota: (2) Queritur belli exitus, non causa. Sen. Herc. Fur.
891. Non havvi altra guerra giusta che quella che è inevitabile (3).
Nota: (3) L’uom fiero più delle più fiere belve È di sua specie disonor, vergogna: Pugnan color nelle natie lor selve In lor difesa, e per la lor bisogna; L’un contro l’altro s’armano in danno Gli uomini folli, e Io perché non sanno. Casti, Anm. parl. XIV, 45.
892. La guerra difensiva è sempre giusta e legittima.
893. Respingere l'attacco de' nemici è di diritto naturale, ma nulla autorizza ad attaccarli (1).
Nota: (1) I popoli liberi fecero più guerre d’ambizione che i despoti, e ciò che appena devesi credere è, che dopo due secoli il Gran Turco è il solo che non abbia fatto che delle guerre difensive.
894. La giustizia d’una guerra è la necessità.
895. Le guerre debbono farsi perché i popoli vivano sicuri in pace.
896. La guerra è il più funesto flagello per un popolo; chi la eccita commette il maggior dei delitti (2).
Nota: (2) Quis fuit horrendos primus qui protulit enses? Quam ferus, et vere ferreus, ille fuit! Tibul. lib. 1, el. X.
897. La guerra è la madre di tutt’i mali (3).
Nota: (3) Guerra è un funesto turbine, che porta Sterminio, e che nel suo vortice reo Le subalterne iniquità trasporta; Siccome il nono ciel di Tolommeo Coll’alte sue rotazioni prime Alle sfere minori il moto imprime. Casti, Anim. Parl. XX, 113.
898. La carestia, è figlia della guerra, e di questa la peste (4).
Nota: (4) Davide ebbe dunque ragione di scegliere ultima di queste calamità onde scampare alle altre due che probabilmente non avrebbe evitate.
899. Nella guerra i padri perdono i figli; nella pace i figli sepeliscono i padri.
900. Nella pace si dà la morte a chi la merita, ma in guerra muojono buoni e I rei.
901. La guerra fa più infelici che non ne uccide.
902. La guerra crea più scellerati che non ne distrugge.
903. La guerra fa i ladri; la pace li impicca.
904. In tempo di guerra tacion le leggi, e sopra tutto in tempo di guerre civili (1).
Nota: (1) Silent inter arma leges. – Cic. Pro Milone.
905. La guerra necessaria ad alcuni è pestifera a tutti (2).
Nota: (2) Vedasi a tale proposito le tre prime stanze del Catare IX nel Malmantile racquistato.
906. La guerra alcune volte è un male necessario per ritirare i popoli dalla infingardaggine (3).
Nota: (3) Così leon domestico riprende L’innato suo furor, s’altri l’offende. Tasso, Gerus. I, 85.
907. È lieve pur sempre l’imprender la guerra, difficilissimo il terminarla (4).
Nota: (4) Oh quanti sono i perigliosi artefici Della miseria, e dell’altrui sventura! E quanto pochi quei Genj benefici Che a pro d’umanità creò natura!
908. Sguainasi da ognuno a sua posta la spada, ma non si ripone che a voler d'altrui.
909. Ogni vigliacco può impugnar la spada; sta al vincitore il deporla.
910. La guerra si fa col ferro, non già coll'oro.
911. Oro e facoltà non sono che esca di guerra (1).
Nota: (1) Aurum et opes praecipitae bellorum causae. - Taciti Histor. IV, 74.
912. L'oro non è bastante a trovare buoni soldati, ma i buoni soldati sono sufficienti a trovare dell’oro.
913. La vera forza consiste nella virtù, la quale poi procura somme ricchezze (2).
Nota: (2) Cosi i Romani, che fecero sempre la guerra col ferro, non furono mai scarsi d’oro.
914. Gli uomini, il ferro, i denari ed il pane sono il vero nerbo della guerra.
915. Gli uomini ed il ferro bastano quasi sempre a trovare i denari ed il pane.
916. Gli Stati e le guerre si governano per lo più con due terzi di riputazione ed un terzo di denari.
917. La guerra in casa è mollo più difficile e pericolosa che di fuori.
918. Nelle discordie civili vagliono i pessimi la pace e la quiete sono dominati dalla virtù.
919. Nelle guerre civili possono più i soldati che i capitani.
920. I principj delle guerre civili lasciatisi alla fortuna, consiglio e ragione conducono alla vittoria (1).
Nota: (1) initia bellorum civiluim fortunae permittend; victoriam consiliis et ratione perfici. – Taciti Hist. III, 60.
921. Il coraggio, l’attività e l'ambizione sono i vizj e le virtù prodotte dalle guerre civili.
922. Le cupidigie ingorde nelle guerre straniere non s’empirono mai nelle civili.
923. Ognuno è soldato in tempo di guerra civile (2).
Nota: (2) Solone fece una legge che in caso di guerra civile tutti dovessero prendere le armi e dichiararsi per l’una o per l’altra parte, e chiunque volesse ritirarsi, o starsi neutrale, fosse dichiarato nemico della patria. In causa civilis discordiae, qui non alterutra parte se se adjunxerit, sed solitarius separatusqe a comuni malo civitatis secesserit, is domo, patria fortunisque omnibus careto: exul extorrsque esto. – Aul .Gell. noctes Att. Lib. II, cap. XII.
924. Pace non si stima se pria non si è provala la guerra.
925. La guerra fu sempre l’arbitra dei diritti, e la forza, dominò tutt’i secoli.
926. La forza non fa diritto, e perciò non si è obligato ad obbedire che alle le legittime podestà.
927. Il sentimento della forza produce l’insubordinazione e risveglia l’ambizione.
928. È la sola forza fisica che imprime il moto nei corpi secondo l’urto che loro si dà.
929. Il forte adopera la violenza, e tutt’i suoi vizj dalla violenza prendono origine.
930. Non v’ha legge dove la forza comanda.
931. La forza forma gli Stati, li muta spesso la forza, ma li conserva la giustizia (1).
Nota: (1) Viribus pàrantur, jure retinntur. — Flori Rerum Roman. lib. IV, 12.
932. Siccome la forza è il retaggio di pochi, la legge debb’essere il sostegno di tutti.
933. Il diritto di difesa reagisce con una forza costante contro l’ingiustizia della violazione.
934. Il diritto del più forte è del pari pericoloso in chi lo esercita ed in chi Io soffre.
935. Il sentimento della forza ne’ grandi produce alterigia ed orgoglio, e nella plebe insolenza e ferocia.
936. Chi ha un diritto e non ha forza di farlo valere, gli è inutile e vano (1)
Nota: (1) Il grande vuol far sempre da padrone E al picciol sempre il dritto suo contrasta E questa, quando avralla a far col forte Sarà sempre del debole la sorte. Casti, Anim. Parl. XXV, 145.
937. La forza, non legata dalla ragione, perde il suo potere, né alcun danno imprime ov’essa trascorre.
938. Ove forza viene, ragion sen parte.
939. Sempre la ragione è vinta dalla forza.
940. Chi ha più forza ha maggior ragione.
941. La forza doma ogni cosa se da prudenza è diretta (2).
Nota: (2) Romanus sedendo vincit. —Vetus Prov.
942. L’uomo è sempre forte per fare ciò che vuole fortemente.
943. La forza, o virtù, è la qualità più utile alla patria in un governo guerriero.
944. Non havvi virtù senza forza, e la strada del vizio è la vigliaccheria.
945. I più forti sono sempre quelli che comandano.
946. Quand’il regno della virtù è passato, tocca alla forza reggere il mondo.
947. La sola forza può trarre l’uom guasto al ben fare.
948. Le intraprese ardile danno forze proporzionate (1).
Nota: (1) Deos fortiovibus adesse.— Tacili Hist.
949. Non c’è uomo sì forte che non ne trovi un altro più forte.
950. Cedere alla forza è un allo di 'necessità, non di volontà, e tutt’al più un atto di prudenza.
951. Niuno ha così poca forza che non ne abbia per nuocere (2).
Nota: (2) Nulli non ad nocendum satis virami est. — Seneca.
952. Il più debole, come colui che più teme, è d’ordinario il più crudele.
953. I deboli che non confidano nella forza hanno ricorso alla frode.
954. Chi sa nascondere le sue debolezze toglie ai nemici l’occasione di nuocerglj.
955. La potenza reale d’uno Stato dipende in gran parte dall’opinione che altri abbia della di lui potenza (3).
Nota: (3) Possimi quia posse videntur. — Tacit.
956. Vi sono caratteri tanto deboli che approvano ogni cosa per non urtare con veruno (4).
Nota: (4) E quindi dee, per evitar la morte, Il debole fuggir sempre dal forte. Casti, Anim. parl. XVIII.
957. La debolezza è più opposta alla virtù che il vizio.
958. Si fa fecondo in sofismi colui che vuol colorire la sua debolezza (1).
Nota: (1) ….. egli è da forte Il sopportar le avversità; ma fora Vil stupidezza il non sentirne il carco. Alfieri, Sofonisba, atto III.
959. Niuno è più debole di una persona avvilita agli occhi de’ suoi simili.
960. L’amor della patria e dell’umanità è un ignoto affetto ai deboli.
961. La costanza nel ben operare forma la miglior parte della forza dell’animo.
962. La costanza consiste in perseverare nelle intraprese e nei progetti convenevole mente scelti.
963. La vera costanza ispira ammirazione e rispetto a’ suoi stessi oppressori.
964. Se a' tuoi oppressori non puoi insinuare la benevolenza, sii costante, ed almeno sarai ammirato.
965. Dalla costanza la virtù riceve sempre una corona di gloria.
966. La costanza consiste nello stare sempre fermo nei proprj doveri.
967. Cambiare quando i doveri cambiano non è leggerezza ma costanza (2).
Nota: (2) …. nel mondo mutabile e leggiero Costanza è spesso il variar pensiero. Tasso, Gerus. V, 3.
968. La costanza ne’ saggi non è che un’arte di rinchiudere nel cuore le loro agitazioni.
969. Rare volte gli incostanti sono capaci di eseguire il menomo progetto.
970. Volubilità ed incostanza sono una parte inerente alla gioventù (1).
Nota: (1) ….. finché gioventù dura S’ama cangiar: essere costante e fisso È cosa propria dell’età matura; Costante è l’amator sessagenario, ma giovin fresco è di parer contrario. Casti, Anim. parl., XII, 50.
971. Anche la femina incostante talvolta alletta, non piace mai.
972. Di figlia costante in solo amar sé stessa è incostante ogni detto (2).
Nota: (2)…. Un feminil pensiero Dell’aura è più leggiero. Metast. Alessandro, atto I.
973. Desio di novità pon la natura in tutti, e specialmente nelle femine (3).
Nota: (3) …. Ciascun di novità si pasce; Più variar che migliorar procura; Annoja il buon sovente, annoia il bello, Ed oggetto si segue ognor novello. Casti, Anim. Parl., XII, 47.
974. Nelle femine e nei fanciulli domina maggiormente l'ostinazione.
975.La piccolezza dello spirito, l’ignoranza, la presunzione formano l’ostinazione.
976. Gli ostinati non vogliono erodere che ciò che capiscono, e non capiscono che poche cose.
977. L'ostinalo non trova mai di sì ben ragionato che quanto ha mal riflettuto e ragionato.
978. L'ostinato facilmente crede ciò che è al di là della di lui portata.
979. L’ostinazione è il difetto comune delle persone di piccolo talento.
980. La pertinacia è il massimo vizio degli ignoranti.
981. Non tutti gli ignoranti sono ostinati, ma questi sono tutti ignoranti.
982. L'ostinato non cede mai all’altrui persuasione.
983. Negli ostinati non si trova mai la menoma traccia di buon senso, perché non ne hanno.
984. Sopra gli ostinati nulla si guadagna coll’ragione, perché non sono capaci d'inverno.
985. Quando la ragione convince l'ostinato si sveglia in esso il furore.
986. Alcune volte l’ignoranza ispira arditezza ed il sapere è cagione di timidità.
987. Alcuni ostinati rendono ingiurie per ragioni, come altri prendono le ragioni per ingiurie.
988. Non curasi tanto d'aver ragione, quanto si desidera di far credere che si ha ragione.
989. L'ostinato vuol sostenere la sua opinione anche quando ne abbia conosciuta la falsità.
990. Ciò che si fa per passione si fa contro ragione.
991. Rade volte la ragione guarisce le passioni.
992. Una passione si guarisce con un'altra: la ragione si inette sovente dalla parte del più forte.
993. Una passione è un’impressione forte e costante della sensibilità.
994. È vera e sensibile passione quella ch’è tutta rivolta ad un medesimo oggetto.
995. Le passioni sono le voci del cuore, coma questo è la stanza delle passioni.
996. Le passioni sono i soli oratori che maggiormente persuadono.
997. L'uomo idiota, ma appassionato, persuade meglio che un eloquente il quale non Io sia.
998. Le passioni impetuose rendono gli uomini più che fanciulli.
999. Le passioni tengono la speranza a fianco del desiderio.
1000. Agli occhi della passione tutto è eguale.
1001. La sorgente di tutte le passioni è la sensibilità; l’imaginazione determina il Ioro pendìo.
1002. L’imaginazione, accresce la brama di godere, e fa sacrificar tutto alle passioni (1).
Nota: (1) Son questi, o Dei, che dell’umana vita Tutto infestano il mar: l’empie son queste Sediziose schiere ond’è per tutto Disordine e tumulto. Metast., Astrea plac.
1003. Acciò le passioni non sieno viziose bisogna che il sentimento incateni l’imaginazione.
1004. Le passioni diventano virtù se la ragione fa tacere l'opinione comune.
1005. La gioventù è la sola età delle vive passioni.
1006. Le passioni altro non sono che i diversi gradi di calore e di freddo del sangue.
1007. La calda fantasia, l’irritabile e sensibile fibra sono effetti spellanti alla sola gioventù.
1008. I vecchi e i teneri fanciulli hanno deboli sensazioni, e quindi languidi affetti.
1009. Più che gli animali l’uomo è schiavo delle sue passioni.
1010. Non è la ragione che guida la moltitudine, ma bensì le passioni.
1011. Ognuno ha le sue passioni; il saggio cerca di domarle o di tenerle nascoste.
1012. Un uomo senza passioni non può ispirare i! menomo interesse.
1013. Chi resiste alle passioni è più per la loro debolezza che per la nostra forza.
1014. Pochi sono quelli che per trionfare d’una passione chiamano in loro soccorso la virtù.
1015. Quando le passioni sono moderate possono diventar virtù.
1016. Le passioni fecero nascere i bisogni, e questi le arti ed anche le scienze.
1017. Le anime forti soggiaciono tutte a forti passioni.
1018. L'energia non sta nel vincere le passioni, quanto nel saperle dissimulare.
1019. Chi vuol impedire la nascita delle passioni è altretanto pazzo quanto chi vuole annichilarle (1).
Nota: (1) ….. chi volesse Estinguerle nell'uomo, un tronco, un sasso Dell’uom farìa. Non si corregge il mondo, Si distrugge cosi. L’arte sicura È sedare i nocivi, destar gli utili affetti. Mesast., Parnaso acc.
1020. Le passioni non mai si arrestano sinché abbiano pienamente conseguito l'oggetto loro.
1021. Per soddisfare alle passioni si rinuncia a tutto, persino alla propria sicurezza.
1022. Le passioni non conoscono altri con fini che il loro intero sfogo.
1023. Le passioni non vivono né si nutrono che d'inganni e d’errori.
1024. La durata delle passioni non dipende da noi, ma dalla durata della nostra vita.
1025. Le passioni e le cattive abitudini conducono il vizioso più, lontano che non si pensa.
1026. Le sregolate passioni inspirano sempre cattive azioni.
1027. Una passione violenta tiene subordinate tutte le altre.
1028. La potenza congiunta colla follia rendono sempre le passioni crudeli.
1029. Lo spettacolo delle passioni violenti e il più pericoloso che offerir si possa alla gioventù.
1030. La passione che nasce coll’uomo, e che non mai l'abbandona, e l’amor di sé stesso.
1031. Onde preservare l’animo dalle passioni bisogna esercitar il corpo al lavoro.
1032. Quando il corpo lavora si ferma l’attività dell'imaginazione.
1033. Quando le membra lavorano il cervello riposa.
1034. Le passioni sono le braccia dello spirito.
1035. Il capriccio è il figlio primogenito delle passioni (1).
Nota: (1) Tale è il carattere che di Achille formò Orazio, cioè quello dei barbari e selvaggi; impiger iracundus, inexorabilis, acer, Jura neget sibi nata, nihil non arroget armis.
1036. Quando le passioni comandano, lo spirito s’inferma.
1037. Lo schiavo delle sue passioni non può vantarsi d’esser libero.
1038. Le passioni cominciano dall’accecarci pria di gettarci nel precipizio.
1039. Il cuor dell’uomo non può esser senza passioni e le passioni senza inquietudini.
1040. Finché le passioni dominano, ajutano a sopportare i tormenti che procurano.
1041.Invano si doma una passione se da altre ci lasciamo tiranneggiare (2).
Nota: (2) Se di tue passion tu non ti spogli T’agiti invano, e cangi il mal, nol togli. Casti, Anim. Parl., XIV, 62.
1042. Il vero eroismo sta nel signoreggiare le proprie passioni e nell’obbedire alle leggi.
1043. L'uomo è nato per sempre ubbidire.
1044. Se l’uomo non obbedisce alle leggi, conviene che obbedisca alle sue passioni (1).
Nota: (1) Della ragion vassalli A servir destinati Nascon gli affetti, e finché servi sono, Non v’é chi lor condanni; Chi li lascia regnar, li fa tiranni. Metast., Astrea plac.
1045. Il giogo delle sue passioni è il più difficile a scuotersi,
1046. Vi è nel cuore umano una perpetua generazione di passioni.
1047. II fine d'una passione è pressoché sempre la culla di un'altra.
1048. A misura che le grandi passioni si estinguono le piccole si accendono da vantaggio (2).
Nota: (2) Nello stesso modo che un senso si mortifica per la perdita di un altro.
1049. Le passioni, allorché eccedono le eterne leggi del giusto, producono il delitto.
1050. Da sregolate passioni, sempre cattive massime scaturiscono.
1051. Le cattive massime corrompono la ragione, e non lasciano più alcun mezzo per ritornare al bene.
1052. Le sfrenate passioni che han gettate radici cangiar ponno, sbarbicarsi no.
1053. Si abbandonano sempre Lardi quelle passioni che di buon’ora si abbracciarono.
1054. Tutti gli errori che lusingano le passioni sono incurabili (1).
Nota: (1) Quanti errori in fisica ed in altre scienze sono svaniti per non ricomparire mai più; ma quelli che nascono dalle passioni durano quanto le passioni stesse, e sono riguardati come vanità neglette che si fa un dovere di riprodurre.
1055. Più che l’impeto delle passioni è da biasimarci la doppiezza del cuore.
1056. Quelle passioni che sorgono dal dolore e dal timore più addentro scuotono lo spirito (2).
Nota: (2) Talvolta all’uomo una forte passione A far gran male, o far gran bene è sprone. Cent. Piacent. VII, 72.
1057. Un cuor debole fra passioni contrarie non ha più altra scelta che i suoi falli.
1058. L’ebrezza delle passioni è più nociva di quella del vino.
1059. L’estremo delle passioni e delle sciagure è l’ubriachezza della propria stima.
1060. L’ebrezza della propria stima fa dire ciò che neppure si penserebbe a mente sana.
1061. Le passioni sono il deliquio della riputazione e le nemiche giurate della prudenza.
1062. Le passioni ragionano delle cose sempre diversamente da quel che sono in fatti.
1063. La passione rende Pignorante talvolta saggio, come sempre rende pazzo il più saggio.
1064. Chi travaglia a dominare le proprie passioni, non può mancar di riposo.
1065. L'assenza diminuisce le mediocri passioni, ma aumenta le grandi (1).
Nota: (1) Come il vento estingue le candele ed accende il fuoco.
1066. Il più potente di tutti gli ostacoli alla durata di una passione è di non averne più a vincere.
1067. Col frenare le passioni d'interesse e d'ingiustizia s'acquista vera pace al cuore.
1068. Privo di passioni i bisogni e la sussistenza non imbarazzano d'un terzo.
1069. Le passioni sono un'arte della natura le cui regole sono infallibili.
1070. La natura, ponendo nel nostro cuore il germe di tutte le passioni, vi collocò pure i principj di tutte le virtù.
1071. La natura non ci dà né ci toglie nessuna virtù.
1072. La natura accorda all’uomo le sole facoltà lasciandoci l’uso in nostro arbitrio.
1073. La natura si propone sempre in tutte le sue operazioni.
1074. La. natura, lungi dal fare cosa inutili cerca sempre il meglio possibile.
1075. La natura fa regnare dapertutto una mirabile varietà nelle sue opere.
1076. La natura è divisa nei dettagli, ma è costante nei grandi caratteri.
1077. La natura fa pompa di varietà e di magnificenza; niun essere assomiglia all'altro (1).
Nota: (1) Grazie tali ha ne’ suoi lavor natura, Che d’imitarle invan l’arte procura. Cent. Piacent. XV, 22.
1078. La forza che anima tutte le cose, la materia ond'esse sono formate, è la medesima sempre.
1079. La natura accordò agli uomini il desiderio d’ogni cosa, non già i mezzi per conseguirle.
1080. La provida natura stabili un confine ai nostri affetti.
1081. Conviene soltanto cercare ciò che esige la natura, e non più (2).
Nota: (2) Nonne cupidinibus statuit natura modum, quem, Quid latura, sibi quid sit dolitura negatum, Quaerere plus prodest, et inane ab scindere soldo? Horat. Sat. lib. I, 2.
1082. Cercare il bene e fuggir il male, offendendo nessuno, e un diritto di natura.
1083. La natura non solo diminuì il male amalgamandovi il bene, ma permise all'uomo d'aumentare l’uno e diminuire l'altro (1).
Nota: (1) Natura si lasciò forse dal seno Svellere il ferro, perché l’uom dovesse Darselo in petto l’un con l’altro, e farlo Istrumento di morte e di delitti? Monti, Aristod. Atto II.
1084. Col secondare la natura si raccoglie il centuplo come dalla pianta coltivata.
1085. La natura è sempre più forte della legge.
1086. Si oltraggia la divinità ogni qualvolta si oltraggia la natura (2).
Nota: (2) Ubbidir in tutto a natura è ’I meglio, Ch’a contender con lei ne sforza il tempo’. Petrarca.
1087. Oltraggiando la natura non si ottieni che pene ed affanni (3).
Nota: (3) Ogni violenza che si fa a natura Ci costa sforzi grandi, e poco dura. Cent. Piacent. L, 84.
1088. La natura è un gran libro aperto a tutti, ognuno può leggerlo senz'affaticarsi.
1089. La natura è intenta alla felicità d’ogni individuo senza relazione cogli altri.
1090. La natura diversifica all’infinito le nostre inclinazioni ed il nostro carattere.
1091. Tutto si cangia e si modifica nel seno della natura; non v’è d’immutabile che Dio e la virtù.
1092. Varia è la natura in tutto quanto ne circonda: dessa è sempre nuova per l'uomo.
1093. La natura, benché continuamente si cangi, è l’istessa ognora nella sua sostanza.
1094. Può bene un uomo cangiar di luogo, non già di natura (1).
Nota: (1) Ma il cambiar di natura E impresa troppo dura. Metast., Achille, atto I.
1095. Quasi sempre la natura si trova in opposizione colle leggi.
1096. La natura dà i suoi ordini, e poco si cura delle leggi che la contrariano.
1097. Nulla debb’essere stabilito come una legge di natura finché non vi sia un fatto conosciuto.
1098. Le leggi riguardano non la natura ma le relazioni generali che le uniscono.
1099. La natura non opera mai a caso (2).
Nota: (2) Nihil in terra sine causa fit, et de humo non oritur dolor. - Job V, 6.
1100. La natura ha mille mani e mille occhi per fare il bene, ritorno nella soltanto due per cercarlo.
1101. Sono tante le belle e buone cose nella natura, che non è l’abbondanza che faccia la superfluità, ma il cattivo uso.
1102. La natura morale cammina a pari passo colla fisica (1).
Nota: (1) Ambedue però ci presentano dei mostri, ma gli animati sono i più fatali che deturpano la natura stessa.
1103. Le osservazioni, l'esperienza ed il calcolo sono gli stromenti dati dalla natura all’uomo per penetrare ne’ suoi secreti.
1104. I fenomeni della natura sono tanto più spessi quanto è scarsa l'esperienza.
1105. Conviene veder lungo tempo prima di saper cercare.
1106. Niente accordò la natura ai mortali senza gran stento (2).
Nota: (2) …. Nil sine magno Vita labore dedit mortalibus, Horat. Sat.
1107. La natura c’impresse nel cuore due istinti che sono la vera origine de’ nostri mali.
1108. L’amor de’ piaceri è l’origine a cui si tende per la conservazione della specie.
1109. L'amor della gloria è l'origine da cui producesi l’ambizione, l’emulazione, l'industria e l'ingiustizia.
1110. Siccome regna nell’universo un’armonia generale, così nell’uomo, regnar dee un’unione fra le sue azioni ed i suoi doveri.
1111. Più i doveri sono grandi, maggiormente devono esser forti le ragioni sulle quali si fondano.
1112. L'uomo di sua natura cerca d’essere felice, ma non può esserlo che col l'adempiere a’ suoi doveri.
1113. Non havvi veruna scusa per sottrarsi dall’adempiere i proprj doveri.
1114. Il primo dovere d'ogni cittadino è di servire la società secondo la sua capacità ed i suoi talenti.
1115. Il civico disinteresse è condotto sempre dalla giustizia e dal dovere.
1116. Non vi fu mai che la gente d’onore ch’abbia saputo amare i suoi doveri.
1117. Il dovere di ciascuno consiste nel rispettare il diritto altrui.
1118. Chi dimentica i proprj doveri ignora il valore di sé stesso.
1119. Chi ignora sé stesso non conosce i suoi dritti, ed è un uomo degradato.
1120. Fra gli uomini esiste la vera eguaglianza naturale per ciò che riguarda i loro doveri scambievoli.
1121. L’eguaglianza riguardo ai doveri scambievoli proviene dall’ineguaglianza stessa di cui gli uomini sono distinti.
1122. Chi ha rimorsi non è contento, e rimorsi ha chi non adempie ai proprj doveri.
1123. Chi adempie ai proprj doveri rende a Dio il più gradito omaggio.
1124. Nelle maggiori traversie è sempre una consolazione l’aver fatto il debito suo.
1125. Nessuno fa bene il suo dovere se non Io ama.
1126. Cogli anni crescono sempre i doveri e con essi maggiormente si promette di eseguirli.
1127. Cambiare quando cambia il dovere non è leggerezza, è costanza.
1128. La promessa che bisogna continuamente mantenere è quella d’essere uomo onesto.
1129. Pensa bene pria di promettere, ma eseguisci ciò c’hai promesso (1).
Nota: (1) male è sibire ciò che dar non vuoi: peggior prometter ciò che far non puoi. Cent. Piacent. VII, 53.
1130. Chi molto promette poco vuol attenere (2).
Nota: (2) Multa fidem promissa levant. Horat. Ep. Lib. II, 2.
1131. Chi promette in fretta suol pentirsi adagio.
1132. A gran promettitore poca fede si deve.
1133. A chi di parole abbonda e di promesse non mai i fatti vanno addietro.
1134. Degli uomini verso le donne sempre furono le promesse lunghe, e la fede corta (1).
Nota: (1) Le promesse sono femine, e gli effetti sono maschi. - Prov. Triv.
1135. Le belle parole e le grandi promesse non fanno impressione che ai pazzi.
1136. È da saggio il diffidare di chi ci promette troppo.
1137. Chi facilmente promette è sovente obbligato di mancare alla sua parola (2).
Nota: (2) Costa poco il prometter con parole A chi promesse mantener non vuole. Ariosto, Satire.
1138. Noi promettiamo secondo le nostre speranze, e manteniamo secondo i nostri timori (3).
Nota: (3) Vitellio era liberale e prodigo in promesse secondo l’ordinario di coloro che temono. Largus promissis et quae natura trepidantium est immodicus. – Taciti De Vitel., lib. XI.
1139. La facilita a far delle promesse e la difficoltà di mantenerle sono inseparabili.
1140. Gli uomini per natura si fidano reciprocamente alle promesse.
1141. La promessa esiste nella fede di chi promette.
1142. La promessa, benché verbale, diventa un vero debito (4).
Nota: (4) Colla fune leghiam le corna al bue, L’uomo Ieghiam colle parole sue. Cent. Piacent, XII, 82.
1143. Promessa senz'effetto è un bell'albero senza frutti.
1144. L'oggetto della promessa è parte dello stato di un uomo.
1145. Mancare di parola è un far tortole si dà il diritto d'avere il promesso colte forza.
1146. Soltanto le promesse estorte con violenza ed artifizio non debbono essere adempite.
1147. Ogni promessa diventa nulla per le eccezioni di violenza, d'ingiustizia o d'impossibilità.
1148. Tutt'i contratti condizionali son nulli se ne mancò la condizione.
1149. Se la condizione è ingiusta od impossibile, nulla pure diventa la promessa
1150. I sensi equivoci fanno tenere equivoche anche le promesse.
1151. Le promesse consistono nella volontà di eseguirle.
1152. La volontà è il principio della maggior parte delle nostre azioni.
1153. Spesso è il potere che ci manca piutosto che la volontà (1).
Nota: (1) Taluno che nella vita privata è imperioso e superbo, sarebbe un Nerone se fosse sul trono.
1154. La volontà di far del bene senza poterlo è una virtù.
1155. II poter fare del bene, aia non averne la volontà, è un vizio enorme.
1156. L'uomo virtuoso è colui che ha la volontà d’esserlo.
1157. La rettitudine sta nella volontà (1).
Nota: (1) Queste due massime di Montaigne saranno sempre pregevoli malgrado l’altra massima: Nulla produce un buon voler ma inefficace. E perciò si deve lodare la massima di Ovidio: Ut desint vires, tamen est laudanda voluntas.
1158. L’infermità è un impedimento del corpo, non della volontà.
1159. L'uomo ha maggior forza che volontà.
1160. Per scusare noi stessi, imaginiamo sovente che le cose sono impossibili.
1161. I poltroni troverebbero difficili delle cose di cui verrebbero a capo se osassero farle.
1162. Nulla è impossibile; vi sono delle vie che conducono a tutte le cose.
1163. Se noi avessimo bastante volontà, noi avressimo bastanti mezzi di eseguire ogni cosa.
1164. Ov’è volubile la volontà, la buona fede, che è la costanza della stessa volontà, non può esistere (2).
Nota: (2) ogni libera azione ha due cagioni che concorrono a produrla: una morale, cioè la volontà che determina l’atto; l’altra fisica, cioè la potenza che eseguisce.
1165.È mollo difficile che noi conosciamo tutte le nostre volontà.
1166. Tra due voleri contrari talvolta il miglior vince (1).
Nota: (1) Contra miglior voler, voler mal pugna; Onde contra ’l piacer mio, per piacerli. Trassi dell’acqua non sazia la spugna. Dante, Purg. XX, 1.
1167. Chi fa sempre ciò che vuole, di rado fa ciò che deve.
1168. La volontà debb'essere sempre accompagnata dalla riflessione al fine che si propone (2).
Nota: (2) Se a chiusi occhi vuoi correre allo ingiù, Non puoi dir: voglio andar fin là e non più. Lippi, Malmantile.
1169. II desiderio unito al bisogno sono i due pungoli della volontà, e le due coti dell’ingegno.
1170. Lo scopo del desiderio è d'ottener ciò che si brama.
1171. Un oggetto non è degno de’ nostri desiderj se non rinchiude in sé una bontà ed un'utilità reale (3).
Nota: (3) Ciò che non si conosce non si brama, Né pena è il non aver ciò che non ama. Cent, Piacent. VII, 86.
1172. Ciascun si finge agevole quello che si desidera.
1173. L'uomo è nato per desiderare; senza di dò sarebbe infelice.
1174. I desiderj ed i bisogni crescono nell'uomo di giorno in giorno.
1175. Assai manca a chi assai desidera.
1176. Quanto più si ha, tanto più si desidera.
1. Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.
2. Fa agli altri quanto vorresti fosse a te fatto.
3. Ama Iddio sopra ogni cosa, ed onora i tuoi genitori.
4. Se vuoi vivere lungamente, ama ed onora i tuoi genitori.
5. Onora Iddio nella persona di tuo padre e di tua madre.
6. Amalo, s’è giusto il padre; soffrilo, ingiusto.
7. Fa tutto pe’ tuoi genitori, come essi fecero tutto per te.
8. Onora tuo padre colle parole e molto colle azioni.
9. Non sprezzare mai tuo padre, abbenché venisse a mancare di senno.
10. Sii tale verso i tuoi genitori quale vorresti che fosse tuo figlio.
11. Diventa presto vecchio se lungo tempo vuoi esser vecchio.
12. Onora tuo padre in un vecchio, ed in fanciullo ama tuo figlio.
13. Sii vecchio da giovane se vuoi diventar vecchio.
14. Quando sarai vecchio vivi da vecchio.
15. Da vecchio pensa a non fare il grazioso.
16. Vivi in tua magion come se fosti in piazza.
17. Opera in tua casa come s'ella fosse di vetro.
18. Sii tale quale vuoi esser creduto (1).
Nota: (1) Sia talis, inquit, esse studeas qualis habere velis. Terent.
19. Stimati non qual ti tengono ma qual sei.
20. Soccorri gli altri se all’uopo vuoi esser soccorso.
21. Non ti fare lungamente pregare a far del bene.
22. Solleva la miseria, purché non sia frutto d’infingardaggine.
23. Benefica con prontezza, e darai il doppio.
24. Guardali dal publicare i benefizj che fai.
25. Custodisci nel cuore ogni favore che rendi.
26. Beneficando non sappia la tua sinistra mano ciò che fa la destra.
27. Non publicare il ben che fai, se non vuoi perdere tutt’il merito.
28. Se puoi cerca di giovare anche agli ignoti.
29. Non guardar misura allor che ricompensi.
30. Non lascia passar alcun giorno senza far del bene.
31. Abbandona le tue orazioni per soccorrere l’infelice.
32. Benefica prima i tuoi, indi gli strani.
33. Sollecito soccorri l’amico bisognoso.
34. Fuggi il soverchio, il poco ama pur anco.
35. Non ti prender pensiero di ciò che altri fanno.
36. Non serbare le cose, ma usale al bisogno.
37. A chi ti può torre ciò che hai dà quel che ti chiede.
38. Modera le confidenze, mentre terminano in dispiaceri.
39. Nelle difficili congiunture esamina bene chi devi consultare.
40. Diffida di te stesso come di un nemico domestico.
41. Non prestar denaro ad uno di te più potente.
42. Non fare società con uno più ricco di te.
43. Se impresti al ricco, considera perduto il prestito.
44. Né cieco ti guidi, né stolto ti consigli.
45. Accompagnati con chi è meglio di te, e fagli le spese.
46. Non lasciar mai la via vecchia per nuova (1).
Nota: (1) Chi lascia la via vechia per la nova Ingannato facilmente si trova. Adimari, Satire.
47. Se vuoi esser tenuto assennato rifletti pria di decidere.
48. AI buon giorno apri la porta, ed apparecchiati per il tristo.
49. Lascio pur sempre ciò che nocevol credi.
50. Avrai le beffe e'I danno se ancor vivo d'ogni ben ti spogli.
51. In ogni cosa sii né dei primi né degli ultimi.
52. Fa la spesa secondo l’entrata e nulla più.
53. Fuggi i rumori onde non ne sii creduto autore.
54. Accomodati agli usi de' luoghi nei quali vivi.
55. Nel paese in cui ti trovi usa ciò che trovi (1).
Nota: (1) Cum fueris Romae, romano vivito more; Cum fueris alibi, visito sicut ibi.
56. Dei due mali scegli sempre il minore.
57. Se misero esser vuoi, ti reputa tale.
58. Conosci prima con chi devi trattar de’ tuoi affari.
59. Non mostrare ogni cosa in un sol punto.
60. Non mai ingerirti per lite tra marito e moglie.
61. Cerca d'essere in effetto ciò che comparir vuoi.
62. Modestamente dubita della tua abilità.
63. Nascondi il tuo merito sott’il velo della modestia.
64. Dal volto non cercar di conoscere l'altrui cuore.
65. Nelle cose importanti cammina a passi di piombo.
66. Dei cattivi partiti scegli il men reo.
67. Pregia amicizia nuova, non la casa nuova.
68. Preferisci la prudenza; sii sempre avverse all’ostinazione.
69. Sotterra nel tuo cuore i mali di casa tua (1)
Nota: (1) Otaviano Augusto li divulgò e n’ebbe biasimo. Domiziano, Aminta, Filippo ed altri con lode li tennero nascosti. Lorenzo de’ Medici ad uno, il quale voleva che dicesse male de’ suoi parenti, ricordò, che gli agiamenti si vuotano soltanto di notte.
70. Non intraprender mai troppe cose ad un tempo.
71. Non differir a domani quello che puoi far oggi.
72. Sii servitore a te stesso, se vuoi un servo fedele ed a genio.
73. Se hai servitori ricordati che son uomini.
74. Abbia nessuna confidenza col servo, e ti rispetterà (2).
Nota: (2) Familiaris dominus fatuum nutrit servum. – Ecclestast.
75. Non gettar via cosa che vedi atta per te.
76. Fuggi la pigrizia e fa sempre qualche cosa.
77. La natura ti ha fatte le mani? Servatene e travaglia.
78. Ricordati che vecchiaja povera è gran miseria.
79. Non passar mai un giorno senza por mano a qualche opera (3).
Nota: (3) Si racconta che Apelle diceva: nulla dies sine linea, ed il venosino Poeta disse esso pure: Nulla dies habet, quin linea ducta supersit.
80. Non considera soltanto le cose, ma ben anco le circostanze.
81. Nulla intraprendere se non ci pensi prima.
82. A risolvere sii lento, pronto nell’eseguire (1).
Nota: (1) Celeriter exequendum, tarde deliberandum. – Arist. Ethica, cap. IX.
83. Non intraprender cosa da pentirtene poi.
84. Se non vuoi che si sappiano le tue azioni, non farle.
85. Vergognati di fare essendo solo ciò che non vorresti fare in faccia d’altri.
86. A seconda de’ tempi varia il pensare, il procedere non mai.
87. Non sii mai diverso dagli altri per diversi che siano d’usi e d’opinioni.
88. Astienti d’un'azione se dubiti che sia giusta.
89. Con piccoli mezzi non cercar mai di far grandi affari.
90. Dei due mali evita il peggio.
91. Quel che tu danni noi far giammai.
92. Nel bene, come nel male, non trascurare le piccole cose.
93. Opera ogni dì come se fosse l’ultimo.
94. Ciò che intraprendi fatto con coraggio, e vi riuscirai.
95. Agisci coll’esperienza, non mai coll’istinto.
96. Principal tua cura sia d'acquistare un buon nome.
97. Non ti curar giammai de' fatti alimi.,
98. Bada sempre attentamente a' fatti tuoi.
99. Non cercar l’utile se noi meriti.
100. Non far ciò che si biasima in altri.
101. In ogni tua azione fa che vi presieda la ragione.
102. Opera diversamente degli animali, se loro non vuoi somigliare.
103. Fa che le tue qualità personali ti distinguano da' tuoi simili.
104. Sii sempre dolce coi buoni, e sempre buono coi cattivi.
105. Intraprendi qualunque cosa, se di farla veramente li proponi.
106. Non dubitare di eseguir una cosa se d tre volte l’hai fatta.
107. In ogni tua azione guarda al fine (1).
Nota: (1) Quid sit pulchrum, quid utile,quid non. Horat.
108. Sia sempre pronto a fare il bene e tardo a fare il male.
109. Anche il mal che lodi noi far giammai.
110. II meno che puoi cerca d' uscire dal proprio stato.
111. Prima d'agire pensa ai mezzi di ben riuscirvi (2).
Nota: (2) Pritisquam incipias, delibera. — Sallust. in Catil.
112. Operando pensa a quanto fai.
113. Sollecita con tardezza e maturità.
114. Operando datti lenta fretta (1).
Nota: (1) Festina lente, celebre detto presso gli antichi filosofi.
115. Le tue azioni ti facciano conoscere ciò che vuoi sembrare.
116. Parla poco ed opera molto se vuoi esser tenuto saggio.
117. Con buona grazia cerca l’amor di tutti.
118. Vivi secondo il tempo il più che puoi migliore.
119. Rifletti ed opera, e sarai uom sagace.
120. in ogni azione segui la ragione e la tua coscienza.
121. Non rigetta quanto non hai il coraggio d'imitare.
122. Paragonati continuamente a’ tuoi simili.
123. Dà la qualità al luogo ove esisti; il luogo non fa l’uomo.
124. Segui le disposizioni della natura, e sarai uom perfetto.
125. Non render mai mal per male.
126. Fa il bene, e diventerai buono.
127. Ama i buoni, né temer mai di vederli onorati.
128. Attienti ai limiti del tuo stato, e non spendere di più.
129. Allontanati dal male più che puoi, se vuoi esser tenuto savio (2).
Nota: (2) Sapiens timet et declinet a malo; stultus transilit et confidit — Prov. XIV, 16.
130. Non ti agiti mai la voglia di comandare.
131. Sii un uomo e non una persona.
132. Reggi le stesso, e sarai uomo.
133. Rispetta te stesso, e da tutti sarai onorato.
134. Quando parli del male pensa a te stesso.
135. Quando parli del bene pensa al compagno.
136. Non parlar di cose che non sia lecito fare.
137. Non opporti giammai a ciò che da te dipende.
138. Taci piuttosto ch’approvar ciò ch’è opposto a’ tuoi principj.
139. Parlando degli assenti, o parla bene, o taci.
140. Prima di parlare pensa a ciò che devi dire.
141. Non favellare al solo oggetto di piacere qualora l’utilità non sia col piacere congiunta.
142. Tingi la penna della lingua nell’inchiostro del cuore.
143. Parla poco ed ascolta molto né giammai ti pentirai.
144. Non dare che dolga, non dire che dispiaccia.
145. A chicchessia non dire ciò che li nuocere.
146. Di' sempre ben del bene e mal del male.
147. Non parlare giammai di te né in bene né in male (1).
Nota: (1) nec te laudaris net te culpaveris ipse‘ — Cato.
148. Osserva il silenzio più che ti sia possibile.
149. Non dire che quanto è assolutamente necessario.
150. Non parlare se gli altri non sono disposti ad ascoltarti.
151. Non tacere se il parlare può ridondare in bene.
152. Non parlare di cose che tu non conosca.
153. Parla poco d’altrui, e di te niente.
154. Quando convenga taci quel che sai.
155. Tutto quel che dici sia vero.
156. Tutto quanto è vero non dirlo.
157. Piacciati più ascoltare che favellare.
158. Parlando, sii sincero e veridico.
159. Parlando de' grandi sii sempre cauto.
160. Non parlare mai a caso o fuor di luogo (1)
Nota: (1) Omnia verb suis locis optima— Quintilianus.
161. Contro ciancier non battagliar con ciance.
162. Non dire altrimenti di quanto pensi.
163. Penetra il vero senso di quanto intendi dire.
164. Impara a tacere se vuoi imparar a parlare.
165. Non altercai mai con un gran parlatore.
166. Non cessar mai di parlare se vuoi farti conoscere per un ignorante.
167. Ascolta e taci se vuoi esser tenuto dotto.
168. Acquistati colla propria stima quella degli altri.
169. Non ti far lecita la menoma cosa, se non è giusta.
170. Le tue azioni abbiano sempre retti motivi.
171. Mantieni inviolabilmente quanto prometti.
172. Facile sii ad offerire, ritroso ad accettare, e parco a chiedere.
173. Non prometter a due ciò che puoi donare.
174. Non promettere ciò che non puoi mantenere.
175. Sii fedele a ciò che prometti.
176. Mantieni la promessa, quand’anche l’eseguirla torni in tuo danno.
177. Prometti adagio per non pentirli in fretta.
178. Pensa bene pria di promettere, ma eseguisci ciò che hai promesso (1)
Nota: (1) Male è esibire ciò che dar non vuoi, Peggior prometter ciò che far non puoi. Cent. Piacent. VII, 53.
179. Mostra d'uniformare agli altrui sensi i tuoi.
180. Loda parcamente ed assai parcamente biasima.
181. Riprendi senza offendere, loda senza adulare.
182. Loda gli altri, non mai le stesso.
183. Non lodar soltanto il virtuoso, ajutalo se n’ha bisogno.
184. Non lodarli di ciò che sei, né di quanto sai.
185. Né biasima, né sprezza, né accusa alcuno.
186. Se lodar non puoi, taci almeno.
187. L’educazione de’ figli sia il principale tuo impegno.
188. L'arte di formare tuo figlio sia la prima esercitata.
189. La prima educazione cominci dalle madri.
190. Cominci il figlio ad istruirsi cominciando a vivere.
191. Il primo nutrimento dei figli sia il latte della madre.
192. La madre sia la nutrice de’ tuoi figli, tu stesso ne sia il precettore.
193. Rispetta quella madre che allatta i proprj figli.
194. Il figlio ami sua madre prima di saper che Io deve.
195. Non pretendere d'istruire un fanciullo se non sei padre.
196. Fa prosperar le piante colla coltivazione, ma i figli coll'educazione.
197. Piega la pianta finch'ella è tenera (1).
Nota: (1) Dum faciles animi juvenum, dum mobilis aetas. Instrue. Horat.
198. Coltiva nei figli ogni lor buona disposizione.
199. Nell’ educazione valga meglio il tuo zelo che il talento.
200. Il formare il cuor di tuo figlio sia il principal dovere.
201. Sta d’educazione fa ragionevole tuo figlio.
202. In ogni incontro loda i tuoi genitori.
203. Non isfuggire la compagnia de' vecchi
204. Rispetta i vecchi e cedi loro il passo in ogni Incontro.
205. Anche del padre irato venera i detti (1).
Nota: (1) Fer patris imperium, quum verbis exit in iram. — Cato.
206. Ascolta gli avvertimenti di tuo padre e seguili.
207. Segui i modi di vivere di tuo padre, e non fallerai.
208. Le tue inclinazioni siano simili al tuo modo di vivere.
209. Forma il tuo carattere sulla costanza ed immutabilità.
210. Lascia a tuoi figli per retaggio buon nome e buoni esempi.
211. Poche ricchezze lascia ai figli, ma molte virtù.
212. Il primo tuo dovere sia l’educazione figli.
213. Governa ben te stesso, e regolerai bene gli altri.
214. Pensa prima a regolar te stesso avanti d’intraprendere l'altrui educazione.
215. Non governa gli altri se non sai governare te stesso.
216. Forma tuo figlio sul modello di te steso.
217. Tu sia la regola che tuo figlio debba seguire (2).
Nota: (2) In tal modo Lioncino negli Animali parlanti fu sin che visse un imbecille, non avendo avuto che l’Asino per precettore.
218. Se non sei padre non parlare de’ doveri di un padre.
219. Il servo non istruisca mai un uomo libero.
220. Non divenga, padre chi non vuole adempiere ai doveri, di padre.
221. Sprezza quel padre che non seppe educare i figli (1).
Nota: (1) non accettar progetti né consigli Da chi educar non seppe i proprj figli. Cent. Piacent. II, 37.
222. L'educazione, renda tuo figlio atto a tutte le condizioni umane.
223. Procura per tempo al corpo di tuo figlio la forza che debb'avere.
224. Fortifica il corpo di tuo figlio prima d’esercitare il di lui spirito.
225. Rendi forte il corpo di tuo figlio, e forte gli renderai l’animo.
226. Il sonno sia il più eccellente cordiale di tuo figlio.
227. Non far mai giacere i tuoi figli sopra morbidi letti.
228. Accostuma i tuoi figli ad essere mal co a ricali.
229. Dorma tuo figlio sopra tavole, e da per tutto troverà un buon letto.
230. Fa che tuo figlio di continuo agisca, e dormirà facilmente.
231. Non lasciar dormire di soverchio i fanciulli, ed avranno grandi forze.
232. Fa che i fanciulli non conoscano la mollezza, se debbono esercitar la virtù.
233. Non consuma le forze de’ fanciulli con la premura di conservarle.
234. Faccia molto moto il fanciullo, e sarà robusto.
235. L'alimento de' fanciulli sia comune e semplicemente condito.
236. Non inferocire il carattere dei fanciulli dando loro a mangiar carne.
237. Rade volte bevano vino puro i fanciulli, liquori forti non mai.
238. Non accontentare tutt’i desiderj de' fanciulli.
239. Rendi le forze di tuo figlio eguali a' suoi desiderj.
240. Dà a tuo figlio quant’è necessario, non quanto desidera.
241. Non soddisfare a quanto tuo figlio cerca piangendo.
242. Negata una cosa una volta, non la si accordi mai per quanto strida il fanciullo.
243. Non fare attenzione al pianto, e guarirai nei figli l’abitudine di piangere.
244. Nulla valgano le domande se il bisogno non esiste.
245. Permetti a’ tuoi figli i convenevoli trattenimenti.
246. Accostuma i fanciulli a disprezzare il caldo come il freddo.
247. L'aria ed il moto agiscano continuamente sulla costituzione de’ fanciulli.
248. Libertà e vivacità siano i sintomi dell’animo de’ figli.
249. La veracità formi nei fanciulli il principal carattere.
250. L'ubbidienza nei figli dia sempre la mano alla veracità.
251. Sommo sia nei figli l'orrore per la menzogna.
252. Non tollerar mai la scusa nei fanciulli.
253. Non mostra ai figli un aspetto diffidente acciò non nasca il desiderio di mentire.
254. Non soffrire lo spionaggio; ciò produce i falsi amici.
255. prevenzione sia sempre bandita dal precettore.
256. L' educazione dell'animo sia la base del l'educazione.
257. Si cominci per tempo a praticar la virtù, e diverrà natura.
258. L'oggetto principale dell'educazione sia la formazione del cuore.
259. Preferisci, se puoi, l’educazion publica alla domestica.
260. La vera educazione consista più in esercizj che in precetti.
261. Conosca il fanciullo prima i pazzi piuttosto che i dotti.
262. Forma ne' figli il carattere con precetti, non mai coi castighi.
263. Doma la natura, non soffocarla mai.
264. Sempre tuo figlio sia condotto con dolcezza (1).
Nota: (1) Carezza il buono, sempre più miglior Batti il cattivo, e sempre più peggiora. Adimari, SaTire.
265. Se nulla ottieni colla ragione, non impiegar per ciò troppa asprezza.
266. Di rado raffrena il fanciullo colla forza.
267. Il timore non sia mai il maestro di tuo figlio (2).
Nota: (2) Infidelis recti magister est metus. – Plin. Paneg. Trajani.
268. Riprendi tuo figlio quando falla, non percuoterlo mai.
269. In vece di percuotere tuo figlio mostragli un esteriore disgustato.
270. Non ricorrere al castigo se non dopo le vie della dolcezza.
271. Tieni lontano il vizio coll’onore, indi col timore.
272. Fa provare ai figli piuttosto vergogna che battiture.
273. Allontanati da troppa severità, come da troppa dolcezza.
274. Distingui il fatto momentaneo dall’abituale.
275. II castigo sia sempre minore del delitto.
276. Il padre corregga i figli, li scusi la madre.
277. Parla sempre d'amicò a' tuoi figli, non già da tiranno.
278. Nel punir tuo figlio non insultarlo mai.
279. Non per forza, ma per abitudine sia tuo figlio virtuoso.
280. La modestia abbellisca sempre la tenera età.
281. Vuoi far nascere sentimenti di virtù ne' figli? Dà loro buona educazione.
282. Non sia mai sfacciato il giovine, né vergognoso il vecchio.
283. Raffrena con dolcezza le passioni violenti.
284. Insinua a tuo figlio la perfezione di cui può esser capace.
285. Osserva l’inclinazione dei figli prima d'insegnar loro la menoma cosa.
286. Il buon senso e la ragione precedano l’istruzione.
287. Agisca tuo figlio per principi, non per impulsioni mecaniche.
288. Il sapere ed il conoscere siano i primi ammaestramenti di tuo figlio.
289. Non insegnare ai fanciulli quanto debbon sapere da adulti (1).
Nota: (1) Ogni diversa etade Vuol massime diverse: Altro ai fanciulli; Altro agli adulti E d'insegnar permesso. Melast.
290. La scienza de' proprj doveri sia la prima insegnata.
291. Coltiva prima l'imaginazione, indi i sensi.
292. Dà al giovine buone istruzioni, e formerai un vecchio.
293. Fa che i figli conoscan gli uomini prima delle cose.
294. Il fanciullo non la faccia da dotto s’esser non vuole impertinente.
295. Non bastino le scienze, vi siano anche le virtù.
296. Sia il figlio tuo sempre di buon umore.
297. La letizia sia sempre nel cuore dei fanciulli.
298. L’aspetto del padre sia sempre amichevole.
299. L’aspetto severo del padre non inasprisca mai il cuore, del figlio.
300. I costumi dei fanciulli dipendano dai precettori.
301. Dà buon esempio di te stesso, se vuoi corregger gli altri (1).
Nota: (1) Non si vide mai nascere aconito e cicuta da salutifera radice.
302. II buon esempio additi sempre la buona strada.
303. Il buon esempio serva di regola, cattivo d’avvertenza.
304. Insegna non solo il modo d’esser buon ma anche di non esser cattivo.
305. Non trascurare i fatti leggieri, affinché non ne nascano de’ maggiori.
306. Rimedia al male fin ch'è piccolo (1).
Nota: (1) Priincipiis obsta; sero medicina paratur Cum mala per longas invalucre moras. Ovid.
307. Il primo sentimento d'un giovane sia l'amicizia e non l'amore.
308. Le azioni di un giovine corrispondano alle avute istruzioni.
309. L'urbanità anche cogli inferiori sia segno di buona educazione;
310. Forma tuo figlio per la patria più che per sé stesso.
311. Preferisci sempre l'utilità publica al ben privalo.
312. Abbi in vista più la felicità generalo che quella di tuo figlio.
313. Forma a tuo figlio un buon cuore prima di formargli un buono stato.
314. La civiltà sia il frutto d'ogni tempo, la famigliarità non mai.
315. Conosca tuo figlio prima il modo d'es sor saggio, quindi i pazzi.
316. Scopri nel figlio a qual arte il chiamino genio o natura.
317. Oltre le scienze insegnisi ai giovani anche qualche arte.
318. Il giovane sappia per tempo che i parenti non potranno sempre assisterlo (1).
Nota: (1) Senza quest’istruzione i fanciulli, particolarmente quelli di parenti ricchi, ed i figli dei principi, al pari degli abitanti d’Otaiti, restano fanciulli per tutta la loro vita.
319. Fa viaggiare i figli se l’educazione debb'esser perfetta.
320. Edifica la tua felicità sulla saviezza de' figli (2).
Nota: (2) Dolce premio alla virtù d’un padre È de’ figli l’amore. Metast. Antigono.
321. Ringentilisci da sollecito padre la tua famiglia.
322. Nell'ammaestrare gli altri non scordarti di te stesso.
323. La sola ragione formi la tua condotta.
324. Non sii mai schiavo de' tuoi bisogni.
325. Scema i tuoi bisogni e scemeranno Ie tue voglie.
326. Minora i tuoi desiderj, e sarai da tutti indipendente.
327. Coll'età cambia pensieri, e sopra tutto cambia desiderj.
328. Abbia un potere assoluto sopra i tuoi desiderj.
329. Non bramare cosa alcuna con ardore.
330. I tuoi desiderj siano esenti da ogni passione.
331. Diminuisci i tuoi desiderj, ed aumenterai le tue forze.
332. Abbia grandi forze se grandi sono i tuoi desiderj.
333. Desidera niente, ed accontentati di poco (1).
Nota: (1) Mons fils, ecoute je te prie: Point de souci, point de proces. Un feu qu’on n’eteigne jamais, Assez de bien acqui sans peine, Un air aisé, pont de Climene, Des amis egaux, le corp sain, Etre prudent sans étre fin; Peu de devoirs, point de querelles, Peu de viandes, mais naiurelles, Une femme de bonne humeur, Mais an fond pleine de pudeur, Ètre complaisant et facile; Une sommeil peu long, mais tranquille; Etre satisfait de son sort, Quel qu’il soit, ne s'en jamais plaindre Et regarder venir la mort Sans la desirer ni la craindre. Majnard.
334. I tuoi desideri siano sempre moderati.
335. Abita la casa di tuo padre; sarà perle grande se bastò per lui.
336. Umil veste e piccol casa li bastino se morir devi.
337. Per ben conoscere gli uomini conosci ciò ch’essi amano.
338. Non considerare gli uomini quali si dicono, ma quali sono.
339. Col fuoco prova l’oro, coll'oro la donna colla donna prova l’uomo.
340. Ti vanti padrone? Non sii schiavo di donna alcuna (1).
Nota: (1) Nos imperamus omnibus, uxores nobis. - Plutar, in Roman. Apophleg.
341. Voluttuoso non sii, e non sarai dominato dalle femine.
342. Raddolcisci i tuoi costumi nel conversare socievole.
343. Cerca di conversare soltanto con donne virtuose.
344. Sia onesto il tuo procedere nel corteggiar le femine.
345. Cerca di piacere alle donne, ma polle virtù.
346. La decenza faccia credere alle donne che tu stimi te stesso.
347. L'urbanità faccia conoscere che tu stimi tutte le donne.
348. Se sei amico di donna non cercare di disonorarla.
349. Con delicato sentimento fa regnare in tua famiglia onesta libertà.
350. Comanda alia donna con cortesia, e sarà ubbidito.
351. La debolezza della donna t'induca a irritarla con dolcezza.
352. Reprimi con dolcezza i fatti di tua famiglia.
353. Governa bene la tua famiglia, e vi regnerà la pace.
354. Sii l’amico della tua donna, non mai il di lei tiranno,
355. Non abusare colle femine della forza che hai.
356. Abbi maggior sentimento, come la donna ha maggior dolcezza.
357. Abbi maggior ingegno della donna, com’essa ha maggior spirito.
358. Rendi la tua donna felice se vuoi esser felice.
359. Renditi amabile, e sarai amato dalla tua donna.
360. Ammira nelle femine la dolcezza qual prima lor nobile parte.
361. Insensibile non sii mai alla sensibilità delle donne.
362. Rigetta il consiglio antisociale di allontanarti dalle femine.
363. Non rinunciar mai all’onesto conversare colle donne.
364. Non a tutte le donne applica i difetti di poche.
365. Non concedi alle femine che l’impero della bellezza.
366. Non ascoltare le tue passioni quantunque persuadano sempre.
367. Ricordati ch’è difficile il vincere le proprie passioni.
368. Sappi ch’è impossibile soddisfare tutte le passioni.
369. Fuggi anche il dolce che può farsi amaro.
370. Domina le lue passioni, né ti mancherà riposo.
371. Concedi poco al piacere e molto alla saIute (1).
Nota: (1) Pauca voluptati dentur, plura saluti. – Cato.
372. Fa che amore sia sempre prodotto da sensibilità.
373. La sensibilità modifichi le tue passioni come modifica i costumi.
374. Tieni soltanto come debole chi ha un cuore che combatte colla ragione.
375. Sappi regolare te stesso prima di pretendere a regolare una famiglia.
376. Il matrimonio sia sempre l’anima della società.
377. Se vuoi prender moglie, sia tua pari (2).
Nota: (2) Si vis nubere, nube pari.
378. Non desiderar per moglie chi è sol bella.
379. Fuggi la gran bellezza nel far ricerca d’una sposa.
380. Se hai moglie abbi per essa amore e stima.
381. Se hai da prender moglie pensaci bene.
382. Colla più matura riflessione scegli la sposa.
383. Presa che avrai moglie, non parlar mal di sue bellezze.
384. Se vuoi prender moglie armati d'un forte usbergo di sofferenza.
385. Riprendi sempre con garbo l'error di tua moglie.
386. Il prender moglie è poco, il guidarla è molto.
387. Castiga tua moglie col disprezzo, non mai con publicità.
388. Non sii balordo, e tua moglie non sarà scapestrata.
389. Sappi sempre esser marito, e tua moglie saratti ubbidiente.
390. Regola bene te stesso se vuoi ben regolare la tua famiglia.
391. Il modello del capo sia sempre la regola dell’intiera famiglia.
392. Nel matrimonio fa che il dilettevole sia sempre unito all'utile ed all’onesto.
393. Diventa padre se hai avuto un padre.
394. Il tempo della virilità sia il vero tempo del matrimonio.
395. Da giovine prendi moglie se sei stanco di stare bene.
396. Il solo amore non sia necessario per un felice matrimonio.
397. La mutua inclinazione sia il primo legame del matrimonio.
398. L’unione de’ cuori formi la felicità fra due sposi.
399. Per amarsi sposi amatevi prima amanti.
400. La cieca passione o ’l capriccio non ti faccian mai prender moglie.
401. Non mai pigliar moglie per interesse.
402. Scegli una sposa savia più che bella, virtuosa più che ricca.
403. Se vuoi prender moglie, non sia di te più ricca.
404. Sposa una figlia savia e poco ricca, anzi che ricchissima e scapestrata.
405. Non cercare il denaro prima della moglie, altrimenti non troverai né l’uno né l’altra.
406. Non ricercare nella tua sposa spirito sublime né grandi talenti.
407. Trova una moglie virtuosa, ed avrai trovato un tesoro.
408. Buon cuore, tenerezza ed amabilità bastino ad un marito.
409. Il matrimonio sia il più libero, il più sacro de' contratti.
410. Il consenso de’ parenti con con quello de’ figli assicuri la felicità della scelta.
411. Nella fedeltà de’ cónjugi sia appoggiata tutta la civil società.
412. Il marito porti a casa, la moglie serbi e difenda.
413. II marito mantenga la casa, la moglie serbi l’onore.
414. Coll’amabilità la femina governi l’uomo ubbidendogli.
415. Fra le qualità d'una femina primeggi la dolcezza.
416. Maniere semplici e naturali siano quelle delle femine.
417. Conosci, o femina, i tuoi diritti e fatti valere a tuo vantaggio.
418. Stima le stessa, e difficilmente sarai disonorata.
419. Reggiti coi principj d'onestà, e non sarai condotta dal cuore.
420. Non far conoscere le tue debolezze, se non vuoi essere maggiormente debole.
421. Sovente rifletta la donna, e dirado sarà volubile.
422. Non sia troppo loquace la femina, e sarà costante.
423. Ama l'amante, non amar l’amore.
424. Addolorati per l'amante non per sembrar degna d'esser amata.
425. Piangi se vuoi all’uopo essere compianta.
426. Piangi se vuoi evitare il rossole di non piangere.
427. Sii rigorosa nelle pretensioni di buona nascita, ma non facile nel mal costume.
428. Non riprovare in altrui i difetti che hai tu stessa.
429. Onestà sia il principale tuo tesoro.
430. In amore non lasciati mai vincere dalla passione.
431. Debolezza ti vinca, non mai la passione.
432. Se hai meriti, accompagnali sempre colla modestia.
433. La modestia nelle femine sia il loro maggior pregio.
434. Stima te stessa: onore, saviezza e decenza saranno in te.
435. L'opinione sia la tomba della virtù fra gli uomini ed il trono fra le donne (1).
Nota: (1) ….. né men del vero Del proprio onore L’apparenza d’un fallo Evitar noi dobbiam. La gloria nostra È geloso cristallo, è debil canna Ch’ogni aura inchina, ogni respiro appanna. Metast. Zenobia, atto I.
436. Non esca la donna dal suo natural destino volendo comparir uomo.
437. Non stancarti mai d’essere onesta donna.
438. Sii onesta, e godrai riputazione di donn’onesta.
439. Rifletti ch’è difficile conservar ciò che da molti si desidera.
440. Non temer che anche le tue più secrete cose vedan la luce.
441. La cura de’ figli sia di donna il primo dovere.
442. L’amor del lavoro sia una della virtù del bel sesso.
443. Frapponi continui ostacoli alla vanità delle figlie.
444. Non prestar alle figlie occasion veruna di diventar vane.
445. Le figlie siano sempre scrupolosamente pulite.
446. Quantunque col cuore agitato, sia sempre sereno l’aspetto d’una figlia.
447. Il buon umore sia sempre la prima qualità d'una figlia.
448. La figlia impari nella casa paterna ad amare quella del marito.
449. Dà marito a tua figlia il più presto che puoi (1).
Nota: (1) Chi tarda a maritar le figlie inganna Età, bellezza, ed il pudor condanna. Cent. Piacent. II, 97.
450. Non disporre mai del cuore di tua figlia senz'il di lei consenso.
451. La figlia stessa scelga il suo sposo, ma col consiglio de’ suoi parenti.
452. La buona salute formi la bellezza e la gioventù.
453. Modera l’impeto dell'età giovanile.
454. Fatica da giovane, ed avrai robusta complessione da vecchio.
455. Godi giovinezza finché sei giovane (2).
Nota: (2) Godiam, che il tempo vola, e passan gli anni. Chè se noi giovinezza Una volta si perde, Mai più non si rinverde, Ed a canuto e livido sembiante Può ben tornare amor, ma non amante. Guarini.
456. Concentro i tuoi sentimenti diventando vecchio.
457. Passata la gioventù pensa a formarti uno stato.
458. I progetti d’uno stabilimento siano la dote della virilità.
459. Cambia di gusti e di passioni cambiando d’età.
460. Cambia te stesso col variar de’ tempi (1).
Nota: (1) Tempora mutantur et nos mutantus in illis. — Pub. Sirus.
461. Ti sia la vecchiaja un asilo d’onorata quiete.
462. Corona di vita virtuosa ti sia l’onorata vecchiezza.
463. Diventando vecchio diventa saggio (2).
Nota: (2) Quanto più l’uomo invecchia, Più perfetto diviene; E se perde bellezza, acquista senno. Guarini.
464. Cura poco la vita ma molto la salute.
465. Non piangere la passata gioventù; essa più non ritorna.
466. Ascolta i vecchi se parlano con precisione.
467. Il giovine si regga coi consigli de' vecchi.
468. Riportali sempre al parere de' vecchi.
469. I capegli bianchi d'un vecchio virtuoso siano i di lui allori (1).
Nota: (1) Coram cano capite consurge, et honora personam senis. – prov.
470. Non invecchiare se non vuoi diventar fanciullo.
471. Non pensa, se sei vecchio, u fare il grazioso.
472. Da vecchio non la far da giovine, se non vuoi sembrar pazzo (2).
Nota: (2) Turpe senex miles, turpe senilis amor.
473. Sappi esser vecchio a suo tempo.
474. Quando sarai vecchio vivi per ragione, non per natura.
475. Non temer la vecchiaja non essendo sicuro di potervi arrivare.
476. Dà non solo buoni consigli, ma anco buoni esempi.
477. Sii privo d'ogni difetto se vuoi censurare gli altri (3).
Nota: (3) Cerere debet omni vitio qui in alterum dicere paratus est.
478. Sii saggio, e sarai rispettato benché vecchio.
479. Il cuor de’ vecchi sia il santuario della saviezza.
480. Vivi di memoria più che di speranza.
481. Anche da vecchio cerca sempre d’instruirti.
482. Cerca sempre il meglio per qualunque strada vi si arrivi.
483. Profitta del bene con prudenza, e soffri il male con pazienza.
484. Spera ogni bene, e fuggi ogni male finché vivi.
485. Misura la tua esistenza colle virtù che possiedi.
486. Usa bene della vita, e sarai felice.
487. Misura la vita dall'opre e non dai giorni.
488. Pensa che nel mondo l'infingardo trapassa a guisa di pellegrino (1).
Nota: (1) La vita fugge e non s’arresta un’ora, E la morte vien dietro a gran giornate. Petrarca.
489. Rifletti che l'istante della morte è sempre vicino a quello della nascita.
490. Se ami la vita, sprezza gli accidenti che la minacciano.
491. Conosci il prezzo della vita, se sei saggio.
492. Ignora le conseguenze della morte, se sei stolto.
493. Vuoi esser vecchio glorioso? Non temer di morire.
494. Non temer la morte se sei infelice.
495. Non temer la morte, e farai l'elogio de vita passata.
496. Pensa ni tuo futuro destino, e mitigherai l’acerbità della morte (1).
Nota: (1) Altro mal non ha morte Che’l pensier di morire. Guarini.
497. Non temer la morte, e vivrai felice.
498. Sprezza la vita, e non temerai la morte.
499. Prega Iddio finché sei sano, ma sta allegro in punto di morte.
500. Sii virtuoso, e non temerai la morte.
501. Non desiderare la morte, né temerla mai.
502. Abbi timore delle inquietudini della vita e non della morte.
503. Non temer la morte, e farai più corte le pene della vita.
504. Preparati alla morte con una buona vita.
505. Se non vuoi temerla morte, impara a u morir vivendo.
506. Soffri con costanza, e morirai in pare.
507. Contempla il sepolcro, e svaniranno tutte le tue infelicità.
508. Bandisci i mali dell’opinione, ed allontanerai i mali della natura.
509. Vivi in modo da non aver bisogno di j, pensare alla morte.
510. Tienti poco alle cose umane, e non avrai bisogno d’imparar a morire.
511. Il pensiero della morte ti renda più virtuoso, più moderato e meno avaro.
512. Non osservare la morte in un uomo, ma la di lui vita.
513. Risparmia la tua vita, se brami di lungamente conservarla.
514. Non temer la morte, e tutto potrai intraprendere.
515. Abbi una buona riputazione, e vivrà anche dopo morte.
516. Onora la propria vita non colle parole altrui ma colle tue azioni.
517. Quantunque abbi a viver poco, toserò lunghissima memoria di te.
518. Fa consistere la vita de' morti nella memoria de' vivi.
519. La femina pianga i defunti; se ne ricordi l'uomo.
520. Non onorare gli estinti con splendidi apparati, imita soltanto le Ioro virtù.
521. Se il tuo dolore è sincero non limitare il tempo del lutto.
522. Non prolungare l'impostura del lutto se 'I dolore è falso.
523. Le lodi agli estinti t'insegnino come tu debba vivere.
524. Le lodi ai morti siano la censura de’ vivi.
525. I morti non siano mai il terrore de’ vivi.
526. Il sepolcro dell'uom prode ti ecciti alla virtù (1).
Nota: (1) A egregie cose il forte animo accendono L’urne de’ forti. Ugo Foscolo, Dei Sepolcri.
527. L'altrui morte ti sia una chiara lezione del viver Ino (1).
Nota: (1) Non già conforto sol, ma scuola ancora Sono a chi vivo i monumenti tristi chi disparve. Pindemonte, I Sepolcri.
528. Il sepolcro di tuo padre sia per le la miglior scuola (2).
Nota: (2) Ma il giovinetto, che que’sassi guarda, Venir da loro al cor sentesi un foco, Che ad imprese magnanime lo spinge. Id. ivi.
529. Fabrica il tuo sepolcro vivendo, e da esso imparerai a ben vivere.
530. Non titubar mai fra speranza e timore.
531. Attienti a nulla, e sarai insensibile agl'infotunj.
532. Non lanciarti mai predominare dall’amor proprio.
533. Ama gli altri come te stesso, ma te stesso sopra gli altri.
534. Ama sempre chi ti ammira.
535. Non ammirar sempre chi ti ama.
536. Vuoi esser villorioso? Vinci te stesso.
537. Per lieve offesa non rissentirtene mai.
538. Se non vuoi esser tenuto vano, non far mai l’elogio di te stesso.
539. Sappi sempre dar la ragione de’ motivi che ti fanno agire.
540. Conosci te stesso, e sopra tutto i tuoi difetti, e sarai felice.
541. Ama di essere veramente grande piuttosto che di comparir tale.
542. Se veramente grande esser vuoi, non reputarli tale.
543. Vuoi esser veramente grande? Dimostralo coll’opere.
544. Non aspirare a picciol cosa se vuoi farti creder grande.
545. Ai grandi uomini cerca di sovrastare con grandi qualità.
546. Sorpassa gli altri in virtù, se vuoi esser veramente grande.
547. Non abusar mai della tua superiorità.
548. Modestamente tratta se sei veramente grande.
549. Disprezza la morte, e sarai uomo grande.
550. Cerca la gloria, ma molto più la stima de’ tuoi simili.
551. Sprezza i grandi che abbiano soltanto grandezze.
552. Compiangi i grandi, se sono privi di virtù.
553. Abbia dottrina ed esperienza, ed avrai potere e gloria.
554. Abbi attività e perspicacia, e sarai ricco (1).
Nota: (1) Curis acuens mortalia corda. Virg. Georg. I, 123.
555. Misura sempre la tua bassezza all’altrui superiorità.
556. Conservati in perfetto equilibrio. e sarai degno di governar gli uomini.
557. Non cerca mai d'immortalizzarti a forza d’iniquità.
558. Sii veramente uomo, e godrai la più bella qualità dell’uomo.
559. Prevedi e spera, e sarai sempre superiore agli altri uomini.
560. La ragione ti faccia agire, non la presunzione.
561. Tollera l'altrui vanità, se vuoi che altri soffrano la tua.
562. Perdona tutto agli altri, niente a te stesso.
563. L'ambizione ti sia incentivo al bene e non mai al male.
564. Non attribuire alla prudenza ciò che è fortuna o caso.
565. Fonda l'ambizion tua sull'altrui felicità.
566. Sta sempre pronto per profittare del momento felice di fortuna.
567. Varia le lue opinioni secondo le altrui abitudini.
568. Fa che le altrui opinioni influiscano sul tuo carattere.
569. La publica opinione abbia forza in te quanto la virtù.
570. La tua opinione sia sempre a norma delle parole paragonate coi fatti.
571. L'opinione sia figlia della persuasione e non della forza.
572. Non parlare con asprezza, se vuoi che la persuasione sia intiera.
573. Il tuo desiderio nasca dall’opinione fondata sull'imaginazione.
574. Non aver mai grande opinione di te stesso.
575. Non la cosa, ma l’opinion della cosa dia fastidio.
576. Non aver mai cattiva opinione né di te né degli altri.
577. L'influenza dell’opinione sia la prima molla d'ogni tua azione.
578. Non urtar mai di fronte la publica opinione.
579. I costumi publici dirigano la tua condotta privata.
580. Fa che i buoni costumi regnino quanto le leggi.
581. I costumi in casa tua siano più potenti che le leggi (1).
Nota: (1) Plus ibi boni mores valent, quam alibi bonae leges. – Tacit.
582. I buoni costumi dirigano la famiglia, come le leggi dirigono lo Stato.
583. Vuoi conoscere un uomo? Studia i di lui costumi.
584. L’opulenza d’una famiglia sia fondata sui costumi e non sulle ricchezze.
585. I costumi dell’animo siano sempre potenze del corpo.
586. Giudica dei costumi, e giudicherai dell'onore.
587. I costumi siano sempre il più fermo appoggio di qualsisia società.
588. Abbia sempre più in onore i costumi che i talenti (1).
Nota: (1) Trop de talens, trop de succès flatteurs Tratnen souvent la ruine des moeurs. Gresset, Ver-Vert.
589. Fa consistere il merito delle femine nei costumi e non nella bellezza.
590. Non far mai dipendere il vero merito dal tempo né dalla moda.
591. Fai buon uso delle tue buone qualità, ed avrai meriti.
592. Non dare il merito alle dignità; queste sono di quello la ricompensa.
593. Una dignità sta al merito come l’acconciamento è per una bella persona.
594. Non ti sia mai di noja l’altrui merito.
595. Non trascura un uom di merito, né ammira mai uno sciocco.
596. Il vero merito sia sempre accompagnato d'onestà e di modestia.
597. Non istimar troppo te stesso, se non vuoi essere da tutti disprezzato.
598. Sii glorioso con te stesso, non mai con gli altri.
599. Non insuperbirti mai, abbenchè tu sia divenuto ricco.
600. Le tue virtù siano la misura della tua ambizione.
601. L’amore della virtù non sia mai da te confuso coll’orgoglio.
602. Non mostrarti mai vanaglorioso, né loda mai te stesso (1).
Nota: (1) Altiero io non ti do Mai non ti loda tu, Sempre bella spiccò La modesta virtù. Cerretti.
603. La vanità non sia mai consigliera nelle tue azioni.
604. Sprezza soltanto ciò che non è degno d’apprezzarsi.
605. Se non sei orgoglioso, non ti lagnar mai dell’altrui orgoglio.
606. Non chiamarti mai servo de servi se non vuoi esser tenuto orgoglioso.
607. Disprezza il ricco orgoglioso, ma il povero rinchiudilo nell’ospedal de’ pazzi.
608. Adempi a' tuoi doveri, ed accrescerai la tua fama.
609. II primo tuo dovere sia l’ubbidienza alle leggi.
610. Se vuoi esser virtuoso non manca d’adempiere a' tuoi doveri (2).
Nota: (2) Eterno obbrobbio coprirà quel vile Che sfuggir brama al suo dovere; un empio Un perfido è chi la virtù tradisce. I templari, trad. di Franco Salfi.
611. Stima i tuoi doveri al disopra di tutto.
612. I proprj doveri adempi sempre con esattezza.
613. Sottometti le tue passioni al dovere, se vuoi essere virtuoso.
614. Coi regolari costumi formati la scienza della felicità.
615. Anche la tua morale abbia dei precetti, e la tua ragione abbia una regola.
616. Riduci tutta la morale alle leggi delle azioni.
617. Governali sempre col timore della giustizia.
618. Impara a praticare le virtù praticando quelle cose che vi conducono.
619. Ubbidisci quando ordina chi può comandare.
620. Narra a molti i gentili atti altrui.
621. Non rallegrarti mai dell'altrui danno.
622. Pasci il cuor di dottrina, né cessa mai d'imparare.
623. Ammira le cose passate, ma attienti alle presenti (1).
Nota: (1) Ulteriora miravi, praesentia sequi. —Tacit.
624. Non aver pretese se non hai meriti.
625. Conta per nulla ciò che non hai.
626. Non fare tutto quello che puoi.
627. Non dire tutto quello che sai.
628. Non dare tutto quello che hai.
629. Non credere tutto quello che odi.
630. Non chiedere tutto quello che brami.
631. Non ricevere tutto quello che ti vien dato.
632. Non adirarti per tutto quanto ti venga fatto.
633. Non desiderare tutto quanto vedi o pensi.
634. Non soddisfarti di tutto quanto puoi avere.
635. Non crederti mai migliore degli altri.
636. Brama il bene, e fuggi sempre il male.
637. Segui la propria coscienza unitamente alla ragione.
638. Assicurati la virtù coll’uso permanente di essa.
639. Le tue buone azioni sieno preparate dalle buone abitudini.
640. Fa consistere la morale non nel ben pensare, ma nel ben fare.
641. Mantienti virtuoso coi buoni costumi non coll’alto sapere.
642. La moralità tua sia una quantità costante di tutti gli istanti.
643. Il tuo interesse sia sempre d’accordo colla sana morale.
644. Insegna la morale più cogli esempi che coi precetti.
645. Comunica le idee morali per la via del sentimento.
646. Il sentimento e il cuore condiscano la società e la vera amicizia.
647. Sii piuttosto buono a nulla che buono a tutto.
648. Vivi senza rimproveri, né temer che ti venga oscurata la fama.
649. Misura la gloria altrui coi mezzi adoperati per acquistarla.
650. Misura la gloria tua colle virtù che possiedi.
651. Non procacciarti mai gloria alcuna se ad altri apporta danno.
652. Crediti ciò che sei e non ciò che sei tenuto.
653. Il primo tuo desiderio sia di conservare una buona fama (1).
Nota: (1) Ego si bonam famam mihi servasse, sat ero dives. Plaut. Mostellaria.
654. Non oscurar tua fama per molta voglia di vivere.
655. La buona fama ti sia la vera vita; vivrai anche dopo morte.
656. Per la via retta spingiti sempre ad acquistar buona fama.
657. Fa il tuo dovere anche a costo della tua fama.
658. La riputazione e gli onori ti siano il frutto di tue luminose virtù.
659. Coll'ingegno acquista gloria, non colla forza.
660. Se meriti vera gloria non vantartene mai (2).
Nota: (2) …. Le lor passate imprese Sono all’alme de' forti un sogno, un’ombra. E van pel campo della fama in traccia Di novelli trofei, né dai lor labri Escon mai voci di baldanza e vanto. Ossian, temora, V.
661. Fa consistere la tua gloria nella certezza di veramente meritarla.
662. Vivi da grand'uomo, morrai colla fama di uomo grande.
663. Il primo premio d'ogni alla opera ti sia la buona fama.
664. Ama la gloria, e sarai un eroe.
665. Disprezza la gloria, e sarai un uomo grande.
666. Fa risplendere fama di modestia; sarai caro a Dio, ed amato dagli uomini.
667. La gloria ti sia un nulla, se non è accompagnata da qualche vantaggio.
668. Soverchia voglia di vivere non ti si opponga all'acquisto di nuova gloria.
669. L'acquisto di nuova gloria non scemi in te lo splendore dell'antica.
670. Un magnanimo disprezzo della vita avvivi ognor la tua fama.
671. Rifletti che la gloria non è che illusione e facilmente svanisce (1).
Nota: (1) Non è il mondan romore altro che un fiato Di vento che or vien quinci ed or vien quindi, E muta nome perché mula fato. Dante, Purgat. XI, 100.
672. Il tuo valore sia sempre diretto dalia ragione.
673. In ogni evento conserva sempre fronte serena e tranquilla.
674. Il valore non sia in te un'imprudenza temeraria (1).
Nota: (1) ….. ad urtar coi forti Pari vuolsi all’invidia aver l’ardire; E, non men pari all’alto ardir, la forza. Alfieri, Congiura, atto II. Ragion insegna che v’ha gran divario Fra l’uom coraggioso e il temerario. Casti, Anim. parl.
675. Conosci il pericolo e la necessità d’affrontarlo se vuoi esser valoroso.
676. Non abusar mai del tuo coraggio, e sarai veramente valoroso.
677. Sii benevolo e dolce cogli umili, ma sempre fiero coi superbi.
678. Conquista uno stato col valore, ma rassodalo colla giustizia.
679. Il vero valore non si disgiunga mai dalla giustizia e dalla generosità (2).
Nota: (2) ….. Il suo nome altiero Irraggerà di nobili faville Le tarde età, perché il suo forte acciaro Schermo fu sempre all’infelice oppresso. Ossian, Temora.
680. Fa consistere il vero valore nel dominar te stesso.
681. Sii virtuoso, e dappertutto sarai coraggioso.
682. Sii sempre coraggioso a segno di prender partito in favore degli assenti.
683. Sostieni il partito degli assenti e della verità, e non temerai di morire (1).
Nota: (1) Non è che il solo viruoso che possa veramente essere coraggioso in battaglia contr’al nemico; in un circolo, in favore degli asenti e della verità; nel suo letto, contro gli attacchi del dolore e della morte.
684. Non temere che quando hai ragione vera di temere.
685. Abbi molto timor soltanto di quel che temon molti.
686. Tieni il mezzo tra la viltà e l’audacia.
687. L'estremo pericolo produca in te un maggior coraggio.
688. Sprezza i pericoli, e saprai superarli.
689. Nei casi perversi opponti sempre da forte (2).
Nota: (2) ….. il petto audace Non fe’natura di timor capace. Tasso, Gerus. XIX, 23.
690. Conserva la presenza d'animo fra perricoli, e sarai intrepido.
691. Non mostrarti mai coraggioso lontano dal pericolo.
692. Non chiamar coraggioso chi non fu mai in pericolo.
693. Sii coraggioso, ed avrai la porzione del timido (1).
Nota: (1) …. difesa è il brando Dei valorosi, ma la morte insegue La fuga dei codardi, e li raggiunge. Ossian, Latmo. Giace sul margo a serpeggiante rivo In solitaria valle anima imbelle Di picciolo mortal: passano gli anni, Volvonsi le stagioni, ei neghittoso Torpe in riposo vil. Id.
694. Non aver mai altro timore che quello d'offendere la virtù.
695. Non aver timore ove non v'è vergogna.
696. Non aver timore alcuno se giunger vuoi a far grandi cose (2).
Nota: (2) …… il temer solo è morte vera al prode. Alfieri, Saul, atto I.
697. Abbi timore di colui che nulla teme.
698. Sii coraggioso, e vivrai immortale (3).
Nota: (3) ….. sta muta La schiatta de’ codardi: ella non lascia Di nobil orma ed ammiranda impressa La fronte dell'etade. Ossian, Calloda, III.
699. Prevedi ed aspetta tutto, e nulla temerai.
700. Il pericolo sia pel coraggioso la pietra di paragone.
701. Non vantar la forza altrui se non vuoi confessar la tua viltà.
702. Il timore sia il guardiano delia tua vita.
703. Fuggi opportunamente piuttosto che fare un'inutile resistenza.
704. Non cercar di combattere chi morir non teme.
705. Sprezza la tua vita, e sarai padrone di quella degli altri.
706. Sii soldato per dovere e non per mestiere.
707. Non disertare, perché è lo stesso che tradire lo Stato.
708. Sii temperante e frugale, se vuoi essere buon soldato.
709. Sii sempre pronto a camminare in difesa della patria.
710. Ubbidisci, se vuoi ben comandare.
711. Non contar gli anni di un eroe che di lui vittorie.
712. In guerra non indugiar mai; eccedi piuttosto nella fretta (1).
Nota: (1) Mora res corrumpi. —Tacit.
713. In tempo di pace pensa alla guerra.
714. Con molti va alla guerra, con pochi v in consiglio.
715. In guerra sta attento alla menoma imprudenza del nemico.
716. Non disprezzare la menoma opportunità alla guerra (2).
Nota: (2) Nihil in bello oporterè contemni. – Cornel. Nep. Vit Trasib.
717. Non basta vincere; fa buon uso della vittoria.
718. Non chiudere mai la strada al nemico che fugge.
719. Al nemico che fugge fa i ponti d'oro.
720. Sii coraggioso e prudente, e sarai vittorioso.
721. Affronta il pericolo, e lo distruggerai.
722. Non sii mai insolente nelle prosperità.
723. Se rimani vincitore, compiangi il nemico (1).
Nota: (1) ….Ah! qu’il est doux de plaindre Un ennemi, lorsqu'il n'est plus a craindre. Corneille.
724. Sii prima vittorioso avanti di voler imporre la legge.
725. Vinci, se puoi, senza sparger sangue, e sarai un gran capitano.
726. Corri all'armi contro i nemici, non mai contro la patria.
727. Perdona se sei vincitore, e più sicura renderai la conquista.
728. Vinci colla clemenza e coll' umanità, non colle stragi e col sangue.
729. Cerca sempre la pace; essa è utile ai vinti, onorevole ai vincitori.
730. Senza temer la guerra desidera la pace (2).
Nota: (2) Acuta è l’asta di Conallo, ed ama Di brillar nella pugna, e diguazzarsi Nel sangue degli eroi: pur se alla guerra Pende la man, dia per la pace il core. Ossian, Fingal, I.
731. In pace apparecchiali alla guerra, e crea colla guerra la sicurezza.
732. Desidera la pace ed approfittane quando l'hai.
733. Mostrati sempre pronto a far guerra, sempre pace avrai.
734. Abbi forza di far la guerra ed avrai fa pace (1).
Nota: (1) ….giova, Più certa pace ad ottener, la forza. Alfieri, Polinice.
735. Prevedi la guerra e non temerla
736. In pugno tieni la ma spada e quelle degli altri rimarranno nel fodero.
737. Fa la guerra per vivere sicuro in pace.
738. Pensa ch’è facile imprendere una guerra, difficile il terminarla (2).
Nota: (2) Facile è oprar gran danno, e chi riparo Por sappia a tempo al mai ch’ei fece, è raro. Casti, Anim. parl. XI, 72.
739. Fa la guerra più col ferro che coll’oro.
740. Fa la guerra col ferro, e dappertutto troverai dell’oro (3).
Nota: (3) Così i Romani, che fecero sempre la guerra col ferro, non furono mai scarsi d’oro.
741. Fa consistere la vera forza nella virtù la qual procura somme ricchezze.
742. In guerra non fidarti a fortuna, consiglio ed a ragione.
743. Il sentimento della forza non produca mai in tr l’insubordinazione.
744. Quantunque forte, ubbidisci sempre alle Ieggi.
745. Se forte sei, violento non sii mai.
746. Non esercitare il diritto del più forte, né soffrilo anche se puoi.
747. Il sentimento della forza non produca in te, se grande sei, né alterigia né orgoglio.
748. L'idea della forza non faccia nascere in te, se piccolo sei, né insolenza né ferocia.
749. Nulla pretendere se hai un diritto, e non una forza da farlo valere.
750. Abbi maggior forza, ed avrai maggiori diritti.
751. Sii forte e prudente, e signoreggerai il mondo (1).
Nota: (1) Romanus, sedendo, vincit. — Vetus prov.
752. Sii forte e farai fortemente ciò che vuoi.
753. Unisciti coi deboli, e sempre sarai forte.
754. Sii forte, e sarai virtuoso: la strada del vizio è la vigliaccheria.
755. Ove manca la virtù, regga la forza.
756. Cedi alla forza, e sarai prudente.
757. Nascondi le tue debolezze, e toglierai ai nemici l'occasione di nuocerti.
758. Se debole sei non urtare co’ forti (2).
Nota: (2)E quindi dee, per evitar la morte, Il debole fuggir sempre dal forte. Casti, Anim. parl.
759. Se debole sei non colorire con sofismi la tua debolezza.
760. Sii costante nel ben operare ed avrai gran forza d'animo.
761. Persevera nelle intraprese convenevolmente scelte, e sarai costante.
762. Sii costante, e da tutti sarai ammirato.
763. Sii costante, e la tua virtù riceverà una corona di gloria.
764. Cambia soltanto quando i tuoi doveri cambiano.
765. Rinchiudi nel cuore le tue agitazioni ed avrai la costanza del saggio.
766. Desio di novità soltanto faccenda, se ti può esser utile (1).
Nota: (1) …. Ciascun di novità si pasce, Più variar che migliorar procura; Annoja il buin sovente, annoja il bello, Ed oggetto si segue ognor novello. Casti, Anim. parl. XII, 47.
767. Cedi all’altrui persuasione, se non vuoi essere ostinato.
768. Non ragionare cogli ostinati, perché sono incapaci di ragione.
769. Convinci l’ostinato colla ragione, e sveglierai in esso il furore.
770. Ignoranza non t'ispiri mai arditezza, né il sapere ti sia cagion di timidità.
771. Procura maggiormente d’aver ragioni che di far credere d’aver ragione.
772. Non sostenere la tua opinione, conosciuto, che n'abbi la falsità.
773. Non far nulla per passione, altrimenti opererai contro ragione.
774. Fa che la ragion tua guarisca le tue passioni.
775. Sii sempre sensibile nelle tue passioni, e non fallerai.
776. Nelle tue passioni non. lasciarli mai condurre dall’imaginazione.
777. La gioventù sia la sola età delle vive passioni.
778. Non sii mai schiavo delle lue passioni: loro cerca sempre di sovrastare.
779. Se le passioni ti tiranneggiano, da saggio cerca di domarle.
780. Se non puoi vincere le tue passioni, cerca almeno di ben dirigerle (1).
Nota: (1) …. Chi volesse Estinguerle nell’uomo, un tronco, un sasso Dell’uom farìa: non si corregge il m ondo Si distrugge così. L’arte sicura È sedare i nocivi Destar gli utili affetti. Metast. Parnas. Accus.
781. Vuol trionfare d'una passione? Chiama in tuo soccorso la virtù.
782. Modera le lue passioni, esse potranno divenir virtù.
783. Fa sempre la guerra alle passioni tue.
784. Sta sempre in pace eolie passioni altrui.
785. Esercitati al lavoro, e guarentirai l’animo dalle passioni.
786. Fa che il corpo non sia ozioso, e cesserà l’attività dell’imaginazione.
787. Se giungi a dominare una passione non lasciarti vincere da un’altra (1)
Nota: (1) Se di tue passion nonti spogli, T’agiti invano, e cangi il mal, nol togli. Casti, Anim. parl. XIV, 62.
788. Signoreggia le lue passioni, e sarai un vero eroe.
789. Non deliberar mai nel forte della passione.
790. Ubbidisci alle leggi, se non vuoi ubbidire alle passioni (2).
Nota: (2) Della ragion vassalli A servir destinati Nascon gli affetti e finché servi sono, Non v’è chi lor condanni: Chi li lascia regnar, li fa tiranni. Metast. Astrea plac.
791. Più che I’impeto delle passioni biasima la doppiezza del cuore.
792. Temi l’ebrezza delle passioni: è sempre più nociva di quella del vino.
793. Frena le passioni d’interesse, ed acquisterai la vera pace del cuore.
794. Sii privo di passioni, e gli altri bisogni non t’imbarazzeranno d’un terzo.
795. Dalle tue passioni fa che nascono le sociali virtù.
796. Stabilisci un confine a' tuoi affetti, e non sarai infelice.
797. Cerca soltanto ciò che esige natura e non più.
798. Cerca il bene e fuggi il male offendendo nessuno.
799. Aumenta anche il bene in te, e diminuisci il male negli altri.
800. Seconda la natura, ma non far male a chi che sia (1).
Nota: (1) Natura si lasciò forse dal seno Svellere il ferro, perché l’uom dovesse Darselo in petto l’un con l’altro, e farlo Istrumento di morte e di delitti? Monti, Aristod. Atto II.
801. Opera bene, e raccoglierà? il centuplo come la pianta coltivata.
802. Non oltraggiare la natura, perché oltraggi la divinità.
803. Cangia di luogo, non mai di natura.
804. Considera sempre che a caso non opera mai natura (2).
Nota: (2) Nihil in terra sine causa fit, et de humo non oritur dolor. – Job V, 6.
805. Fa camminare la natura morale a pari passo della fisica.
806. Fa regnare un'unione fra le lue azioni ed i tuoi doveri.
807. Osserva molto tempo prima di voler cercare.
808. Più son grandi i tuoi doveri, maggiori sieno le ragioni per adempirli.
809. Il primo dovere sia di servire la patria secondo la tua capatiti.
810. Il civico disinteresse sia condotto sempre dalla giustizia e dal dovere.
811. Il tuo principal dovere consista nel rispettare il diritto altrui.
812. Eseguisci tutt’i tuoi doveri e farai regnare la vera eguaglianza.
813. Non dimenticare i tuoi doveri, se non vuoi ignorare il valore di le stesso
814. Adempi a’ tuoi doveri, e non avrai rimorsi.
815. Adempi a’ tuoi doveri, e renderai a Dio il più gradito omaggio.
816. Ama i tuoi doveri se desideri di bene adempirli.
817. La promessa che devi mantenere sia quella d’uomo onesto.
818. A gran promettitore presta poca fede.
819. Diffida sempre di chi troppo promette.
820. Fidali poco delle altrui promesse l’quanto utili esser ti possano.
821. Prometti secondo le tue facoltà d’eseguire.
822. Rifletti che la facoltà di far promesse è unita alla difficoltà di mantenerle.
823. Pensa che la promessa senz’effetto e un bell’albero senza frutti.
824. Le tue promesse, benché verbali, siano un vero debito (1).
Nota: (1) Colla fune leghiam le corna al bue, L’uomo leghiam colle parole sue. Cent. Piacent. XII, 82.
825. L'oggetto della tua promessa sia parte dello stato di te stesso.
826. Non mancar mai di parola, per non dar il diritto d'avere il promesso colla forza.
827. Non mantenere le promesse estorte con violenza ed artifizio.
828. Nullo sia il contratto condizionale, se mancò la condizione.
829. Nulla sia la promessa, se la condizione è ingiusta od impossibile.
830. La volontà sia il principio di tutte le nostre azioni.
831. Abbi sempre volontà di far il bene anche non potendolo.
832. Abbi la volontà d’esser virtuoso, e sarai virtuoso.
833. La rettitudine tua stia nella tua volontà.
834. Non scusare te stesso imaginandoti che le cose sieno impossibili a farsi.
835. Una cosa già fatta osa tu pure di farla, e non la troverai impossibile.
836. Nulla è impossibile. Passa per quelle vie che conducono a tutte le cose.
837. Abbi bastante volontà, ed avrai bastanti mezzi d'eseguire ogni cosa.
838. Prima d'intraprender qualche cosa, osserva se hai volontà d’eseguirla.
839. Non far sempre ciò che vuoi, altrimenti di rado farai ciò che devi.
840. Tra due voleri fa che prevalga il migliore (1).
Nota: (1) Contra miglior voler, voler mal pugna: Onde contra’l piacer mio, per piacerli, trassi dell’acqua non sazia la spugna. Dante, Purgat. XX, 1.
841. La tua volontà sia sempre diretta al giusto fine che ti proponi.
842. Il tuo desiderio sia sempre unito al sogno.
843. Lo scopo de' tuoi desiderj sia di giustamente ottenere ciò che brami.
844. Nessun oggetto sia degno de’ tuoi desiderj, se non rinchiude in sé un’utilità reale.
845. Considera sempre che assai manca a chi assai desidera.
846. Rifletti sempre che più si ha, più si desidera.
847. Fra' tuoi desiderj vi sia quello d'avere una patria ricca e potente.
848. L'amore della patria sia sempre impresi nel tuo cuore.
849. Ama la patria facendo una guerra continua ai vizj.
850. Sempre veglia per la patria e difendi in ogni incontro.
851. Mantieni l’unione fra i tuoi vicini, ed amerai la patria.
852. Sforzati sempre a far chela tua patria sia rispettata al di fuori e tranquilla nell’interno.
853. Posponi l’amor de' parenti a quello della patria.
854. Non acquistar ricchezze e scienze che per l’utilità della patria.
855. l talenti, le virtù e persino l’onore siano una proprietà della patria tua.
856. Rapporta ogni tua azione al bene ed alla gloria del tuo paese.
857. Non rifiutarli mai ai doveri verso la patria (1).
Nota: (1) Exilium patitur patriae qui se denegat. - Cato.
858. Non aver altri nemici che quelli della patria.
859. Non aver altra passione che l’amor della gloria e della giustizia.
860. Ama la patria ed ubbidisci alle leggi: i tuoi doveri sono compiuti.
861. Sii utile alla patria, e sarai ubbidiente a Dio.
862. Il tuo privato interesse sia posteriore al publico bene.
863. Vivi più per la patria che per te stesso.
864. Giova alla patria bene operando.
865. La prima virtù sia il vendicare la patria offesa.
866. Sii saggio o dotto, e l’amor della patria ne sia lo stimolo (1).
Nota: (1) Deós precatus sum, ut mihi filius non immortalis ac lungoevus esset cum incertum sit an hoc expediat, sed ut probus esset ac patriae amator. Plutar. ad Apollon.
867. Acquista le arti e le scienze per l’utilità della tua patria.
868. Sii sempre attaccato al luogo della tua nascita.
869. La patria tua ti sia sempre cara.
870. Non bramare mai un'altra patria; sarebbe un principio di tradimento;
871. Ama la patria tua quantunque tu' abiti paese di quella migliore (2).
Nota: (2) Quid melius Roma? Scythico quid frigore peius? Huc tamen ex illa barborus urbe fugit. Ovid. Ex Ponto lib. I, ep. III.
872. Fa sussistere la tua patria col non abbandonarla.
873. Fra i veri beni che possiedi conta quello d'esser nato in una patria florida (3).
Nota: (3) Così Terenzio nella comedia del Macerantesi atto I, scena III, parlando di un giovine che si dice infelice, fa dire ad un interlocutore: Lui infelice? e che gli manca de beni, che rendono felice un uomo? Non ha egli delle ricchezze, dei parenti, degli amici, suo padre, sua madre ed una florida patria? È in tal modo che dopo la felicità d’avere gli autori de’ suoi giorni si contava quella d’esser nato in una patria opulente, florida e potente.
874. Apprezza gli amici, ma so son tuoi concittadini apprezzali d'avantaggio.
875. Abbi sempre presente che l’amicizia è il più gran dono del Cielo.
876. Il tuo amico sia sempre un altro te stesso (1).
Nota: (1) Questa massima di Pitagora è la più bella è la più consolante di tutt’i precetti di quel gran maestro.
877. L'amicizia non abbia in te altra base che l'amor della virtù.
878. Tienti per amico soltanto chi è virtuoso.
879. Apprezza maggiormente la vera amicizia che qualsisia parentela.
880. Convinci l'amico d'insufficienza, non mai di mala volontà.
881. Ascolta i consigli dell'amico, e seguili se hai buon senno.
882. Resisti talvolta ai consigli dell'amico, non sprezzarli mai.
883. Non rigettare i consigli degli amici: approfitta anche dei loro rimproveri.
884. Non tener per amico chi soverchiamente ti loda.
885. Al tuo amico nascondi i tuoi difetti, e fagli conoscere i suoi.
886. Bandita sia l'adulazione fra due veri amici.
887. Tien per amico quel che provasti tale.
888. Se hai un buon amico, sappialo conservare (1).
Nota: (1) Se hai un amico, tientelo ben caro, Ed avrai un tesoro molto raro. Brognoli.
889. Non fidarti di amico riconciliato.
890. Se vuoi conservare l’amico, dissimula le sue debolezze.
891. Godi l’amico col suo difetto.
892. Soffri pel tuo amico, e ti coronerai d'immortali allori.
893. Non conta per tuo amico chi hai obbligato e li condanna in tua assenza.
894. Considera fra tuoi amici chi t’è debitore di nulla, e che tace ov’ha ragione di condannare.
895. Conduci l’amico nella via retta, e sarai vero amico.
896. Non tenere per amico chi cerca di far disonore.
897. Stima più un vero amico che un tesoro (2).
Nota: (2) Amicus fidelis, protectio fortis: qui autem ivenit illum, invenit thesaurum. – Eccli. VI, 14.
898. Non bilanciare i vantaggi dell’amico con quelli delle ricchezze.
899. Sii amico della persona e non della fortuna.
900. Al vero amico non augurar mai gran ricchezze.
901. Sbandisci la diffidenza dal commercio dell'amicizia.
902. Sii cauto nella scelta dell’amico; ma, fatta che sia, a lui t’abbandona senza riserva.
903. Vi sono amici pei consigli ed altri pel piacere: scaccia gli ultimi ed attienti ai primi.
904. Non vivere troppo famigliarmente coll’amico, se vuoi conservarlo.
905. Ricordati che famigliarità genera disprezzo.
906. Vuoi conservarti un amico? Non metterlo a veruna prova.
907. Ti sia maggior vergogna diffidare de’ tuoi amici, che d’essere ingannato.
908. Guardati dai finti amici più che dai publici nemici.
909. Fuggi coloro che diconsi amici di tutti.
910. Sii buon amico senz'essere nemico della virtù.
911. Del vero amico fa più conto che di te stesso.
912. Non lasciare un vecchio amico: il nuovo non eguaglierà quello.
913. Apprezza l’amico se negli infortunj egli non t’abbandona (1).
Nota: (1) Come dell’oro il fuoco Scopre le masse impure Scoprono le sventure De’falsi amici il cor. Metast. Olimp. atto III.
914. Cerca gli amici nella prosperità, nell’avversità provali.
915. L'avversità ti sia la pietra di paragono cogli amici.
916. Non considerare qual bene li feccia un amico, ma il desiderio che ha di fartene.
917. Considera più l’intenzione di chi dà che la cosa data.
918. Se hai bisogno, ricorri al vero amico e sarai consolato (1).
Nota: (1) Hai bisogno? Ricorri, implora e priega; Col silenzio il bisogno non fa lega. Salv. Rosa, Sat.
919. Nell’amico conosci prima la qualità dello spirito che quella del cuore.
920. Sii famigliare a pochi ed amico a tutti.
921. All’amico potente non negar ciò che domanda con garbo.
922. Non aver maniere aspre coll’amico, se vuoi mantenerlo tale.
923. Il medico miglior li sia il fido amico.
924. Non sii tanto facile a dare il titolo d’amico.
925. Scegli per amico il più virtuoso, mai il più ricco.
926. Nella scelta mira l’amante, ma osserva amico (2).
Nota: (2) Ogni esame esige un sangue freddo, che non si ha mai nel vedere ciò che si ama.
927. La vera amicizia ti tenga luogo d'ogni cosa.
928. Contentezza ed afflizioni comuni siano fra i veri amici.
929. Niente più ti persuada quanto la voce dell’amico.
930. Ai bisogni dell’amico fatti conoscer amico (1).
Nota: (1) Amicus certus in re incerta cernitur.- Ennius, apod Cic. In Lelio.
931. All’amico parla con schiettezza, al servo con famigliarità cordiale.
932. Ascolta ed ubbidisci l'amico s'è dotto più di te.
933. Acconsenti all'amico s'è in scienza a te eguale.
934. Modestamente persuadi l’amico s'egli è a te inferiore.
935. Vestiti delle opinioni come degli affetti del tuo amico.
936. Conquista un vero amico, e sarai felice.
937. Prima di farti degli amici comincia a divenir amico di te stesso.
938. Prima d'amar l'amico provalo coi fatti.
939. Se l'amico è buono, amalo di buon cuore.
940. Sii sempre difensor de' buoni, e soltanto uniscili co' fidi amici (2).
Nota: (2) Ille bonis favantque, et consilietur amicis. Horat. De Ar. Poet.
941. Giovati degli amici grandi nelle grandi occasioni.
942. Non esiste l‘amicizia fra i crapuloni: non cercarla nel ventre, ma nel cuore.
943. Schiva l’amicizia di taluni, e ti procurerai l’amicizia di molti.
944. Considera il tuo amico qual altro te stesso: in ciò sta la perfezione.
945. Fonda l’amicizia sulla stima e quest’sul vero merito.
946. La virtù sola formi la vera amicizia.
947. La tua donna sia il miglior tuo amico.
948. Non imprestare all’amico, se non vuoi perdere l’amico.
949. Dà all'amico una lettera di cambio piuttosto che una raccomandazione (1).
Nota: (1) Colla prima non ipotechi che il tuo credito, colla seconda ipotechi anche il tuo onore.
950. Non raccomandare alcuno se prima non lo conosci (2).
Nota: (2) In tal modo non ti esponi mai a vergognarti delle altrui follie.
951. Il vero merito sia la migliore delle raccomandazioni.
952. Sdrucisci l’amicizia, se forzato sei, no istracciarla mai.
953. Non cercare amico perfetto: egli soffra i tuoi, tu i di lui difetti.
954. Non tenerti vicino un amico che ti può diventar nemico.
955. Sii giudice fra due nemici piuttosto che fra due amici (1).
Nota: (1) Dei due primi ti farai un amico, e dei due ultimi ne perderesti sicuramente uno.
956. Coi nemici usa la pietà, cogli amici la scusa.
957. Pietoso sempre sii coi nemici, e caritatevole cogli infelici.
958. Non fidarti troppo de’ sedicenti amici (2).
Nota: (2) Son in oggi gli amici molto scarsi: Fidarsi è ben, ma è meglio il non fidarsi. Cent. Piacent. XII, 43.
959. La gloria tua sia l’inimicizia de’ tristi.
960. La tua amicizia sia durevole al pari della gratitudine.
961. Non differire il soccorso a chi è in angustie (3).
Nota: (3) Cor inopis ne afflixevis, et non protrahas datum angustianti. — Eccli. IV, 3.
962. La gratitudine per te sia sempre la prima di tutte le virtù.
963. Sii sempre grato quando vi sia unita la ragione e ‘l dovere.
964. Nell’essere riconoscente imita le fertili terre, che rendono più di quello che loro si dà.
965. Non lasciarti mai superare in benefizi.
966. Se grandi sono i benefizj, maggiore sia la tua gratitudine.
967. Non rinfacciar mai i benefizj fatti, e di rado troverai ingrati.
968. Se presti servigio, scordatene; lo ricevi, ricordatene sempre.
969. Ottenuto l’intento, non obliar mai promesse e beneficio.
970. Prodigalizza i favori, e formerai un ingrato.
971. Non aspirar mai a sorpassare chi ti ha beneficato, se esser vuoi grato.
972. Compensa un beneficio ricevuto con un altro.
973. Non sia la tua mano facile a ricevere e difficile a dare (1).
Nota: (1) non sit porrecta manus tua ad accipiendum, et ad dandum collecta. – Eccli. IV, 36.
974. Non guastare colla vanità il beneficio che fai.
975. Scordati delle ingiurie, non mai dei benefizj ricevuti.
976. I torti scrivili nella polve; i benefici scolpiscili sul marmo.
977. Dei benefizj ricevuti sia eterna la riconoscenza.
978. Osserva sempre più all'intenzion del benefattore che al valore del beneficio.
979. La gratitudine sia sempre in te il della beneficenza.
980. Nulla esigere a titolo di riconoscenza, se non vuoi rinunziare il titolo di è benefattore.
981. Fa del bene, né impedir mai che altri il facciano (1).
Nota: (1) Noli prohibere benefacere eum qui potest; si vales, et ipse benefac. — Prov. III, 27.
982. Come i dadi getta, le tue beneficenze a caso.
983. Fa del bene senz’altro fine che di far del bene.
984. Non far mai del bene per interesse alcuno. #
985. Fa del bene a tutti, non guardare quale sarà il compenso.
986. Dona generosamente al bisogno che tace con sofferenza.
987. All’ardito che molestamente chiede dona con parsimonia.
988. La riconoscenza non sia mai il motivo che ti porti a far del bene.
989. La tua mano sinistra non sappia, beneficando, ciò che fa la destra.
990. Se il tuo nemico ha fame dagli da mangiare (2).
Nota: (2) Si esurierit inimicus tuus, ciba illum; et Domimus reddet tibi. — Prov. XXV, 21.
991. Scordisi sempre il benefattore del benefizio fatto.
992. Il beneficato abbia costante memoria del benefizio ricevuto.
993. Sii ancor tu benefico, e sarai veramente grato.
994. Punisci l'ingrato porgendogli nuovi benefizj (1).
Nota: (1) Se qualche ingrato a’ benefizj trovi, per guadagnarlo, fagliene de’ nuovi. Cent. Piacent. IV, 66.
995. Fa sempre del bene, ma considera, talvolta a chi Io fai.
996. Nulla attender di buono da chi inganni il suo benefattore.
997. Non basta prestar servigi; prestali in acconcio modo (2).
Nota: (2) Dat bene, dat multum Qui dat cum munere vulrtum.
998. Sii il protettore degli infelici e li assomiglierai a Dio.
999. I sentimenti di compassione e di beneficenza siano le basi d’ogni virtù.
1000. Affinché la beneficenza sia virtù, benefica con ragione.
1001. Benefica presto, e beneficherai due volte.
1002. Vuoi giovare all’amico? Ajutalo subito.
1003. Non aspettare a domani a servire l’amico, se lo puoi fare in giornata (3).
Nota: (3) ne dicas amico tuo: Vade, et revertere: Cras dabo tibi: cum statim possis dare. – Prov. III, 28.
1004. Per soccorrere i tuoi fratelli non cercare ciò che credono ma di che a bisognano (4).
Nota: (4) La differenza di religione, od anche di qualche opinione religiosa, non deve arrestar alcuno dal soccorrere l’infelice.
1005. A far bene metti le ali, a far male cammina a passi di formica.
1006. Fa del bene senza temere di fare degli ingrati.
1007. Degli infelici previeni le domande, e, se puoi, anche le speranze.
1008. Non dare al bisognoso in modo d’aver tu bisogno (1).
Nota: (1) Dabo egenti, sed ut non egeam. — Senec. de Benef. lib. III.
1009. Proporziona la tua liberalità colle tue facoltà.
1010. Sappi donare a tempo, ma sappi anche ricusare.
1011. Accetta il dono, se nel riceverlo gusti un piacer eguale a quello di chi dona.
1012. Nell’esser liberale osserva sempre il merito.
1013. Scegli, se puoi, i tuoi benefattori (2).
Nota: (2). È sempre rincrescevole il contrarre dei doveri con una persona che non si stima: il benefìcio ad ogni modo è una catena che ci lega per dovere di riconoscenza.
1014. Sii giusto prima d’esser liberale.
1015. Sii umano prima d’esser giusto.
1016. Osserva ciò ch'è giusto, e rendi ragione anche al povero (3).
Nota: (3) Decerne quod justum est, et judica inopem et pauperem. — Prov. XXXI, 9.
1017. Sii caritatevole, se vuoi ch'altri soffrano i tuoi difetti.
1018. Non sii insensibile, se vuoi che altri siano per te pietosi.
1019. Non ricusar pietà, se in altri la vuoi trovare (1).
Nota: (1) Chi ricusa di far piacere altrui Non troverà chi far ne voglia a lui. Cent. Piacent. XI, 78.
1020. Non aspettar prieghi; questi tolgono al servizio tutt’il merito.
1021. Fa conoscere la tua generosità anche coi consigli.
1022. Cerca di far del bene anche al tuo nemico (2).
Nota: (2) beato chi fa del bene al suo nemico, Né tien odio nel cor nuovo od antico. Ariosto, Satire.
1023. Nell' esser liberale non aver periscopiche il bene del tuo simile.
1024. Rendi felice i tuoi simili, e ti renderai eguale a Dio.
1025. Fa del bene a chi non può restituire e raccoglierai un tesoro di virtù (3).
Nota: (3) Chi l’uom socorre in povertà ridutto A Dio presta il denar con grosso frutto. Ercol. Bentivoglio, Satire.
1026. Solleva gli oppressi, rendi felici i tuoi simili, e godrai il piacer che Dio prova beneficando.
1027. Non nelle ricchezze, ma nella bontà d'animo fa consistere la dignità dell’uomo.
1028. Vuoi trovare ciò ch’è buono? Cercalo sinceramente.
1029. Non basta esser buono, devi anche sembrarlo.
1030. Non basta il non far male, fa anche del bene.
1031. Sii giusto, e sarai fermo nell’operar bene.
1032. Non far mai del bene per poter poi fare impunemente del male.
1033. Fuggi i tristi, ed accompagnati coi buoni.
1034. Desidera sempre il ben di tutti, e sarai buono.
1035. Abbi buon cuore, e crederai che siano buoni tutti gli uomini.
1036. Il bene sia sempre la tua esistenza ed attività.
1037. Il solo istante che fai del bene sia il solo istante di tua vita.
1038. Non far del male, ed il male non verrà sopra di te (1).
Nota: (1) Noli facere mala, et non te apprehendent. Eccli. VII, 1.
1039. Fatica nel bene, e non morirai morendo.
1040. Il primo tuo bene sia la tranquillità dell'animo.
1041. Cerca il bene, ed evita il male prevedendolo.
1042. Non far male, perché doppiamente perderai!
1043. Credi più facilmente al bene che al male.
1044. Sappi egualmente sopportare i beni come i mali.
1045. Sii temperante nei beni, e sarai forte nei mali.
1046. Fuggi la compagnia de’ cattivi, e sarai lontano dal male (1).
Nota: (1) Discende ab iniqio, et deficient mala abste. – Eccli.VII, 2.
1047. Soffri i mali con intrepidezza, ma previenli, se puoi, da saggio.
1048. Vuoi conoscere il bene? Sappi prima cos’è male (2).
Nota: (2) Per tornare alla prima fantasia, Convien che chi vuol sapere che cosa è il bene, prima egli sappia il mal che Dio gli dia. Benv. Cellini, La Prigione.
1049. Prima di godere sappi distinguere ben dal male.
1050. La scienza del bene e del male leggila nel gran libro del mondo.
1051. Sii sensibile sempre ai mali de’ tuoi simili.
1052. Non affligerti troppo del male, né stancarti mai del bene.
1053. Non far del male a chi che sia ciò è il primo passo verso il bene.
1054. Soffri minori mali che puoi: questa è la vera strada per esser felice (1).
Nota: (1) Questi due ultimi precetti ben intesi valgono più che tutt’i volumi di morale.
1055. Il bene presente non ti offuschi la vista a segno di non veder il male che ti può arrivare.
1056. Correggiti piuttosto colla vista del male, che per l’esempio del bene.
1057. Accostumati a profittare del male: quest’è comune, il bene è raro.
1058. Abbi timor dell’uomo più che delle bestie feroci (2).
Nota: (2) Homo perniciosior est feris omnibus. – Senec. Epist. 108.
1059. Non far male agli altri, perché sempre lo farai a te stesso.
1060. Non rallegrarti mai dell’altrui male: il tuo proprio è vicino.
1061. Pel publico bene scegli il privato male.
1062. Non consigliare il bene, se tu dapprima non operi bene.
1063. Vuoi evitare qualunque male? Rimovine le cagioni.
1064. Opera bene, e di rado i mali entreranno in casa tua (3).
Nota: (3) Jacebunt mali ante bonos, et impii ante porta justorum. — Prov. XIV, 19.
1065. Sii costante d’animo: ciò è il miglior scudo da opporsi ai mali.
1066. Sii temperante nei beni, e sarai forte nei mali.
1067. Rendi piccoli i mali grandi e grandi i piccoli beni, e sarai forte.
1068. Confida in Dio, ed egli ti trarrà in salva (1).
Nota: (1) Crede Deo, et recuperabit te. —Eccli. II, 6.
1069. Colla pazienza vinci l’ira del lato avverso.
1070. Considera le altrui miserie, e sopporterai le tue con rassegnazione (2).
Nota: (2) …. similes aliorum respice casus, Mitius isla feres. Ovid. Metam. lib. XV, 494.
1071. Non confidare troppo in te se meglio vuoi prevenire i mali.
1072. Non aspettarti mai un male; ciò lo farebbe peggiore.
1073. Trova la cagion del male, e n’avrai trovato il rimedio.
1074. Tardi credi al male, subito al bene (3).
Nota: (3) Solo allor conosciamo il male e'l bene Quando l’un da noi parte e l’altro viene. Salv. Rosa, Satire.
1075. In Dio spera soffrendo i mali tuoi.
1076. De’ tuoi mali rendi grazie a Dio e non querele (4).
Nota: (4) …..un mal privato Spesso è publico bene; E v’è sempre ragione in ciò che avviene. Metast. Aless. atto II.
1077. In verun tempo non render mal per male.
1078. Soffri il male piuttosto che farlo altrui.
1079. Sii saggio e buono, mentr’è tuo interesso l’esserlo.
1080. Sii moderato e giusto, e non sarai odiato.
1081. Fa del bene a tutti, dovesse accaderti del male (1).
Nota: (1) Noli vinci a malo, sed vince in bona malum. – S. Paulus.
1082. Tollera i mali, e vincerai l’avversa fortuna.
1083. Colla pazienza rendi soffribili i mali incurabili.
1084. Ai mali estremi adopera ogni rimedio.
1085. Non soffrir mai male alcuno senza necessità.
1086. Considera sempre i mali futuri minori dei presenti (2).
Nota: (2) E l’aspettar del male è mal peggiore Forse che non parrebbe il mal presente. Tasso, Gerus. I, 82.
1087. Scaccia dalla tua mente i mali morali; il solo delitto è vero male.
1088. Pensa che il tempo e la morte sono i due rimedj universali d'ogni male (3).
Nota: (3) Resiste al mal soffribile l’uom forte; All’insoffribil pone fin la morte. Ceni. Piacent. II, 97.
1089. Non correggere i delitti coi delitti; ciò non è rimedio, ma una con ferina dei mali.
1090. Non goder mai a spese altrui, perché è un falso calcolo d'ignoranza.
1091. Lega la felicità individuale colla felicità generale.
1092. Nei tempi felici non li scordare dei cattivi giorni che avesti.
1093. Nei tempi infelici pensa ai giorni fortunati che godesti.
1094. Limita la misura de' piaceri colla costituzione dell’uomo.
1095. Fa consistere il più alto grado di felicità nella pace del cuore.
1096. Vuoi esser felice? Sii sano, allegro o uom dabbene.
1097. Usa della sanità, perché è un bene non abusarne, perché sarebbe male.
1098. Davanti a te sta il premio e la pena, prendi qual più li piace (1).
Nota: (1) Apposuit tibi aquam et ignem; ad quod volueris porrige manm tuam. Eccli. XV, 17.
1099. Sii sempre contento del proprio stato e sarai felice.
1100. La moderata fortuna ti basti per tutti gli oggetti della vita animale.
1101. L'aumento di ricchezze non produci mai in te un aumento di piaceri.
1102. Mettiti nella situazione di non far male a chi che sia, e sarai felice.
1103. Fa consistere la vera felicità nell'esercizio delle vere virtù.
1104. Fa consistere l'esercizio delle vere virtù nel disprezzo delle voluttà.
1105. Ogni tua azione sia diretta alla sola causa finale, che è la felicità.
1106. Abbraccia la buona dottrina, confida in Dio, e sarai felice (1).
Nota: (1) Apprehendite disciplinam… Beati omne qui confidunt in eo. Ps. II, 12.
1107. Formati atto a sentire la felicità, e saprai cos’è felicità.
1108. Cerca nella natura dell’uomo i mezzi d'esser felice.
1109. Sii dòtto e prudente, e sarai felice (2).
Nota: (2) beatus homo qui invenit sapienttiam, et qui affluit prudentia. – prov. III, 13.
1110. Vivi lieto senz'aver bisogno d’alcuno: in ciò consiste la felicità.
1111. Non cercar altrove la felicità se non la possiedi in casa tua.
1112. Contentati del tuo stato, e facilmente sarai felice.
1113. Fuggi il male ed opera il bene; cerca la pace e seguila (3).
Nota: (3) Diverte a malo, et fac bonum : inquire pacem et persequere eam. – Ps. XXXIII, 15.
1114. Credi veramente d’esser felice, o Io sarai certamente.
1115. Merita d'esser felice, o lo sarai effettivamente.
1116. Modera i tuoi desiderj, se vuoi avere una felicità durevole.
1117. Non cercare altrove il riposo se non lo trovi in te stesso.
1118. Sii contento di tutti, rendi tutti di lo contenti, e sarai felice.
1119. Sii uom dabbene e la felicità sarà sempre in te (1).
Nota: (1) …..ben provide il Cielo Che uom per delitti mai lieto non sia. Alfieri.
1120. Misura ogni tuo passo e delle tue opere riguarda il fine.
1121. Non annoverare mai il ricco fra gli uomini felici.
1122. Tollera la povertà, e più che la morte abbi timor del delitto.
1123. Non confidare nelle ricchezze ingiustamente acquistate (2).
Nota: (2) Noli attendere ad possessiones iniquas. - Eccli. V, 1.
1124. Non crederti felice, perché ti credi saggio.
1125. Non stimarti saggio, perché ti stimi felice.
1126. Preferisci la contentezza d'animo ad una cassa piena d’oro.
1127. Fa consistere la felicità del corpo nella salute, quella dell’animo nel sapere.
1128. La scienza sia la tua vera gloria, e la pace la tua vera felicità.
1129. Ama quel poco che dona la virtù più che il molto che dona la fortuna.
1130. Non confidare nelle ricchezze, se non vuoi temer la povertà (1).
Nota: (1) Qui gloriatur in substantia, paupertatem vereatur. - Eccli. X, 34.
1131. Cerca la vera felicità nell’ unione dei cuori.
1132. La felicità tua non sia mai disgiunta dall'innocenza.
1133. Fa consistere la tua felicità nell’esser buon padre, buon amico, buon cittadino.
1134. Fa dipendere la felicità dall’educazione, e questa dalla legislazione.
1135. La felicità de' popoli sia la suprema legge pei magistrati.
1136. Fa nascere la felicità publica dalla moltiludine delle particolari felicità.
1137. Non sperar mai la tua particolare felicità da quella del publico.
1138. Vivi da saggio, e placidamente esisterai senza annojarti della tua felicità.
1139. Fa consistere la tua felicità nell'adempiere ai proprj doveri.
1140. Nella prospera fortuna sovvienti che puoi diventar infelice.
1141. Fa consistere la tua felicità nel saper fare buon uso de’ tuoi beni (1).
Nota: (1) Scire uti felicitate maxima felicitas est. — Senec., De Moribus.
1142. Solido sia il principio della tua felicità, ragionato il fine, e sarà durevole.
1143. Non desiderare mai una felicità inalterabile, ciò non può esistere.
1144. Sta sempre unito co’ tuoi simili, ciò basta per la tua felicità.
1145. Conserva un ardore sempre eguale pel bene, e, sarai felice.
1146. Godi senz’ostentazione, e soffri le privazioni senza lagnartene.
1147. Sii veramente convinto dell'umana miseria, e non sarai infelice.
1148. Fa che gli altri non siano infelici, e renderai felice la tua vita.
1149. Infelice sarai se fondi la propria felicità, sopra basi non immortali (2).
Nota: (2) Infelix qui pauca sapit spernitque doceri; Infelix qui recta docens operatur inique. Ausonius.
1150. Non dirti mai felice prima di morire (3).
Nota: (3) Nemo ante mortem beatus. Creso, il più ricco principe dell’Asia, essendo stato vinto da Ciro re di Persia, venne condannato ad esser crocefisso. Creso, nell’avvicinarsi al patibolo, esclamò: Solone, Solone! Ciro, volendo sapere ciò che significavano tali parole, seppe che questo filosofo gli avea detto la suddetta sentenza.
1151. Sappi soffrir sempre con costanza qualsisia infortunio.
1152. Sempre nelle avversità dimostra ragionevolezza.
1153. Non avvilirti mai, qualunque cosa t'accada (1).
Nota: (1) …..de’ numi è dono Servar nelle miserie altero nome. Foscolo, Dei Sepolcri.
1154. Scambievolmente consolati cogli infelici tuoi pari.
1155. Non occuparti mai nei primi anni della tua vita a rendere gli altri infelici.
1156. Nelle avversità impara l’arte di ben godere la prosperità.
1157. Mangia il prodotto delle tue fatiche, e sarai contento (2).
Nota: (2) Labores manuum tuarum quia manducabis: beatus est et bene tibi erit. — Ps. CXXVII, 2.
1158. Il tempo dell’infortunio sia per te la stagione della virtù.
1159. Gli infortunj ti ammaestrino a temer sempre le sventure.
1160. Sappi sacrificare un giorno di piacere per un dovere d'umanità.
1161. Non ricusar mai d’ascoltare la voce dell'umanità, se non vuoi esser infelice.
1162. Confida in Dio; egli è sempre l'amico degli infelici.
1163. Infelice non puoi essere se hai uno che meriti il caro nome d'amico.
1164. Non applicarti troppo alle piccole cose, se non vuoi divenire incapace alle grandi.
1165. Non dire le tue felicità a chi è afflitto da qualche disgrazia.
1166. Nel mezzo dei favori della fortuna pensa ai mezzi di sostenerne i rovesci.
1167. Quando l’aure sono avverse trema anche vicino al porto.
1168. Se l’aure son seconde, spiega tosto le vele al vento.
1169. Colla tolleranza vinci l’ira del fato.
1170. Sappi profittar di tutta la tua fortuna se vuoi esser gran uomo (1).
Nota: (1) La fortuna a niun manca; bene spesso L’uom manca alla fortuna ed a se stesso. Ant. Vinciguera, Satire.
1171. Nelle avversità eccedi piuttosto nella speranza che nel timore.
1172. Non sperar mai d'essere favorito dalla fortuna se sei infingardo (2).
Nota: (2) Audaces fortuna juvat timidosque repellit. Horat.
1173. Fa dipender la tua fortuna dal credito e dal concetto che gli altri hanno di te.
1174. Ama la fortuna piuttosto temperata, anzi rea, che troppo prospera.
1175. Non lusingarti mai di fermare le ali alla fortuna quando ti è favorevole (1).
Nota: (1) Varia è la sorte volubile e leggiera: Quel che veste il matin spoglia la sera. Apost. Zeno, D. Chisciotte, atto IV.
1176. Non fidarti mai della fortuna; sovente ne sarai il trastullo (2).
Nota: (2) Così convien che spesso poi si rida Di quel che troppo a fortuna si fida. Pulci, Morgante, X, 68.
1177. Contro la fortuna avversa abbi buon cuore.
1178. Non cedere agli insulti del nemico destino.
1179. Ove fortuna non val arte impiega.
1180. Non contar mai di molto sulla costanza della fortuna.
1181. Fa sempre un uso moderato de' favori della fortuna.
1182. Sii giusto e prudente, e sarai fortunato.
1183. Coll’attività ed industria renditi fortunato al pari d’ogni uomo (3).
Nota: (3) …. Fortuna è feroce Con chi teme di lei; ma quando incontra Virtù sicura in generoso petto, Frange gl’impeti insani e cambia aspetto. Metast. Palladio cobnservato.
1184. Qualunque evento t'accada, sappi adattarti, se vuoi esser saggio.
1185. Fa che la tua fortuna, sia la conseguenza dell'industria e dell’avvedutezza.
1186. Abbi sempre la persuasione di ben riuscire, e per lo più ti riescirà bene.
1187. Il buon riuscimento ti confermi nella persuasion di ben riescire un'altra volta.
1188. Abbi opinion costante e forte di te stesso, e ti concilierai quella degli altri.
1189. Con vigore dirigi le tue azioni ad un solo scopo, e sarai il vero fortunato (1).
Nota: (1) Cave ab homine unius negotii. – Vetus axioma.
1190. Fa che gli avvenimenti che tieni di mira siano i veri elementi di tua fortuna.
1191. Sii costante, e vincerai la fortuna; per superar i pericoli non abbisognano che talenti.
1192. Nell’esercizio de tuoi talenti fa consistere il miglior mezzo d'essere fortunata (2).
Nota: (2) … chi è savio domina le stelle; Ma chi non è savio, paziente e forte Lamentisi di sé, non della sorte. Bojardo.
1193. Non fare che la tua fortuna dipenda dal delitto.
1194. Sii tu sempre l’artefice delia propria fortuna (1).
Nota: (1) Nullum numen habes, si sit prudentia; nos te, Nos facimus, Fortuna, deam. Horat. Sat.
1195. Di te diffida quando progetti, ma in te confida quando operi.
1196. Diffidenza guidi l'intelletto tuo alla verità; confidenza guidi le operazioni tue al loro termine.
1197. Fortuna è donna; per fartela amica procedi da forte.
1198. Rifletti sempre che può tutto la fortuna quando vi presiede la virtù (2).
Nota: (2) Sorte non manca ove virtù s’annida. Metastasio.
1199. Sii virtuoso: fortuna ed amore facilmente vincerai: quella è femina, questo è un fanciullo.
1200. Sii forte ed anche presuntuoso; per ciò fortuna è amica de' giovani (3).
Nota: (3) …. Ai grandi acquisti Gran coraggio bisogna, e non conviene Temere periglio o ricusar fatica; Chè la fortuna è degli audaci amica. Metast. Demetrio, atto II.
1201. Cerca d'esser fortunato in gioventù: difficilmente lo sarai in vecchiezza.
1202. Agisci sempre, e non ti lagnerai mai della fortuna.
1203. Fa consistere nella tua volontà il capriccio del destino.
1204. Rifletti sempre che le azioni tue sono il pennello del tuo naturale (1).
Nota: (1) Las obras de cada uno pinzel de su natura. — Cervantes.
1205. Non ragionare come se nulla potessi contro il fato, ma agisci come se tutto potessi.
1206. Felice te se arrivi a conoscere la cagion delle cose, né temi il destino (2).
Nota: (2) Felix qui potuit rerum cognoscere causas; Atque metus omnes et inexorabile fatum Subiecit pedibus, Virg., Georg. II, 490.
1207. L'abbondanza de' beni non è fortuna; fanne buon uso, e sarai fortunato.
1208. Renditi dotto a forza d'esperienza, e diverrai fortunato.
1209. Maggiormente stima un buon nome che una buona fortuna.
1210. Qualunque sinistro evento l'accada, non aver timore di perderti (3).
Nota: (3) Al furor d'avversa sorte Più non palpita e non teme Chi s'avvezza, allor che freme, Il suo volto a sostener. Scuola son d’un’alma forte L’ire sue le più funeste; Come i nembi e le tempeste Son la scuola del nocchier. Metast., Temistoc., atto I.
1211. Pensa che ricchezza non fa l'uomo ricco; i veri beni non stanno nei cofani.
1212. Non far mai consistere il sommo bene nelle ricchezze.
1213. Se ricco e polente sei, non gloriartene (1).
Nota: (1) Divitiae si affuant, nolite cor apponere. – Ps. LXI, 11.
1214. Pesa la virtù a peso d'oro, non le ricchezze, come fa il vile.
1215. Sprezza coloro che fansi schiavi delle ricchezze.
1216. Lo splendore delle ricchezze non ti cagioni mai né gelosia né invidia.
1217. Il tuo corpo sia la misura delle ricchezze com’il piede è quella delle scarpe.
1218. Sii contento e sarai il più ricco uomo del mondo.
1219. Non far pompa delle tue ricchezze nascondendo il tuo cuore.
1220. Fa acquisto delle scienze; esse valgono più dell’oro (2).
Nota: (2) Posside sapientiam, quia auro melior est. – Prov- XVI, 16.
1221. Se ricco sei, sappi degnamente esserlo.
1222. Fa buon uso delle tue ricchezze, e te ne assicurerai il possesso.
1223. Rifletti che le ricchezze senza virtù sono piuttosto, un male che un bene.
1224. Pensa che dalle ricchezze sovente scaturiscono gravi mali (1).
Nota: (1) Saepe solent auro multa subesse male. Tibul. lib. I, el. IX.
1225. Ama maggiormente un buon nome che tutte le ricchezze del mondo (2).
Nota: (2) I Francesi dicono: Bonne renommèc vaul mieux que ceinture dorée.
1226. Pregia le ricchezze per l'utile che ne proviene da un prudente impiego.
1227. Ricchezza sia serva in casa tua, se saggio sei, com’è padrona in casa dello stolto.
1228. Non sottometterti mai all’impero delle ricchezze.
1229. Non stimar le ricchezze più che l’onore, altrimenti sarai indegno dell’uno e delle altre.
1230. Fa che le ricchezze siano il risultato delle arti e dell'industria.
1231. Se troppo brami d'acquistar ricchezze, innocente esser non puoi (3).
Nota: (3) Ben di ricchezza vago son; ma giusto L’acquisto ne voglio: sempre chi in altra Guisa la tien, ne paga alfin la pena. Salv. Rosa, Satire.
1232. Apprezza la ricchezza quando ti mette in istato di far del bene.
1233. Fa servire la ricchezza all'ingegno, non mai questo a quella.
1234. Non copiar l’oro prima del merito; quest’ultimo sia la tua principal ricchezza.
1235. Stima più il poco colla tranquillità d’animo, che grandi tesori, i quali non saziano (1).
Nota: (1) Meliys estparum cum timore Domini8, quam thesauri magni et insatiabiles. – Prov. XV, 16.
1236. Fa nascere le ricchezze dalla vigilanza e dall’economia.
1237. Non crederti dotto perché sei ricco, e facilmente ti puoi far creder tale*
1238. Chi non è che ricco, stimalo per ignorante il più spregevole di tutti.
1239. Se ricco sci, non moltiplicare i desiderj tuoi, altrimenti ben presto sarai ridotto a povertà.
1240. Desidera poco e possederai molto.
1241. Considera l’opulenza come l’apparenza della felicità.
1242. Trema di trovar noja e malattie ove credi veder brillare il riso ed i piaceri (2).
Nota: (2) ... Le ricchezze Nascon d’affanni, e fuggonsi in poch’ore; Solo il bel notro oprar giammai non more. Alamanni, Satire.
1243. Tieni per massima che le grandi ricchezze servono sovente di tomba alla virtù.
1244. Respingi la confidenza del ricco per non prepararti a disgustosi affanni.
1245. Non desidera le ricchezze che per far del bene a' tuoi simili.
1246. Non invidiar mai le ricchezze altrui (1).
Nota: (1) Poco è funesta L’altrui fortuna, Quando non resta Ragione alcuna Né di pentirsi né d'arrossir. Metast., Adriano, atto III.
1247. Se ricco sci, sii anche magnifico, ricchezza è la base della magnificenza.
1248. Sii magnifico, ma con moderazione.
1249. Unisci opulenza, magnificenza e virtù, e li coprirai di gloria immortale.
1250. Usa la magnificenza come e quando conviene.
1251. Cerca la contentezza in seno alla mediocrità.
1252. Il necessario e non il superfluo siano il termine de' tuoi piaceri.
1253. Abbi una fortuna mediocre, e non soffrirai le inquietudini del cuore (2).
Nota: (2) Non opibus mentes hominum curaque levantur. Tibul. lib. III, el. III.
1254. Soffri la mediocrità senz’arrossire né lagnarti.
1255. Fa consistere la tua felicità nella vita frugale; il poco non manca mai (1).
Nota: (1) Che se regger sua vita altri bramasse Con prudenza e con senno, è gran tesoro Per l’uomo il viver parco allegramente: Che penuria già mai non fu del poco In luogo alcun. Lucrez. lib. V, trad. del Marchetti.
1256. Desidera mediocri ricchezze unite ad allegria ed indipendenza.
1257. Sii moderato nel desiderar le ricchezze e vivrai felice e contento (2).
Nota: (2) Il molto non desta in me desìo; Amo godere in pace il poco e ‘l mio. Pietro Chiari, Romanzi.
1258. Non stancarti mai d'esser povero se non vuoi cessare d'essere uom dabbene.
1259. Non desiderare le ricchezze, e non avrai bisogni.
1260. Restringili ne’ tuoi desiderj e troverai le ricchezze anche nel seno della povertà.
1261. Godi il tuo, né brama l’altrui, e sarai ricco (3).
Nota: (3) Chi non desìa d'aver ciò che non ha, È ricco, né cader può in povertà. Brognoli; Il Pregiudizio.
1262. Desidera molto e sarai veramente povero.
1263. Accontentati di poco, e sarai ricco.
1264. Cerca il bisognevole, e non cercherai di troppo.
1265. Non crederti povero, e veramente noi sarai.
1266. Reputati misero, e sarai miserabile.
1267. Sappi misurar le spese colle rendite e sarai ricco.
1268. Non desiderare che quanto è necessario per non patire né freddo né me (1).
Nota: (1) Nec paupertatem nec opes desidero magnas. Nolo parum nimium non volo, sed mihi sat. — Aulus Gell.
1269. Se sei ben nodrito e ben vestito nulla bramar di più.
1270. Pensa che le ricchezze tutte dell'universo danno niente di più che buon villo e buon vestito.
1271. Accontentali del poco, e sarai sempre contento (2).
Nota: (2) Cum paucis natura contenta. — Cicero. L’uomo che aver si trova il cuor contento Ricco è, bench’abbia pochi stracci al vento. Orazio, trad. di Stef. Pallavie.
1272. Non regolare i tuoi bisogni dalla necessità, ma dalla consuetudine che il rende indispensabili.
1273. Rifletti che non sei povero quando hai con che soddisfare ai bisogni della vita.
1274. Pensa a vivere allegramente col poco, che miseramente col molto (1).
Nota: (1) … Felice non è Quegli che molto argento edor possiede, Campi di buon terren, muli e destrieri; è quegli che ave sol quandto abbisogna Per nutricarsi agiatamente, e il fianco Cinger di vesti e di calzari il piede. Saverio Battinelli.
1275. Vivi col poco, ed avrai il privilegio d'albergare la temperanza.
1276. Sii povero, ed avrai il vantaggio d’aver pochi nemici.
1277. Colla povertà e concordia non temer alcun nemico (2).
Nota: (2) Canta, se i ladri incontra, il passeggere Che sa in tasca un quattrin di non avere. Pietro Chiari, Romanzi.
1278. Fa consistere la povertà non nella privazione delle cose, ma nel bisogno che se ne fa sentire.
1279. Sopporta con pazienza la povertà, se non vuoi esser vizioso.
1280. Se sci ricco, non rendere il povero maggiormente povero.
1281. Conosci i tuoi veri bisogni, e facilmente sortirai dalla miseria.
1282. Se sei povero sostienti con disinvoltura e decoro.
1283. La superstizione, lo scrupolo, la timidezza non formino mai il tuo carattere.
1284. Se povero sei e ti avvilisci, non hai che un passo a fare per esser mendico.
1285. Non disprezzare un buon consiglio, e la prudenza ti salverà (1).
Nota: (1) Consilium custodiet te, et prudentia servabit te,—Prov. II, 11.
1286. Biasima l’altiero che dona, e l’insolente che riceve.
1287. Se sei debole ed oppresso non confida mai nella tutela de' forti.
1288. Sopporta sempre con pazienza la povertà avvenuta non per tua colpa (2).
Nota: (2) Pauperiem patienter ferre memento, Seneca.
1289. Sieno le spese tue non mai maggiori del reddito.
1290. Possiedi niente, se vuoi che nulla manchi (3).
Nota: (3) Nihil habenti nihil de fuit. — Quint. Curt.
1291. Non coniar grandezze a chi vive nell’indigenza.
1292. Non lagnarti che di tecstesso, se povero sei per sola tua colpa (4).
Nota: (4) II patrimonio avito hai dissipato, La penitenza or fa del tuo peccato. Cent, Piacent, VI. 42.
1293. Publica le altrui virtù, se vuoi farti amare.
1294. Non nascondere mai le virtù del tuo emulo.
1295. Sii uom dabbene, e sempre sarai con Dio, e da lui amato.
1296. Sii dabbene, ed avrai tranquillità con te stesso e pace cogli altri.
1297. Sii saggio e persino i tuoi sonni saranno tranquilli (1).
Nota: (1) Si dormieris non timebis: quiesces et suavis erit somnus tuus — Prov. III, 24.
1298. Conversa co' buoni, e sempre otterrai bene.
1299. Vivi co' buoni, e sempre vi guadagnerai.
1300. Fa del bene a tutti, e di rado troverai male.
1301. Non tremare; opera bene, e Dio ti difenderà (2).
Nota: (2) Dominus protector vitae meae, quo trepidabo?— Prov. XXVI, 1.
1302. Giusto sii, e sarai sempre felice.
1303. Sii moderato in tutto; la tua sicurezza in ciò consiste.
1304. Stima tutti gli uomini, e maggiormente sarai stimato.
1305. Parla bene di tutti, e non cadrai in guai (3).
Nota: (3) Qui custodii os suum custodit animam suam: qui autem inconsideratus est ad loquendum, sentiet mala. Prov. XIII, 3.
1306. Non sdegnar mai l'altrui superiorità.
1307. Sopravanza in ineriti l’altrui autorità.
1308. Sappi nascondere a tempo la propria abilità.
1309. Non di troppo fa conoscere te stesso se non vuoi recar danno a te stesso.
1310. Accomodati sempre all’umore altrui (1).
Nota: (1) Ulula cum lupis cum quibus esse cupis.
1311. Impara a diventare virtuoso frequentando coloro che sono tali.
1312. Esercita la virtù, e sarai uom dabbene.
1313. Cerca nella propria tua coscienza il testimonio delle lue azioni.
1314. Abbi sempre un'opinione modesta del tuo proprio merito.
1315. Comanda al tuo cuore, e sarai virtuoso.
1316. Non temer l’avversa fortuna, se veramente sei virtuoso (2).
Nota: (2) Tu vedrai che Virtù non paventa L’onda lenta del pallido Lete, E che indarno d’insidie segrete La circonda l'instabile Età: Che sicura fra tanti nemici Si rinforza nel duro cimento, Come al soffio di torbido vento Vasto incendio più grande si fa. Metast., Tempio dell’Eternità.
1317. La virtù sia sempre lo scopo d'ogni tua azione.
1318. Cerca di giungere al vero centro ove risiede la virtù, e sarai saggio.
1319. Il tuo primiero scopo sia di conseguire la virtù (1).
Nota: (1) Divitiarum et formae gloria flux atque fragilis est; virtus clara aesternaque habetur. – Sallust. Catil. I.
1320. Vivi egualmente lontano dai due estremi della virtù; in essi sta il vizio.
1321. Se vuoi esser veramente virtuoso non sii smanioso di sembrar tale.
1322. Non basta cominciar a praticare la virtù; persevera in quella sino alla fine (2).
Nota: (2) Non bisogna cominciar a scavare un pozzo e fermarsi ad alcune braccia di profondità, perché non si trova l’acqua; bisogna continuare, altrimenti si perde il suo tempo, il suo lavoro e le sue fatiche: è lo stesso che non aver cominciato.
1323. Frequenta i virtuosi, e maggiormente diventerai virtuoso.
1324. Vinci te stesso, ed arriverai al colmo della virtù.
1325. Sii virtuoso, e nulla avrai a temere (3).
Nota: (3) Virtù sola è la nave Che onde e venti non pave, Che sirti e scogli chiva. Sì, virtù sola è quella Che d’ogni aspra procella Può trarti salvo a riva. Pindaretto italiano.
1326. Fa una buona azione, e ne avrai la ricompensa nel piacere d’averla fatta.
1327. Cerca la virtù per sé stessa, e non per la incerta fama del volgo.
1328. Occulta piuttosto i difetti del tuo amico che palesare le di lui virtù.
1329. Non cercare la ricompensa della virtù fuori della virtù stessa.
1330. Separa il ben dal male, né confonderli mai come fa il vizioso.
1331. Non cercar la virtù ove i discorsi sono studiati, ed ove l’adulazione è encomiata.
1332. La sola bellezza naturale della virtù induca a seguirla (1).
Nota: (1) Honesta quidem honestis suadere facillimum est. — Quintil. lib. III, 3.
1333. Non eguagliarti ai grandi scellerati tener la virtù per debolezza e mancanza d’animo.
1334. Non arrossire mai che di ciò ch’è male.
1335. Non chiamar saviezza e virtù ciò che altri nominano stupidità ed infingardaggine.
1336. Tien per sicuro che la debolezza è più opposta alla virtù che il vizio.
1337. Fonda la probità su d'un naturale compassionevole, franco e liberale.
1338. La maggior tua gloria sia l’inimicizia de’ malvagi (2).
Nota: (2) Qui vitia odit, homines et Deos amat, Tbrasca Peto.
1339. Fuggi i tristi, e sarai certo di ben esercitar la virtù.
1340. Sbandisci i vizj dal tuo cuore, e non temerai la morte.
1341. Fuggi il vizio, né far pazzie, e sarai saggio (1).
Nota: (1) Virtus est vitium fugere, et sapientia prima Stultitia caruisse. Horat. lib. I, ep. I.
1342. Fuggi il vizio, ma fa anche il bene se puoi (2).
Nota: (2) Declina a maloy, fac bonum. — Eccli.
1343. Non allontanarti dalla virtù, se non vuoi I far sorgere il vizio padre del delitto.
1344. Cerca di conoscere la deformità del vizio, e sarai cerio di non seguirlo (3).
Nota: (3) E chi da’ primi istanti oppor non sa Argine al vizio ed ai progressi suoi, Tenterà invan di sradicarli poi. Casti.
1345. Non esser mai indulgente pel vizio, ciò è una cospirazione contro la virtù.
1346. Non confondere la debolezza col vizio, né il vizio coll’iniquità.
1347. Ristringi i bisogni tuoi, e reprimerai i vizj.
1348. Se non puoi esser senza vizj, abbiane almen pochi che ti governino (4).
Nota: (4) ... vitiis nemo sine nascitur: optimus ille est Qui minimis urgetur. Horat. lib. 1, sat. III.
1349. Comportati prudentemente col vizioso senza palleggiare col vizio.
1350. Non autorizzare il vizio vivendo familiarmente con viziosi.
1351. Sii forte e sempre padrone di te stesso, e sarai inaccessibile al vizio.
1352. Stima le buone qualità d’un uomo, compiangine le cattive.
1353. Apprezza il men vizioso, se viver devi fra i malvagi (1).
Nota: (1) Sembra gentile Nel verno un fiore Che in sen d’Aprile Si disprezzò. Fra l’ombre è bella L'istessa stella Che in faccia al Sole Non si mirò. Metast. Asilo d’Amore.
1354. Non associarti col più forle, onde vieppiù calpestare chi giace.
1355. Non operar a caso; pensa che farai degli infelici.
1356. Anche ai malvagi concedi l’immortalità affine d’intimorire i viventi.
1357. Non commettere alcun delitto, e non avrai verun timore (2).
Nota: (2) Eterna guerra hanno i rei con sé stessi A gran delitti è compagno il timor. Ariosto.
1358. Non esultar mai per l’impunità d’illustri misfatti.
1359. Guardali dal primo delitto: esso si concatena sempre con altri delitti (1).
Nota: (1) Delitti, il primo costa: al primo, mille Ne tengon dietro, e crescon sempre. Alfieri, Antig. Atto IV.
1360. Nessun premio, come nessuna autorità li rendano capace d’un delitto.
1361. Non temer ciò che si dirà di te, ma temi i rimproveri della tua coscienza.
1362. Arrossisci di le stesso, e li risparmierai molti delibi.
1363. Non commettere mai fatti da non potertene correggere (2).
Nota: (2) … Non arrossire in voto Chi non vede il suo fallo; e chi lo vede È vicino all’emenda. Metast. Adriano, atto II.
1364. Rendili incapace di commetter delitti, e non li supporrai facilmente in altri.
1365. Non compiacerli nel delitto, se non vuoi peccar due volle.
1366. Correggi i tuoi fatti, se non vuoi commetterne di nuovi.
1367. Al fatto fa correr dietro l'emenda, altrimenti nulla sarà il tuo pentimento (3).
Nota: (3) Al giovanil talento Non ti fidar così: Chi tardi si pentì, Si pente invan. Non sai che sia dal vento Vedersi trasportar, E il porto sospirar Quando è lontano? Metast., Il vero Omaggio.
1368. Pentiti di verace dolor, e ritornerai innocente.
1369. Procura di non averli a pentire di aver fatto ciò che non dovevi fare.
1370. Se non hai fallalo, non chieder mai perdono (1).
Nota: (1) ..... il domandar perdono Presuppone un delitto. Salfii, nei Templari.
1371. Fa cosa che non abbi a pentirti, e non avrai rimorsi.
1372. Non far male; dopo il fatto non vale alcun pentimento (2).
Nota: (2) Che giova all’uomo ucciso, o ver ferito Che l’uccisor lo pianga, o sia pentito? Cent. Piacent. II, 70.
1373. Non fidarti nella colpa, perché perderai anche il poco ben che tieni.
1374. Non vantarli mai d’essere senza difetti.
1375. Cerca di conoscere presto i tuoi difetti e tardi le tue doti.
1376. Abbi gli occhi su’ tuoi difetti, né cercar quali siano que' degli altri.
1377. Non creder mai d’essere senza difetto, ciò sarebbe un difetto maggiore.
1378. Gli altrui difetti ti servano a renderti perfetto, quanta gli esempi di virtù (1).
Nota: (1) I Lacedemoni inspiravano la temperanza ai loro fanciulli facendo loro osservare gli Iloti ebri di vino.
1379. I difetti altrui ti siano piuttosto d'istruzione che oggetto di derisione.
1380. Conosci i tuoi difetti, e poca avrai a fare per correggerti.
1381. Conosci te stesso prima di ragionare sui difetti altrui.
1382. Non cercare di nascondere i tuoi, difetti, cerca piuttosto di correggerli (2).
Nota: (2) Fit erranti medicina confessio. – Cicero.
1383. Non disprezzare gli altri: sii tu stesso senza difetti (3).
Nota: (3) …  più s’ama talor l’altrui difetto Udir deriso, che veder corretta. Casti, Anim. parl. XVIII, 96.
1384. La verità sia il solo alimento di cui nutrir ti debba.
1385. Non disgiunger mai la giustizia dalla verità.
1386. Nella verità fissa il fondamento dell’onestà tua.
1387. Congiungi verità e virtù, ed amendue prenderanno vigor novello.
1388. Abbi egual arte per saper dire la verità come per saperla tacere (4).
Nota: (4) La verità, se fuor di luogo e detta, Su chi la disse attira odio e vendetta. Casti, Anim. parl.
1389. Esponi la verità senza velo, e sarà da tutti compresa.
1390. Lasciali sempre persuadere dalla verità; essa non ha bisogno di prove.
1391. Cerca di scoprire una verità qualunque, e ben presto ne scoprirai un’altra.
1392. Vuoi fare cose ottime? Cerca di appieno conoscere la verità.
1393. Il fondamento di tua onoratezza sia l’esser veridico.
1394. Rispetta le opinioni popolari, esseno sempre per base la verità (1).
Nota: (1) II Vico nei Principj d'una Scienza Nuova, parte I, disse: Idee uniformi, nate appo intieri popoli fra essi loro non conosciuti, debbono avere un motivo comune di vero. — Il proverbio triviale dice: Voce, del popolo, voce di Dio; questa massima talvolta è falsa, e bisogna ricordarsi del tolle et crucifige.
1395. Apprezza maggiormente la verità che biasima, che la verità che loda.
1396. Sii sempre veridico abbenchè dispiacer debba a qualcuno (2).
Nota: (2) … di publicar procura Ché grato a me si rende Più del falso che piace il ver che offende. Metast. nel Tito.
1397. Parla sempre con franchezza, e sarai onest’uomo.
1398. Fa tralucere nelle tue parole quell’ingenuità che è Io specchio fedele dell'animo.
1399. Non essere menzognero; piccoli e brevi sono i vantaggi del bugiardo.
1400. Non essere troppo prodigo in cerimonie, se non vuoi esser tenuto per poco sincero (1).
Nota: (1) Fatti non ha chi in cerimonie abbonda; Galleggia il vuoto, e il corpo grave affonda. Lippi, Malmantile.
1401. Sii semplice di cuore, e le tue contentezze saranno grandi e stabili.
1402. Non fidarti mai delle esagerate proteste.
1403. Non fare proteste esagerate; esse provengono da una sorgente di doppiezza.
1404. Sii sincero nelle tue proteste, e li renderai sempre grato.
1405. Non adoperar finzioni cogli altri; con ciò insegneresti ad usarle teco.
1406. Non esser mai né menzognero né falso, se non vuoi che ti segua il generale disprezzo (2).
Nota: (2) Di questa falsità, che dalle leggi non è punita, vedesi che il disprezzo e la fuga de’ concittadini sono venute in sussidio alla mancanza delle leggi positive; quindi vediamo esser il bugiardo screditato sui teatri colle publiche beffe, ed applaudirsi estremamente gli spettatori all’avvilimento ed alla confusione del mendace.
1407. Non diffidar delle intenzioni, se non vuoi ch’altri diffidino di te.
1408. Non privarti colla bugia di quella stima che ciascuno dee avere per sé medesimo.
1409. Non dir bugia alcuna, altrimenti non sardi creduto anche quando dici il vero (1).
Nota: (1) Semel mendax semper presumitur mendax. — Vetus axioma.
1410. Non mentir mai, anche parlando in favor di te stesso.
1411. Sii sempre veridico; ed ogni tuo detto sarà rispettato come la tua persona.
1412. Non usar mai la menzogna; il danno cadrà sicuramente sopra di te (2).
Nota: (2) È la menzogna ormai Grossolano artificio e mal sicuro. La destrezza più scaltra e oprar di modo Ch'altri sé stesso inganni. Melast., Adriano, atto II.
1413. Sii tutto fuoco per la verità, ma tutto ghiaccio per la menzogna!
1414. Non scusare una bugia con altre bugie (3).
Nota: (3) Chi alle bugie colle bugie fa scudo Copre con sottil rete un corpo ignudo. Cent. Piacent., V, 48.
1415. Non arrossire mai nel dire la verità ma soltanto per la menzogna.
1416. Non far mai società col bugiardo; ben presto ti trarrà in rovina (1).
Nota: (1) Chi si fida alla mentita faccia Corre al delitto, e la miseria abbraccia. Ariosto, Satire.
1417. Non troppo parlare, da ciò nasce sovente la bugia.
1418. Fa servire il tuo silenzio di coperta all’ignoranza (2).
Nota: (2) Stultus quoque, si tacuerit, sapiens reputabitur. — Prov. XVII, 28.
1419. Se non vuoi fallare, parla di rado.
1420. Taci non per timidità, ma per giudizio e discrezione.
1421. Parla poco e taci molto, se vuoi esser tenuto saggio.
1422. Taci talvolta anche il vero: ciò è pure una virtù.
1423. Se insultato sei con parole, vendicati tacendo (3).
Nota: (3) Nihil potest esse fortius, nihii egregius, quam audire noxia, et non respondere contraria. — Cassiodorus.
1424. Non cercare gli altrui secreti, se desideri conservare i tuoi.
1425. Non rilevare un secreto confidatoli, se non vuoi perdere la tua riputazione.
1426. Fa depositario del tuo secreto un uomo di conosciuta probità.
1427. Fidati di pochi, ma, se puoi, fidati di nessuno (1).
Nota: (1) Clarissima sententia confidere paucis, sed clarior est alteria confidere nulli. – Scaliger.
1428. Non lagnarti se sarai tradito confidando il tuo secreto ad uno stolto.
1429. Ciò che non vuoi che si sappia non dirlo ai figli né alle donne.
1430. Non il secreto, ma il tuo denaro confida alla donna tua.
1431. Da cauto nascondi ciò che sai, se non vuoi esser tenuto stolto (2).
Nota: (2) Homo versutus celat scientiam; et cor insipientium provocat stultitiam. – Prov- XII, 23.
1432. Sii piuttosto curioso d'imparare che di sapere i fatti altrui.
1433. Sii curioso per trarre profitto de' falli altrui, non mai per vendicarti.
1434. Se sei onest’uomo non cercar gli affari che non t’appartengono (3).
Nota: (3) L’uom che de’ fatti altrui cerca istruirsi È per lo meno un uomo da fuggirsi. Rosa, Satire.
1435. Non mostrarti troppo curioso, altrimenti farai nascere la diffidenza altri.
1436. Abbi sovente la diffidenza in altrui, la prudenza non ti mancherà.
1437. Diffida di te stesso, ma confida nel tuo amico.
1438. Se prudente esser vuoi, non avere molti amici.
1439. Contro l’invidia segreta fa valere la prudenza ed anche la sorte (1).
Nota: (1) Di chi mi fido Mi guardi Iddio; Di chi non mi fido Mi guarderò io. Prov. Triv.
1440. Contro il nemico palese adopera coraggio e forza.
1441. Sii prudente, e sovente comanderai.
1442. Prudentemente varia a seconda de’ casi i tuoi pensieri.
1443. Le seconde lue riflessioni siano sempre più sagge delle prime.
1444. Ogni virtù sia in le un’abitudine direna sempre dalla prudenza.
1445. Sii saggio e prudente, ed ogni cosa ti sarà facile (2).
Nota: (2) Qui patiens est multa gubernatur prudentia; qui autem impatiens est, exaltat stultium suam. – Prov. XIV, 29.
1446. La prudenza sia sempre la tua più si cura guida.
1447. Usa sempre i mezzi più sicuri per evitare ogni sinistro evento.
1448. Non urlar mai cogli ignoranti né cogli imbecilli (3).
Nota: (3) Se non usa giudizio chi ne ha, Di un pazzo a fronte sempre il torto avrà. Cent. Piacent. IX, 12.
1449. Non esser mai troppo prudente; ciò degenererebbe in imprudenza.
1450. Valuta i beni tuoi coi mali onde non errare nella scelta.
1451. Delibera adagio, ma eseguisci con fermezza quanto hai stabilito (1).
Nota: (1) Al risolvere è virtù la lentezza, Ma è vizio all’eseguir. Metast.
1452. Nel deliberare conosci ogni inconveniente, e prendi il men cattivo fra i pessimi.
1453. Preferisci sempre la prudenza all’ostinazione.
1454. Unisci ai lumi naturali della ragione quelli dell'esperienza.
1455. Soffri l’Pignorante, ma fuggi l’imprudente (2).
Nota: (2) Un uom rozzo e ignorante può soffrirsi; Un uom senza prudenza è da fuggirsi. Cent. Piacent. VI, 89.
1456. Non confondere la bassezza colla prudenza, né questa col timore.
1457. Cerca di non convivere mai con chi prudenza non ha, né discrezione.
1458. Tenta di rado audaci imprese, abbenchè ragione il consigli.
1459. Sii fermo in ogni tua azione, né temer mai di non condurla a fine (3).
Nota: (3) L’Ecclesiastico (XXVII, 12) dice: il saggio sta fermo come il sole, lo stolto cangia come la luna: Homo sanctus in sapientia manet sicut sol; nam stultus sicut luna mutatur.
1460. Fa consistere la tua grandezza d'animo anche nelle piccole cose.
1461. Fa consistere la tua magnanimità nel rendere felice i tuoi subalterni.
1462. Non desiderar grandi cose per accontentare ciechi affetti.
1463. Cerca il bene, e, ritrovato, amalo sempre.
1464. Temi Iddio, e nessun male ti accalderà (1).
Nota: (1) Timenti Dominum non occurrent mala; Deus illum conservabit. — Eccli. XXXIII, 1.
1465. Ama l'altrui gloria come la propria, e sarai magnanimo.
1466. Piuttosto che rapire la gloria altrui, spogliati della tua.
1467. Preferisci l’utilità publica al ben particolare.
1468. Fa sempre cose che andar possano alla posterità.
1469. Non parlar mai di te stesso se vuoi esser magnanimo.
1470. Conversa co’ saggi, e sarai saggio; l’amico degli stolti loro rassomiglia (2).
Nota: (2) Qui cum sapientibus graditur, sapiens erit; amicus stultorum similis efficientia — Prov. XIII, 20.
1471. Sii più geloso di prestare servigi, che di riceverne.
1472. Anche nelle tue minime azioni fa scoprire, b tua grandezza d’animo.
1473. Giudica le tue «azioni non dagli effetti ma dalle cagioni.
1474. Ama colui che tu ammiri, come ami coloro che ti ammirano.
1475. Sii piuttosto ambizioso che invidioso.
1476. Non permettere il male che puoi togliere (1).
Nota: (1) Quante volte il crudel, s’egli non ebbe Parte o grado che ambia, lascia che accada Immenso mal ch’egli impedir potrebbe, Ed in rovina l’universo vada. Purché il rival del proprio fatto incolpe! E questo appunto è quel che fe’ la Volpe. Casti, Anim. parl. XI, 2.
1477. Ama chi ti stima, ma ama maggiormente colui che tu stimi più di te stesso.
1478. Ama anche quelli che cercano d'eguagliarti.
1479. Non aver invidia alcuna, ed avrai vero contrassegno d’esser nato con grandi talenti.
1480. Sprezzala gloria, ed ammazzerai l’invidia.
1481. Fa cessare la pompa ed il fasto, e cesseranno le invidie (2).
Nota: (2) Se gli uomini quaggiù fossero uguali Non vi sarebbe invidia fra i mortali. Ariosto.
1482. Non invidiare la sorte altrui, e da nessuno sarai invidiato.
1483. Fa del bene, tu avrai degl’invidiosi; fa meglio, e li confonderai (1).
Nota: (1) Ombra bien, tendras embidiosos: ombra mujor y confundirlos as. Michael Cervantes.
1484. Punisci l’invidia lasciandola in preda all’ulcera che le rode il cuore (2).
Nota: (2) … Sempre l’invidia un gran mal fora, Pur seco ha un ben: degli invidi maligni E gli occhi e’l cor, senza cessar, divora. Epigram. Antologia greca.
1485. Cerca quanto li può esser utile, ma non toglierlo mai agli altri.
1486. Non ceder ad altri quanto l'appartiene, e di cui hai bisogno.
1487. Soggioga l’invidia, ed avrai ciò che di più raro ottiensi dagli uomini.
1488. L'invidia li sia sempre di sprone alle grandi imprese.
1489. Piuttosto che invidiare i buoni, imitali.
1490. Contro l’invidia opponi sempre la virtù (3).
Nota: (3) … difesa miglior ch’usbergo e scudo, è la santa innocenza al petto ignudo. Tasso, Gerus., VIII, 4.
1491. Non dissimular mai le virtù del tuo emulo.
1492. Disprezza egualmente la maldicenza e l'adulazione: esse molto si rassomigliano.
1493. Disprezza la maldicenza, e te ne vendicherai.
1494. Non biasimar altrui, altrimenti biasimerai le stesso (1).
Nota: (1) Di tutti espon se stesso alla censura Chi tutti morde ed umiliar procura. Adimari, Satire.
1495. Guardati bene dal machiare l’onore del tuo prossimo.
1496. Le apparenze sovente ingannano; dichiarati piuttosto per le buone che per le cattive.
1497. Non intorbidar mai il riposo altrui; ciò sarìa di danno al tuo (2).
Nota: (2) Chi vuole che si dica ben di lui Guardisi bene dal dir male d'altrui. Berni.
1498. Non dar ascolto alla maldicenza: essa nuoce a chi l’espone ed a chi l’ascolta.
1499. Sprezza chi troppo loda, come chi troppo biasima.
1500. In faccia a chi t’odia affoga il tuo dolore.
1501. De’ presenti parla bene, degli assenti non parlar mai (3).
Nota: (3) Tu non favella mai Delle persone assenti; Scherza con parco sai Su que’ che son presenti. Adimari.
1502. L’esperienza del vizio sia per te una lezione di saviezza (1).
Nota: (1) Heureux celai qui pour devenir sage Du mal d’autrui fait son apprentissage. Racine.
1503. Conosci le lue proprie pazzie: ili ciò consiste la più grande saviezza.
1504. Dagli altrui vizj emenda i tuoi.
1505. Apprezza maggiormente la saviezza che l’oro: essa è più rara e più utile.
1506. Sii virtuoso senza affettazione, e sarai saggio.
1507. Abbi la tranquillità d'animo; il presente li soddisfi, e non temerai l'avvenire.
1508. Vivi senza temer la morte, ed aspettala senza desiderarla, e sarai saggio.
1509. La saviezza non sia altro per te che l’arte di viver lieto e contento (2).
Nota: (2) Quella qualunque virtù che non ottiene questo fine, è più insana della stessa follia, poiché questa finalmente è spensierata ed allegra.
1510. La somma saviezza sia per te sempre la somma felicità.
1511. Pensa prima d'operare, non già come lo stolto, che riflette dopo d’aver agito.
1512. Non giudicar dalle parole, ma dalle azioni de’ saggi.
1513. Osserva le azioni e le parole per giudicar dei pazzi.
1514. Conosci prima chi non omaggio, se veramente vuoi esser saggio.
1515. Non abusar del tuo sapere nel trattare co’ tuoi inferiori (1).
Nota: (1) Conversa sol co’ buoni E non andar fastoso Se di sue grazie il Ciel Fu teco generoso. Loreto Mattei.
1516. Crediti il men saggio di tutti, e sarai veramente saggio.
1517. Non studiarli a comparir uomo grave; la gravità debb'essere naturale.
1518. Se puoi, e senza farti torto, concedi qualche cosa alle usanze.
1519. Se vuoi esser riputato savio, sii qual vuoi comparire.
1520. Fa sempre del bene a’ tuoi simili, e supererai gli altri in saggezza (2).
Nota: (2) Un uom di tal fatta, secondo Montaigne (lib. I, cap. 42), è cinquecento braccia al disopra dei regni e degli imperj.
1521. Sii sempre forte e costante, e sarai saggio.
1522. Non perdere una giornata senza far del bene (3).
Nota: (3) L’imperatore Tito Flavio, dopo aver passato un giorno senza aver fatto alcun bene, disse alla sera co’ suoi cortigiani: Amici, abbiamo perduto un giorno.
1523. Non voler che ciò che puoi, e potrai fare ciò che vuoi,
1524. Non abbi alcun timore, e sii pronto a tutto soffrire (1).
Nota: (1) Omnia sic patitur sapiens, ut hiemis rigorem et intemperantiam coeli, ut fervores, morbosque et cetera forte accidentia sapientis. — Sen. De Constantia Sapientis.
1525. Cela le tue passioni, e conoscerai i proprj interessi.
1526. Fa a proposito de’ sacrjfizj, ed acquisterai ricchezze e le conserverai.
1527. Sii uom dabbene, e sarai il più saggio di tutt’i dotti del secolo.
1528. Oblia tanto il ben che fai quanto il mal che ricevi, e sarai saggio (2).
Nota: (2) Non si ricorda del sofferto oltraggio, Né del ben ch’ad altrui fece l’uom saggio. Loreto Mattei.
1529. Ama il saggio, abbenchè ti corregga; ma sprezza il buffone, abbenchè ti aduli (3).
Nota: (3) Gli Ateniesi costrinsero Socrate a bevere la cicuta, per i medesimi motivi che giornalmente applaudivano Aristofane colle sue empie buffonerie sul teatro.
1530. Non disprezzar il consiglio di chi che sia.
1531. Dà a tutti buoni consigli, ma sappi ancora profittare di que’ degli altri.
1532. Cerca i consigli, e di rado l’ingannerai (1).
Nota: (1) Salus ubi multa consilia. – Prov.
1533. Non dar consigli ad alcuno, se non ne sei ricercato.
1534. Ama piuttosto a consigliare, che a comandare.
1535. Preferisci dare buoni esempi che consigli.
1536. Nel consigliare cerca sempre d’inspirare confidenza.
1537. Da scaltro non sdegna mai verun consiglio.
1538. Non consigliare chi non vuol dar retta al tuo parere (2).
Nota: (2) Tu al pazzo desti un parer giusto e saggio, Ma il pazzo non intende il tuo linguaggio. Vannetti, Osservaz. Intorno ad Orazio.
1539. Fa sempre eco ai buoni precetti’.
1540. Attienti ai proverbi, e non t’ingannerai.
1. Dimanda. Che cos'è un proverbio? Risposta. È una sentenza dettata dall’esperienza, ed addottata dall’opinione.
2. D. In che consiste l’esperienza? R. In una lezione di saviezza.
3. D. Che cos’è l’opinione? R. È la regina del mondo.
4. D. Chi comanda nel mondo? R. Quegli ch’è veramente forte.
5. D. Come opera l’uomo forte? R. Opera sempre per ragione.
6. D. Come opera l’uomo debole? R. Opera, sempre per capriccio o per necessità.
7. D. Che cosa ottiene chi segue la ragione? R. Schiva i comandi della necessità.
8. D. Che cosa produce una forza eminente? R. Produce un eminente imperio.
9. D. Qual è il nutrimento della virtù? (1). R. La contesa.
Nota: (1) Credo inutile il ripetere quanto si è già detto, cioè che la parola virtù significa forza o vigore.
10. D. Qual è lo stimolo del contrasto? R. L’emulazione (1).
Nota: (1) Carneade, avendo avuto per suo fiero antagonista Crisippo, ripeteva ogni giorno ste parole: nisi Chrisippus fuisset, non essent ego. E se gli uomini fossero tutti antagonisti, e tutti pugnassero per equità, sarebbero forti tutti; se forti, virtuosi, e se virtuosi, felici: forza, virtù, felicità sono tre anelli d’una medesima catena.
11. D. Come s'invigorisce il corpo? R. Col travaglio, cogli esercizj ginnastici, colla temperanza.
12. D. Come si fortifica l’animo? R. Coll’emulazione e col contrasto.
13. D. Come s'inalza la mente? R. Colla meditazione (2).
Nota: (2) Il corpo vive e si muove operando, e l’effetto dell’operazione è la forza. L’animo vive contendendo, e l’effetto del contrasto è là virtù; la mente vive meditando, e l’effetto ella meditazione è la ragione e l’intelligenza.
14. N D. Perché gli uomini sono cosi deboli di mente? R. Perché fra tutti gli uomini che pensano, ve ne sono pochissimi che pensano di cuore.
15. D. In che consiste la forza intiera dell'uomo? R. Nel complesso di tutte le sue facoltà, attività e virtù.
16. D. In che consiste la forza di una Nazione? R. Nell’aggregato di tutte le particolari forze degli uomini che la compongono.
17. D. Qual è il paese più popolato? R. Ove gli uomini sono più vigorosi ed anche guerrieri (1).
Nota: (1) Roma, nel fragore delle armi, e in uno stato di guerra violenta e quasi continua, si riproduce dalle sue ceneri, e cresce, e moltiplica, e spedisce per tutto colonie, e colle sue legioni ingombra il mare e la terra.
18. D. Come può prosperare una Nazione? R. Coll’unione, colla forza, colla ragione, colla virtù, colla fede (2).
Nota: (2) Trecento giovani, disse Scevola al re d’Etruria, siamo noi congiunti in un’anima, ed in un solo pensiero, mea prima sors fuit: Porsena, che intendea quanta tenacità avea il proposito e l’unione di uomini forti, spedì all’istante i suoi ambasciatori a Roma per domandare la pace. Sacrosanta unione! Tu sei la forza, tu la ragione, la virtù, la fede, e da te dipende l’integrità e la gloria d’una nazione.
19. D. Come si possono unire gli uomini? R. Colla giustizia, colla probità di chi governa, coll’amore de’ governati verso i Governanti, coll’amore di tutti verso la patria, col rispetto alla Religione de’ padri, colla fede alle publiche promesse, colla reciproca confidenza.
20. D. Che cos’è la confidenza reciproca? R. E il più sacro pegno della bontà e rettitudine degli umani voleri.
21. D. Quai legami uniscono gli uomini in società? R. Religione, conforto degli infelici; temperanza, madre della giustizia; concordia, delle città e famiglie la prima conservatrice.
22. D. Chi dee cedere alla giustizia ed alla concordia? R. La forza e la virtù, le quali non tengono senza il temperamento della ragione e della giustizia.
23. D. Come si conserva un impero? R. Colle medesime arti colle quali si è acquistato.
24. D. Come può esser vinto il forte? R. Da altro forte (1).
Nota: (1) Qualunque cosa capace di aumento o di diminuzione può avere tre stati, o vero termini: l’infimo, il medio e il sommo. I due estremi sfuggono le comparazioni: il primo, parche troppo piccolo; l’ultimo, perché troppo grande; dove l’uomo non adopera misure, van gli eccessi. Nel primo caso ciò ch’è qualche cosa si valuta per zero; nel secondo si dà per umiliato, ciò che pure ha i suoi limiti. Achille è il più forte nel campo de’ Greci pel suo ardire; Agamennone per la sua autorità; Nestore pel consiglio; Ulisse per sua profonda scaltrezza, ed Elena è potente nella reggia di Priamo per i tratti divini della bellezza.
25. D. Che cosa cerca l'uomo frollissimo? R. Va in cerca d'omaggi, e s’infuria non trovando chi gli s'inchini (1).
Nota: (1) L’optimus presso i Greci, e presso i Romani significò fortissimo. Vedi Vico sull’etimologia delle parole ottimo ed ottimate.
26. D. Che cosa cerca il debole? R. Cerca protezione, e si dispera non trovando chi lo protegga.
27. D. Che cosa fa l'uomo forte? R. Ama, anziché cedere, morire.
28. D. Che cosa fa l’uomo debole? R. Comincia dal temere; indi abbassa la lesta; curva di poi le spalle; piega in séguito le ginocchia; indi si prosterna; finalmente muore per non morire.
29. D. Con quali modi si possono superare i nemici? R. Con la forza, con l'ingegno, e talvolta con l’astuzia.
30. D. Quali qualità dee avere un guerriero? R. Assalto di levriere, fuga di lupo, resistenza di cinghiale.
31. D. Qual è il più bell’animale al mondo? R. L'uomo virtuoso.
32. D. Da dove nasce il vizio? R. Dal vizio (1).
Nota: (1) Vizio nasce da vizio, e chi ne ammette Un sol, si trova indosso averne sette. Cent. Piacent. V, 74.
33. D. Qual è l’animale più vizioso? R. Tra i selvatici il calunniatore; tra i domestici l’adulatore.
34. D. Quali sono le fiere più perniciose? R. Nei boschi le tigri ed i leoni; nella città gli usuraj ed i ladri.
35. D. Qual è la città più ben organizzata? R. Ove non v’è bisogno né di medici né d’avvocati.
36. D. Che cosa necessita per essere felice? R. Sanità di corpo, tranquillità di spirito, beni di fortuna, amici sinceri.
37. D. Quali cose necessitano per poter di ventar vecchio? R. Star lontano dalle medicine; non essere intemperante; non rimanere mai in ozio.
38. D. Che cosa non possono fare cento medici? R. Guarire un pazzo.
39. D. Che cosa può fare un pazzo? R. Far impazzire cento savj.
40. D. Quali cose non sa fare lo stolto? R. Non sa pensare, né tacere.
41. D. Che cosa fa d'ordinario il saggio? R. Parla poco, pensa molto.
42. D. Che cosa è un uomo senza segreto? R. È una lettera aperta.
43. D. Che cosa guadagna il bugiardo? R. Non è creduto quando dice il vero.
44. D. Che cosa è un finto amico? R. Una moneta falsa.
45. D. Che cosa è un mentitore? R. Un magazzino di vento.
46. D. Qual cosa è più portentosa in una donna? R. Quando dice che un'altra donna è bella (1).
Nota: (1) Una fenice fra le donne è quella Che altra donna confessi essere bella. Ariosto.
47. D. Chi è che rifiuta quanto desidera? R. La donna onesta.
48. D. Che cosa maggiormente ributta in una donna? R. La sfrontatezza.
49. D. Che cosa dà maggior risalto nelle femine? R. La verecondia.
50. D. Cosa fa chi presta fede alle apparenze? R. Prende lucciole per lanterne.
51. D. Come si distingue l'argento dall’oro? R. Col paragone.
52. D. Qual è la più facil cosa? R. Fabbricar castelli in aria.
53. D. Quali cose non si possono riavere? R. Tempo ed onore.
54. D. Che cosa deesi maggiormente temere? R. Il disonore, il ridicolo.
55. D. Che deesi fare per conseguire onore? R. Vivere onoratamente.
56. D. Che far bisogna per vivere innocente? R. Richiudersi in un bosco.
57. D. Che cosa produce il vizio? R. D’un uomo libero fa uno schiavo.
58. D. Qual cosa rende facile il delitto? R. L’esempio.
59. D. Quali cose debbonsi maggiormente temere? R. L inimicizia de’ suoi concittadini, le adunanze tumultuose, le false calunnie, la donna gelosa (1).
Nota: (1) Per verificare la giustezza di questa risposta, nonché delle due susseguenti, si può consultare il libro dell’Ecclesiastico cap. XXVI, dal 5.6 al 28.
60. D. Quali cose contristano un cuore ben fatto? R. Nel vedere il guerriero che languisce nell’inopia, il sapiente trascutato, colui che dal bene passa al male.
61. D. Quali luoghi sono difficili a ritrovarsi? R. Bottega di mercante veridico; banco di negoziante che non fatti a danno altrui; bettola ove non sentansi parole oscene.
62. D. Quali sono le più difficili cose? R. Il conoscer sé stesso; il far meglio; vincere sé stesso; essere vero amico; essere sempre virtuoso; conservarsi un amico.
63. D. Quali sono le cose più facili? R. Il dar consiglio; il rimproverare; ingannare sé stesso; far una conoscenza; aver il nome d'amico; il sentirsi dire: padron mio, o servitor suo.
64. D. Quali cose sono le più dolci? R. Soddisfare i proprj desiderj; possedere ciò che si ama; esser tenuto por uomo forte o dotto; esser da tutti ammiralo in ogni azione.
65. D. Quali sono le cose più care? R. La patria, i parenti, gli amici.
66. D. Di tutte le cose qual è la più giusta? R. Il tempo.
67. D. Qual cosa è la più potente? R. La verità (1).
Nota: (1) … la verità è figliola del tempo, Ha forza, ed ha virtù sopra ogni cosa, Onde sempre risplende come il sole. Pietro Aretino.
68. D. Qual cosa è la più veloce? R. Il pensiero, o sia la mente dell’uomo.
69. D. Qual è la cosa più forte? R. La necessità.
70. D. Qual cosa è la più comoda? R. La speranza.
71. D. Qual è la cosa migliore? R. La virtù.
72. D. Qual cosa è la più perfetta? R. Iddio.
73. D. Qual cosa è la più antica? R. Il mondo (1).
Nota: (1) Sia detto qui una volta per sempre, che trattandosi in quest’opera di Proverbi sovente triviali e comuni al popolo, si sono dovute seguire le volgari domande.
74. D. Qual cosa è la più grande? R. Il luogo che contiene il mondo, cioè lo spazio.
75. D. Qual cosa è la più bella nel mondo? R. L’uomo.
76. D. Qual è la cosa più breve? R. La vita dell’uomo.
77. D. In che consistono le maggiori felicità? R. Nel viver libero; nell’essere da tutti stimato; nel morire senza timor della morte.
78. D. Quali cose sono le più preziose? R. La sanità e la vera amicizia.
79. D. Qual è la cosa più orribile? R. Un’alma ingrata.
80. D. Quali sono le più vane cose? R. La promessa di uom loquace; la speranza di essere riamalo amando (1).
Nota: (1) La speme di promesse mai non pasco, Che di cangiarsi stan sempre in periglio, Come l’amor di donna e ‘l vin di fiasco. Caporali, Capit. Di sé stesso.
81. D. Qual cosa è la più consolante? R. L'aspetto d’un infelice più infelice di noi.
82. D. Qual cosa è la più doverosa? R. La sommissione ai genitori.
83. D. Qual è la più necessaria cosa? R. L'ubbidienza alle patrie leggi.
84. D. Qual è la cosa più grata a Dio? R. Encomiare il virtuoso.
85. D. Che cosa deesi al povero virtuoso? R. Prima ajutarlo; indi lodarlo.
86. D. Chi è il vero saggio? R. Chi conosce quelli che non Io sono.
87. D. Qual è la più nobil dote d'un uomo? R. Eguaglianza d’animo nella prospera ed avversa fortuna.
88. D. A chi non nuoce la povertà? R. A chi pazientemente la soffre.
89. D. Chi è il più povero? R. Colui che non ha né amici né parenti.
90. D. Chi è colui che ha maggior numero di parenti? R. Il ricco (1).
Nota: (1) Molti del ricco son parenti stretti, Ma non trovan parenti i poveretti. Cent. Piacent. I, 88.
91. D. Chi è l’uom ricco? R. Colui, che ha poche cupidità.
92. D. Qual giovamento ricavar si può dalla filosofia? R. Quello di fare di propria libera volontà ciò che altri fanno per forza.
93. D. Che cos'è la pazienza? R. La figlia della necessità; la virtù più difficile a praticarsi.
94. D. La coscienza che cos'è? R. Una maglia che s'allarga o si stringe a piacimento.
95. D. Che cos'è l'uman rispetto? R. Da lontano un colosso, da vicino un nano.
96. D. Ove non trovasi doppiezza? R. Nell'uom d'onore.
97. D. Che cosa produce l'inganno? R. Dell’artefice suo torna a danno.
98. D. Come si possono fuggire i vizj? R. Conoscendoli (2).
Nota: (2) Né vero è già che, dipingendo i falli, Gli altri a fallir s’inviti. È della colpa Si orribile l’aspetto, Che parla contro di lei chi di lei parla; Che per farla abborrir basta ritrarla. Melast. Il Parnaso accusato.
99. D. Che cosa deesi sempre tralasciare? R. Ciò che un giorno possa farci pentirò.
100. D. Che cosa dee farci maggior orrore? R. La colpa, non il castigo.
101. D. Come deesi soffrire un male? R. Sperando in Dio (1).
Nota: (1) Né più bel pater nostro al parer mio Si può insegnare a un putto che abbi ingegno, Che soffri, spera, e lascia far a Dio. Dolce, Sulla Speranza.
102. D. In qual modo Iddio regge il mondo? R. Abbassando le cose alte, e le basse inalzando.
103. D. Come si può aspirare alla perfezione? R. Entrando nella via dell’onore, e seguitandola costantemente.
104. D. Qual è la via più lunga? R. Quella in cui s'impara a ben vivere.
105. D. Cosa fa l'uomo quando ha imparato a vivere? R. Muore.
106. D. Cosa principalmente fuggir si dee? R. L'occasion prossima di far del male.
107. D. Ove maggiormente si teme? R. In mezzo ad un fiume; in mezzo ad ur bosco; in una notte oscura.
108. D. Perché spaventano le tenebre? R. Perché la simpatia della notte ci penetra nel cuore con tutti i generi di privazione e di dolori (1).
Nota: (1) Già di tenebre involta e di perigli, Sola, squallida, mesta alto sedevi Su la timida terra. Il debil raggio De le stelle remote e de’ pianeti, Che nel silenzio camminando vanno, Rompea gli orrori tuoi sol quanto è d’uopo A sentirli vie più. Terribil ombra Giganteggiando si vedea salire Su per le case e su per Palte torri Di teschi antiqui seminate al piede: E upupe e gufi e mostri avversi al Sole Svolazzavan per essa, e con ferali Stridi portavan miserandi augurj: E lievi dal terreno e smorte fiamme Di su di giù vagavano per l’aere Orribilmente tacito ed opaco; E al sospettoso adultero, che lento Col cappel su le ciglia, e tutto avvolto Nel mantel se ne già con Tarmi ascose, Colpieno il core, e lo strignean d’affanno. E fama è ancor che pallide fantasime Lungo le mura dei deserti tetti Spargean lungo acutissimo lamento, Cui di lontan per entro al vasto bujo I cani rispondevano ululando. Parini, La Notte.
109. D. Che cosa fa la vera bellezza in una femina? R. Ci rappresenta Iddio, e sovente ce lo fa scordare.
110. D. Che cosa merita chi di troppo ama una donna? R. Merita di essere da lei sprezzato.
111. D. Chi è colui che ha un gran tesoro? R. Colui che ha un vero amico.
112. D. Che cosa succede al riso de' malvagi? R. Crepacuori e disagi.
113. D. Che cosa accade a chi fabrica una casa in piazza? R. È criticato, perché è troppo alta o troppo bassa.
114. D. In qual modo far si possono degli amici? R. Colla dolcezza delle maniere e delle parole (1).
Nota: (1) Prende più mosche un pocolin di mele Che un barile d’aceto o d’aspro fiele. Cent. Piacent. IV, 11.
115. D. Come si guariscono i mali prodotti dall’intemperanza? R. Colla dieta.
116. D. Che cosa è difficile nelle grandi imprese? R. Il secondare il desiderio di tutti.
117. D. Che cosa è il coraggio? R. È un principio della vittoria.
118. D. Che cos’è la ferocia? R. Una copia mostruosa del coraggio.
119. D. Che cos'è la poltroneria? R. Una falsa imitazione della mansuetudine.
120. D. Quali sono i sommi guerrieri? R. Coloro che difendono la vera patria.
121. D. Che cosa fa il fuoco del coraggio? R. Anima quello dell'amore.
122. D. Che cosa non sembra mai difficile ad ottenersi? R. Ciò che si brama.
123. D. Che cos'è il fanatismo? R. È una passione esclusiva, di cui un’opinione è I oggetto.
124. D. Che cos'è l'entusiasmo? R. È l'amor del bello, e la sublimità dell'anima.
125. D. Quali cose si debbono maggiormente valutare in questo mondo? R. La salute, il denaro, il potere.
126. D. Qual è l'uomo il più infelice? R. Il ricco divenuto povero non per sua colpa (1).
Nota: (1) Euripide nell’Ifigenia disse: un infortunio che a noi si attacca al nascere, cessa d’essere un male; esso può cambiarsi, o pure vi si accostuma, ma nel seno d’una brillante fortuna gli è duro il diventar infelice.
127. D. Chi è l'avaro? R. Quegli che possiede molt’oro, ma non lo sa spendere.
128. D. Chi è il vero ricco? R. Non quegli che tien chiuso l’oro, ma chi lo sa spendere.
129. D. Che cosa è l'avarizia? R. È una criminosa povertà.
130. D. Che cos'è l’economia? R. Sovente un mantello per coprire l'avarizia.
131. D. Come si può conservare la purezza d'un cuore? R. Prescrivendo dei limiti ai proprj desiderj.
132. D. Con chi va sempre unita l'invidia? R. Col merito e colla fortuna.
133. D. Ove termina il disprezzo? R. Ove comincia l'invidia.
134. D. Ove finisce l'invidia? R. Ove comincia l'ammirazione.
135. D. Chi è quegli che trionfa della forza? R. Colui che pensa ed opera da saggio (1).
Nota: (1) … chi pensa da saggio e opra da prode Della forza trionfa e della frode. Casti, Anim. parl. XI, 38.
136. Chi è quegli che resister può agl'inganni? R. L'uom prudente (2).
Nota: (2) Contro la forza il forte oppon coraggio; Contro l’inganno oppon prudenza il saggio. Casti, Anim. parl. XI, 39.
137. D. Che cosa non debbesi mai promettere? R. Ciò che prevedesi di non poter mantenere.
138. D. A chi maggiormente appartiene la virtù? R. All’uom selvaggio più che all’uom colto.
139. D. Che cosa è il disinganno? R. È il figliuol dell’esperienza.
140. D. Quando tremar conviene? R. Sul finir dell’opera.
141. D. Che cosa fa la sanità in uomo vecchio? R. Fa testimonianza della costumatesi di gioventù.
142. D. Ove regna il timore? R. Ove trovasi il delitto.
143. D. Quando deesi maggiormente temere la vendetta? R. Quando chi è offeso non si sdegna (1).
Nota: (1) … A vendicarsi Cauto le vie disegna Chi ha ragion di sdegnarsi E non si sdegna. Metast., Ezio, atto I. Quand’è l’ingiuria atroce, Alma pigra allo sdegno è più feroce. Idem, Semiramide, atto III.
144. D. Qual è il minor male? R. II male previsto.
145. D. Chi è il vero traditore ed infame? R. Colui che cerca patteggiare colla seduzione.
146. D. Chi è facile ad essere placalo? R. Colui ch’è facile allo sdegno.
147. D. Ove sono i pericoli? R. Presso chi non li teme.
148. D. Qual è l’uomo veramente saggio? R. Non colui che si pente de’ suoi mancamenti, ma che sa correggersene.
149. D. Che cosa è l'amor proprio? R. La legge universale di tutte le nostre azioni.
150. D. Che cosa abbisogna ne' grandi perigli? R. Gran coraggio.
151. D. Che cosa guadagna il traditore? R. Di essere da tutti odiato (1).
Nota: (1) Il tradimento a molti piace assai; Ma il traditore a gnun non piacque mai. Pulci, Morgante, XVII, 69. Fu a molti il tradimento utile o grato, Ma il traditor da tutti è detestato. Cent. Piacent. II, 72.
152. D. Qual è la principal gloria del vincitore? R. Il moderar sé stesso.
153. D. Chi è maggiormente soggetto alla maldicenza? R. La lode.
154. D. In che consiste la vera saviezza? R. Nella conoscenza vera delle cose.
155. D. Quali sono gli effetti della saviezza? R. Prudenza, temperanza, giustizia, generosità.
156. D. Come si debbono vendicare le ingiurie? R. Coll’obliarle (1).
Nota: (1) Enjuriarum remedio est oblivio. — Pub. Syrus.
157. D. In che consiste la giustizia distributiva? R. Nel dar premio o pena in proporzione del merito.
158. D. Che cos' è la giustizia commutativa? R. Nel dare ad altri qualche cosa secondo la parola data.
159. D. Quali debbon essere gli oggetti de nostri pensieri? R. Tutto ciò ch’è virtuoso; tutto quanto è lodevole.
160. D. Ove risiede la divinità? R. Nel cuore dell’uomo virtuoso.
161. D. Chi è quello che non rimane ingannato? R. Quegli che mette la mano sulla sua coscienza.
162. D. Quali cose si cercano di maggiormente conoscere? R. Le cose biasimevoli più che le oneste (1).
Nota: (1) Facilior turpium est, quam honestorum intellectus. — Quintil.
163. D. Che cosa rende gli uomini amici tra di loro? R. La pratica dei medesimi vizj, o delle medesime virtù.
164. D. Che cosa si fa per possedere amore? R. Si donano tesori; si dimenticano inimicizie; si travaglia maggiormente da sé che per mezzo altrui.
165. D. Che cos'è la prudenza? R. È la facoltà di far valere l'abilità propria.
166. D. Che cosa fa l'abilità? R. Non fissa alcun fine, ma Io lascia alle circostanze.
167. D. A che serve la prudenza? R. A moderare i temperamenti; a divenire maggiormente saggio (2); ad essere veramente felice.
Nota: (2) … sarà più saggio In avvenir chi nel cimento apprese Col suo valore a misurar le imprese. Metast.
168. D. Ove hanno base tutte le virtù morali? R. Nella prudenza.
169. D. Chi ama il malvagio? R. Ama chi come lui sia malvagio.
170. D. Quali cose maggiormente uniscono due cuori sensibili? R. Le pene più che i piaceri.
171. D. Chi sta vicino all’estremo piacere? R. Il grave dolore (1).
Nota: (1) Qual piacer sarà perfetto, Se convien, per esser grande, Che cominci dal dolor? Metast., Demofoonte, atto III. Non sa che sia contento Chi non provò dolor; La spina del tormento Fa della gioja il fior. V. Monti, Cantata dal 16 maggio.
172. D. Che cosa diede natura agli uomini? R. Dei sensi ed un’anima.
173. D. Che cosa distingue l’uomo dagli altri animali? R. La forza della mente e del cuore.
174. D. Quali idee più tenacemente segue l’uomo? R. Quelle che si è fabricato di suo proprio capriccio.
175. D. Ove amicizia ha i suoi diritti? R. Dapertutto fuorché per l’amore.
176. D. Ove si gustano le dolcezze d’amore. R. Nel medio stato; lontano dai rimorsi; lontano dal timore; dove il cuor sceglie; dove il sentimento guida.
177. D. Per quanto tempo regna l'ingiustizia? R. Per un momento; di poi sparisce, e seco spariscono i suoi autori ed i suoi ministri.
178. D. Chi mette differenza nella sorte degli uomini? R. Il tempo (1).
Nota: (1) Il tempo mise tanta differenza tra Torquato Tasso e la duchessa Eleonora, che lo rese sommamente infelice. Mentre gli Estensi non avevano a piè degli Euganei che un castello di roccato, uno degli avi del Tasso, principe di Sorrento, che tolta avesse una sposa di loro famiglia, sarebbesi riputato da essi un uomo illustre e degno di lor parentado. Un mezzo secolo bastò a porre tanta differenza tra le due sopra enunciate persone.
179. D. Che cosa è il tempo? R. Il padre della verità.
180. D. Perché il tutto non è verità? R. Perché gli uomini non sono tutta forza e ragione.
181. D. In che consiste il saper umano? R. Nella storia della natura.
182. D. Da dove nasce il bene? R. Talvolta dall’eccesso d’un male.
183. D. Che cos’è la gloria per chi non la merita? R. Un’ombra vana.
184. D. Perché nasce l’uomo? R. Per affannarsi, e morire.
185. D. Quali persone debbonsi odiare? R. Chi co suoi mali esempi corrompe i costumi; chi coi pessimi suoi consigli rovina la patria; chi colle sue maldicenze toglie l’onore a’ suoi concittadini.
186. D. Quando scordansi le cose? R. Quando si è stanco di parlarne.
187. D. Quali sono i pazzi che non si possono guarire? R. L’avaro; l’ambizioso; il giuocatore; il geloso (1).
Nota: (1) Colui che pel denaro Nutre insaziabil sete, è un pazzo detto avaro Che mai guarir potrà. Fin nelle angosce estreme Del fine della vita Sol per quell’oro geme Che abbandonar dovrà. Quegli che d’ambizione Sfrontatamente è gonfio, Simile ad un palline Balzando va qua e là. Spinto da tal pazzia, Tutto egli abbraccia e stringe, E questa frenesia Sol morte guarirà. Il giocator vizioso, L’indomito geloso, Il misero poeta, Colui che fida in femina Fra i pazzi più incurabili Si ponno annoverar.
188. D. Qual è l’uomo il più ridicolo? R. Quello che ride senza motivo.
189. D. Qual è il vizio più sordido? R. L'avarizia.
190. D. Qual è il mezzo di vivere in buona intelligenza coi vicini? R. Dissimulare i loro difetti.
191. D. Qual è il frutto del delitto? R. Il pronto pentimento.
192. D. Come si risponde ad insolente proposta? R. Col silenzio.
193. D. Chi è il maggior temerario? R. Colui che si compiace a motteggiar sul vero.
194. D. Qual è il vero dotto? R. Quello che sa ove il suo saper si estende.
195. D. Da chi fu ammaestrato il vero dotto? R. Dall’esperienza e dalla perseveranza (1).
Nota: (1) Sadi narra che, chiesto Lockman a chi dovesse il suo sapere, rispondesse: A’ ciechi, che non muovono un piede se non si assicurano dell’altro. Di questo filosofo ne fa cenno Maometto nel suo Corano, Sura XXXI, rapportandone le sue principali sentenze morali.
196. D. Chi è doppiamente ignorante? R. Chi è ignorante, e non crede di esserlo.
197. D. Quali sono i nemici della ragione? R. I pregiudizj.
198. D. Qual è il vero uom giusto? R. Il modesto e pietoso verso gli inferiori; il cortese ed urbano verso gli eguali (1).
Nota: (1) Modestia, civil tratto e pietà soda, Son virtù, ma non sono oggi di moda. Cent. Piacent. VII, 73.
199. D. Che cosa debb’esser la legge? R. La volontà generale.
200. D. Perché esiste una legge morale? R. Perché è obligatoria.
201. D. Da chi nasce la legge? R. Dal delitto (2).
Nota: (2) Vetus verbum est: leges bonae ex malis moribus procreantur. Macrob. Saturn. II, 13.
202. D. Che cos’è la libertà? R. L’ubbidienza alla legge, perché la legge è la volontà di tutti.
203. D. Che cosa produce l’impostura? R. L'ingiustizia.
204. D. Ove abbisognano poche leggi? R. Ove nascono pochi errori; ove si commettono pochi delitti.
205. D. Perché gli amanti non s’annojano mai d’esser assieme? R. Perché parlano sempre di sé stessi.
206. D. Chi porla maggiori scienze, e non sa profittarne? R. L'asino che porla dei libri; l’ignorante possessore d’una copiosa biblioteca (1).
Nota: (1) Maometto nel Corano, Sura LXII, paragona gli Ebrei agli asini che portano i libri, cioè che hanno un tesoro di profonde dottrine nei loro libri sacri, e non sanno profittarne.
207. D. Come si dee pregar Iddio? R. Come se gli uomini fossero presenti
208. D. Come si dee parlare agli uomini? R. Come se Iddio ci ascoltasse
209. D. Come si dee pregar l’amico? R. Colla massima sincerità; colla più grande fiducia.
210. D. Qual guida Iddio diede all'uomo per condursi? R. La saggezza, che è il più grande de beni; come l'ignoranza è il maggior de' mali.
211. D. Come impiegar si dee il tempo superfluo? R. Ascoltando i discorsi de' saggi.
212. D. Che cos’è la noja pel ricco? R. Il suo più pesante fardello.
213. D. Come si gode il passato? R. Colla rimembranza.
214. D. Di chi è madre la povertà? R. Dei vizj.
215. D. Qual è il padre dei vizj? R. L'ozio.
216. D. Che cosa fa l'occasione? R. Spesso fa pervertire il saggio.
217. D. Ore abbisogna la moderazione? R. Dapertutto, anche nello studio, e sopratutto nel voler approfondir le cose (1).
Nota: (1) Sapere ad sobrietatene. – S. Paulus.
218. D. Qual è il sentimento che faccia maggiore impressione sul popolo? R. Il timore.
219. D. Di chi trionfa la filosofia? R. De’ mali passati; ma i mali presenti trionfano sovente di essa.
220. D. Qual è la nazione la più felice? R. Quella di cui le altre nazioni ne parlano meno.
221. D. Qual è la donna più onesta? R. Quella delle cui azioni non si parla punto.
222. D. Che cosa sono i moralisti? R. Sono i benefattori del genere umano.
223. D. Cosa sono i teologi scrupolosi? R. Sono il flagello delle menti deboli.
224. D. Cosa accade a chi si dedica alla filosofia? R. Cade talvolta nel difetto di essere troppo filosofo.
225. D. Quali cose sono le più difficili a conoscersi? (1) R. Le tracce dell’aquila nell’aria; le strisce d’un serpente sulla pietra; i solchi d’una nave in mezzo al mare; la condotta dell’uomo nella sua adolescenza; i raggiri della donna adultera.
Nota: (1) Relativamente alla presente domanda, ed alle tre susseguenti, vedasi nella Bibbia il libro de’ Proverbi cap. XXX, v. 18 e seguenti.
226. D. Da chi è messa in combustione la casa? R. Dà uno schiavo, che giunto sia al comando; da uno stolto, che è pieno di cibo; da una moglie litigiosa od adultera; da una serva divenuta erede della sua padrona.
227. D. Quali cose infime per sua natura superano in saggezza i sapienti? R. Le formiche, che in tempo della messe preparano il loro vitto; i conigli, che piantano il loro covile nei sassi; le cavallette, che senza condottiero si muovono divise in isquadroni; Io stellione, che si regge colle mani, ed abita i palazzi dei re (2).
Nota: (2) Cioè nelle fessure de’ più alti palagi. Alcuni credono che lo stellione sia lo stesso che la tarantola.
228. D. Quali individui meglio camminano? R. Il lione, che non teme chi che sia; il gallo, il quale è sempre pronto a combattere; l’ariete in mezzo al prato; il re, a cui nessuno resiste.
229. D. Cosa maggiormente crede il misero? R. Sé medesimo più misero di tutti quando soffre.
230. D. Che cosa è il vino? R. Il re della mensa; il sovrano più potente degli intemperanti (1).
Nota: (1) L’almo liquor che i timidi rincora Puote assai più che la virtù nativa: Ben profetò di lui l’antica gente, Ch’era, sovra ogni re, forte e possente. Tassoni, Secchia rapita, XI, 24. Bacco, a cui sacro era il vino, fu secondo la mitologia, uno dei più valorosi re dell’antichità; celebri sono specialmente le di lui conquiste e vittorie nell’India.
231. D. Che cos’è l’amor di sé stesso? R. Il sommo nume de’ grandi.
232. D. Cosa non deesi cercare in una moglie? R. Le scienze (2).
Nota: (2) La dotta Irene invan mi offre la destra: Voglio una moglie, non una maestra. Cent. Piacent. III, 96. La signora Deshoul disse: On vent qu’auxerreurs sujettes La nature nous ait faites Pour plaire et non pour savoir.
233. D. Qual è l’uom felice? R. Quello soltanto che crede di esserlo.
234. D. Quali sono le cose maggiormente approvate da Dio? R. La concordia tra’ fratelli; l’amore del suo prossimo; l'amore tra marito e moglie; la rassegnazione ai divini voleri (1).
Nota: (1) …  Ai Numi è caro Chi de’ Numi al voler piega la fronte. Iliade, lib. I trad. di V. Monti.
235. D. Quali cose più dispiaciono a Dio? R. Il povero superbo; il ricco bugiardo; il vecchio imprudente.
236. D. Che cosa sono gli uomini ambiziosi? R. Sono veri fantasimi che corrono dietro ad ombre ancor più vane.
237. D. Come paragonasi il destino degli uomini? R. A quello delle foglie degli alberi.
238. D. Qual è l’amor più forte? R. Quello che una madre ha pel suo figliuolo (2).
Nota: (2) Nei Racconti orientali scelti dai signor conte di Caylus, tom. II, pag. 239, trovasi guanto segue: La bella e spiritosa Damakè polendo confondere in presenza dell’imperatore i dotti vecchioni, che erano gli oracoli del Principe, in seguito alle loro domande proverbiali ed enimmi, cui essa avea risposto con altretanta grazia che sagacità, domandò loro in iscambio: «qual è la cosa più dolce de mele?» Gli uni risposero, che è il compimento de proprj desiderj; altri, ciò che procura la riconoscenza; e taluni opinarono che fosse il piacere di rendersi grato. Damakè lodò le loro risposte, ma essa terminò col domandar loro con affabilità, se essa s’ingannava, credendo che la cosa più dolce del mele fosse «I’amore che una madre ha per i suoi figliuoli». Questa risposta altretanto convenevole ad una femina, la quale dee sempre essere attaccata a’ suoi doveri, ed altronde detta con tanta modestia, terminò di guadagnarle tutt’i cuori.
239. D. Chi è che governa il mondo? R. La fortuna e gli umori.
240. D. Quali cose non si debbono credere? R. Quelle che sono al di là della propria portata.
241. D. Come parla l’uom d'onore? R. Le sue labra van d’accordo col suo cuore.
242. D. Cosa trova chi studia l’alchimia? R. Trova la via d'impoverirsi (1).
Nota: (1) Guai a chi dell’alchimia s'innamora; Perde il tempo, il cervello, e va in malora. Cent, Piacent. IV, 63.
243. D. Che cosa produce la novità? R. Produce la curiosità, e la curiosità rende attività.
244. D. Chi è che trova le fatiche, leggieri? R. Chi le fa con giudizio e volentieri.
245. D. Quali sono gli uomini maggiormente stimati? R. Un padre fortunato nella sua figliuolanza; un uomo dabbene che abbia buona sanità; chi vede i suoi avversarj in grado di non gli nuocere; un marito cui è toccata in sorte una saggia moglie; uno che non ha commessa colpa alcuna colla sua lingua; chi non è ridotto a servire un padrone superbo; chi trovò un vero amico; chi insegna a persone docili ed ubbidienti; chi trova la vera sapienza, cioè la prudenza che guida l'uomo al ben operare.
246. D. Quali sono i mezzi per ben operare? R. La fortezza, la vigilanza, la rettitudine, la temperanza.
247. D. Quali virtù inducono al ben operare? R. Il buon esempio de' saggi; il coraggio de’ prudenti.
248. D. Ove va il fanciullo quando fa il primo passo? R. Verso la morte (1).
Nota: (1) Iter mortis ingredimur nascentes. — Seneca.
249. D. Che cos'è la vita? R. Un'imagine della morte; un sogno che fugge svegliandosi; un debito verso il sepolcro.
250. D. Che cos’è il mondo? R. Un soggiorno di enti imaginarj e privi di realtà.
251. D. Qual è la vita dell’uomo? R. Nascendo piange; vivendo soffre; da disperalo muore.
252. D. Qual è l'uomo in odio a Dio, ed in obbrobrio a’ suoi concittadini? R. Lo spergiuro (1).
Nota: (1) I Greci, quantunque fra tutte le nazioni i più proclivi alle menzogne, mentre proverbialmente chiamavasi Graecia mendax, per cui la fede de’ Greci era giustamente sospetta; nulladimeno non sempre profanarono quel giuramento inviolabile e sacro, che adottarono tutte le nazioni per essere il garante ed ilsuggello dei reciproci patti, delle più inviolabili promesse, o vero della verità si sovente sospetta. Quel popolo mendace non poté senza sdegnarsi ascoltare, sul teatro d'Atene, Ippolito esclamare in un suo primo moto di sorpresa: «La mia lingua fece un giuramento: mio cuore ne fece un altro». Plutarco rapporta con orrore il detto di Lisandro generale Spartano «che bisognava ingannare i fanciulli con trastulli, ma gli uomini con spergiuri», e questo grande scrittore aggiunge: «Quello che inganna con un falso giuramento fa ben conoscere ch’egli teme gli uomini, ma che sprezza Iddio».
253. D. Qual è la prima fra le virtù? R. Il vendicare la patria offesa.
254. D. Che cosa dimostra chi facilmente si offende? R. Mostra molla superbia e molto amor proprio.
255. D. Quali cose non si ereditano? R. Il delitto, la pena, il disonore.
256. D. Che cosa fa il giudice che sente una sol parte? R. Pronunzia sentenze ingiuste (1).
Nota: (1) Chi una sola udir vuol delle campane Spesso darà sentenze ingiuste e strane. Ceni. Piacent. IV, 32.
257. D. Che cosa produce una congiura? R. Produce il sagrificio d'ogni reliquia de’ buoni, il trionfo de' malvagi, la conferma della tirannia.
258. D. Che cos'è la morte per l'uomo? R. Talvolta una delle maggiori felicità.
259. D. A chi la morte può essere di contentezza? R. A chi trovasi in calamità.
260. D. che cosa fa il pensiero della morte? R. Colma la profondità del sepolcro, e ci fa discendere per un dolce declivio (2).
Nota: (2) Perché nascono le spiche? diceva Epiteto; non è già per maturare ed essere mietute? Lo stesso è degli uomini.
261. D. Qual è la gioja verace nella vita? R. Quello che dalla morte si compie.
262. D. Che cosa è il sepolcro? R. Il conforto de’ miseri, la consolazione de’ giusti.
263. D. Che cosa fa l’opinione? R. Dispone di tutto: forma la bellezza, stabilisce la giustizia, assicura l’onore, procura la felicità, la quale è di tutti.
264. D. Che cosa ottiene chi ha bisogno di tutto? R. D'ordinario ottiene nulla., anche domandando qualche cosa (1).
Nota: (1) Callimaco in un suo Inno disse: «Gli Dei danno sempre poco a quelli che poca cosa possiedono». Ma il Du-Theil tradusse ben meglio questo passo, dicendo: Les Dieux à qui n’arien ne donneit jamais rien.
265. D. Che cosa non abbandona mai l’uomo? R. La speranza.
266. D. Che cosa produce la speranza? R. Senz'essere una fortuna rende l’uom felice (2).
Nota: (2) … il miser duole Dar facile credenza a quel che vuole. Ariosto, Orlando, canto I. Il negoziante P… viaggiando avea perduto con successivi infortunj tutto quanto si era guadagnato negli anni antecedenti, e ritornando in Italia portava con sé il rimanente della sua fortuna, ma egli perdette ancor quello a Smirne per l’infedeltà di un depositario. Il giovine R...che viaggiando pur trovavasi colà, corse a lui per consolarlo facendogli delle offerte, «Felicitatemi, rispose egli con ilarità, io non ho più niente a perdere, non debbo più dunque sperare che felicita».
267. D. Che cosa produce l’infortunio? R. Inalza e fortifica l'uomo, e lo rende compassionevole e generoso.
268. D. Che cos’è l’avversità? R. È la stagione della virtù (1).
Nota: (1) Il persiano Sadi disse: «nell'ebrietà della prosperità l’uomo scordasi di Dio ed oblia sé stesso, e l’Ente supremo non abbassa e non ferma i suoi sguardi che sopra l’infelice mortale, il quale soffre senza lagnarsi ». Ed il Corano (Sura LIV, § 27) dice: «non è nella calma o nella stagione dei venti favorevoli che si riconosce l’abilità del nocchiero; bisogna ch’egli sappia governare la sua nave fra le onde ammutinate e fra le tempeste».
269. D. Quando si giunge a conoscere il vero della natura? R. Dopo essersi lungo tempo ingannato.
270. D. A che è diretta la natura? R. Alla felicità d’ogni individuo senza relazione cogli altri.
271. D. Che cosa trovasi nella natura? R. Tutto il bene, ad eccezione delle creature, in cui tutto dovrebbe esser meglio.
272. D. Qual è il fine d’ogni umana miseria? R. La morte, a cui né letizia né affanno tengon dietro.
273. D. Ove concentrasi l’umana miseria? R. Nel cuore dell’infelice (1).
Nota: (1) L’animo dell’infelice, disse un Saggio moderno trattando sulla Sociabilità (tomo I pag. 110), è una specie di centro, ove si riuniscono in certo qual modo tutte le anime degli altri uomini per soffrire, finché egli soffre le sue grida, i suoi gemiti, le sue preghiere sono ordini ai quali tutti obediscono. Nessuno può cessar di soffrire ch’allorquando l’infelice che implora e senza dolore; in tal modo per mezzo della sensibilità egli ha un impero naturale sopra gli altri uomini. Questi uomini sensibili si allontanano talvolta, perché non hanno cuor capace a resistere alle, forti emozioni del dolore. Ma che non deesi al coraggioso benefattore, il quale va in cerca dell’infelice per consolarlo? Fortunato, e maggiormente fortunato colui il quale non avendo nulla a rimproverarsi, ha niente a rimproverare agli altri, e che nel totale abbandono può dire, ed anche provare, che un vero amico è la più cara cosa che vi sia.
274. D. Che cosa, abbisogna per essere realmente felice? R. La persuasione di esserlo in realtà.
275. D. Qual è la maggiore angustia? R. Il vivere fra il timore e la speranza.
276. D. Ove sta lo splendore del trono? R. Nella felicità dei popoli (1).
Nota: (1) In multitudine populi dignitas regis, et in paucitate plebis ignominia principisi. - Prov. XIV, 28.
277. D. Che cosa dee fare il saggio? R. Non avere più d’un amico; guardarsi dall'avere alcun nemico.
278. D. In che consiste la giustizia? R Nel dar premio ai buoni e castigo ai malfattori.
279. D. Che cos'ò un vizioso servitore? R. Un nemico domestico.
280. D. Che cos'è un giuocatore? R. Un ladro, che talvolta ruba senza temere d’essere appiccato.
281. D. Che cosa sa il letterato? R. Sa men di un nulla a paragon del mollo che ignora.
282. D. Che cos'è l’orgoglio? R. È la prima passione dell’uomo (2).
Nota: (2) L’orgoglio adorna il nostro soggiorno, inspira il genio inventore delle arti, dilata le idee e le magnifica; nobilita e sublima i principjj delle nostre azioni, e dapertutto s'affatica a purificare ed a perfezionare la nostra felicità.
283. D. Quali femine compianger si denno? R. Quelle che accoppiano virtù ed amore.
284. D. Come regolar si debbe il cuore? R. A norma del temperamento.
285. D. Che cosa facilmente perdono le donne? R. La bellezza.
286. D. In qual modo si può conoscere il vero? R. Collo studio, ma non colle dispute.
287. D. Che cosa fa chi soltanto fa pompa del dottorale anello? R. Palesa il suo poco cervello.
288. D. Cos'é colui che pretende saper molto? R. Non è un superbo, ma uno stolto.
289. D. Che cos'è la beneficenza? R. II primo fregio dell'uomo (1).
Nota: (1) … Oh di grand’alma Primo fregio ed onor, Beneficenza, Che al merto porgi ed a virtù la mano! Tu il ricco e il grande sopra il vulge inalzi, Ed al concilio degli Dei lo aggingi. Parini.
290. D. Quali sono le cose che non si ricuperano più? R. Il tempo passato, la parola proferita, la pietra tratta, l'onore perduto.
291. D. Quali sono le persone rare a trovarsi? R. Un vecchio che ami spendere, una femina che sappia tacere, un viaggiatore non parlatore.
292. D. Qual è l'uomo veramente felice? R. Colui che conosce se stesso; quello che sa quali sieno i suoi difetti.
293. D. In che la donna è superiore all’uomo? R. Nel carattere dolce, nell’animo pietoso, nella perspicacia delle facende domestiche.
294. D. Che cosa è una donna letterata? R. Una persona da non prendersi per moglie (1).
Nota: (1) Donna che sa di latino è rara cosa; Ma guardati dal prenderla in isposa. Cent. Piacent. I, 15.
295. D. Quando si dee disprezzare una bella donna? R. Quando unisce superbia ed affettazione.
296. D. Qual è il sommo bene? R. La scienza.
297. D. Qual è il più gran male? R. L'ignoranza.
298. D. Quali sono gli elementi di tutti i mali? R. Superbia, invidia, avarizia, ingratitudine, intemperanza.
299. D. In che consiste la scienza d'un Principe? R. Nel buon governo.
300. D. Di che sono schiavi gli uomini in impiego? R. Dello STato, dell'onore, della voce publica, degli affari che trattar debbono.
301. D. Chi fa operare le ingiustizie? R. I denari, le amicizie.
302. D. Chi vende la giustizia? R. Quegli che ha. comperata la magistratura.
303. D. Quando i figli acquistano poche virtù? R. Quando i padri hanno molte ricchezze.
304. D Quando la virtù è dannosa? R. Quando fa più audaci i malvagi (1).
Nota: (1) Icilio. E quando toppa Si reputò virtude? Virg. Allor ch’è vana: E a chi non l’ha non giova. Alfieri, Virginia, atto III, 2.
305. D. Qual è l'oggetto della natura. R. La perpetuità della specie.
306. D. Qual è il maggior bene delle specie? R. La loro esistenza e conservazione.
307. D. Qual è la maggior disgrazia? R. Quella di nascere.
308. D. Qual è la più grande felicità? R. Quella di morire (2).
Nota: (2) Due massime chinesi riportate dal viaggiatore Nieuhof nella sua Descrizione della China.
309. D. Qual è il più antico de’ vizj? R. L'orgoglio.
310. D. Qual è il vero nobile? R. Colui che disprezza le ricchezze, gli onori e la vita.
311. D. Quali sono le cose più gloriose per un Re? R. Dare la pace al suo secolo; procurare la tranquillità all’universo; rendere felici i suoi sudditi.
312. D. Qual è il più solido degli amici? R. Iddio; e dopo lui il denaro.
313. D. Qual è la prima di tutte le virtù? R. La gratitudine, mentre Iddio altro non domanda dagli uomini.
314. D. Qual è l’uom cattivo? R. Quello che detrae senza prove.
315. D. Qual è l’uom pessimo? R. Quello che calunnia senza farsi conoscere.
316. D. Qual è il miglior mobile di una casa? R. Onestà di donna.
317. D. In che la donna si rende inferiore all’uomo? R. Nel troppo parlare; nel pretendere di sapere; nel voler comandare.
318. D. A cosa è buono un infortunio? R. A provare gli amici; a rendere pura la virtù.
319. Quali sono i vizj che fanno l’uomo simile alle bestie? R. Collera ed ubriachezza.
320. D. Quali sono le prime cose che debbonsi imparare? R. A tacere; ad esser paziente; ad essere temperante.
321. D. Cosa deesi fuggire per essere virtuoso? R. L'amore in gioventù; le liti nella media età; la cupidigia del denaro in vecchiezza.
322. D. Cosa bisogna fare per esser saggiò? R. Non trasgredire le leggi di natura; onorare i grandi uomini; rispettare i detti della gente dabbene.
323. D. Cos’è la nostra vita? R. Un sogno passeggero (1).
Nota: (1) È un sogno passagger la nostra vita; E allor ché ci svegliamo, è già finita. Cent. Piacent. I, 29.
324. D. Qual è l’ultimo patrimonio dei vecchi? R. La loquacità.
325. D. In che consiste il miglior consiglio? R. Nell’ esperienza propria.
326. D. In che consiste la vera virtù? R. In una coscienza pura.
327. D. Quali debbon essere le principali virtù d’una femina? R. Dolcezza e compassione.
328. D. Quali sono le virtù che amansi nelle donne? R. Quello che nascono dalla sensibilità.
329. d. Chi fa nascere le virtù nelle femine? R. La vanità ed il timor del disonore.
330. D. Quali sono i doveri principali delle donne? R. Ubbidienza e fedeltà al marito.
331. D. che cosa trova chi prende moglie inconsideratamente? R. Sovente trova noje ed affanni (1).
Nota: (1) …Ahi quante volte Incauto amante a la sua lunga pena Cercò sollievo; ed invocar credendo Imene, ahi folle! invocò il Sonno; e questi Di fredda oblivion l’alma gli asperse, E d’invincibil noja e di torpente Indifferenza gli ricinse il core. Parini, Mezzogiorno.
332. D. Qual è il miglior pregio d'una donna? R. Modestia di volto e di portamento.
333. D. Qual è lo stimolo maggiore in una donna? R. Quello di comparir bella.
334. D. Qual è il desiderio maggiore nelle femine? R. Quello d'essere amate.
335. D. Qual è il primo diritto d'una donna? R. Quello d'amare.
336. D. Qual è la donna più dannosa: la vecchia, o la giovane? R. La vecchia (1).
Nota: (1) Il proverbio antico dice: La capra giovane mangia il sale, ma la veccia mangia il sale ed ance il sacco.
337. D. Chi è veramente pazzo? R. Chi getta via il suo.
338. D. Quali sono i maggiori beni? R. Sapienza e virtù (2).
Nota: (2) Omnia bona mea mecum porto, diceva Biante fuggendo quasi nudo dalla sua patria desolata dai nemici.
339. D. Qual e l’uomo più pregiato? R. Quello ch’è senza vizj.
340. D. Che cos’è il vizio? R. Il patrimonio dell’ozio.
341. D. Che cos’è l’uomo? R. È un giuoco della fortuna; un oggetto dell’incostanza; la preda del tempo; un inesto di vizj e di virtù.
342. D. che cos’è la parola? R. L’imagine dei fatti.
343. D. Che cosa sono i fatti? R. La figura dell’uomo.
344. D. Che cosa è il passato? R. È un nulla per chi vive.
345. D. Il presenta che cos’è? R. È un punto invisibile che fogge come il pensiero.
346. D. Che cosa è l’avvenire? R. È un trastullo della speranza.
347. D. Cos’è la vita dell’uomo? R. Un complesso di piaceri vani, e di disgusti reali.
348. D. Cos’è l’amor proprio? R. Il più terribile dei nostri nemici.
349. D. Che cos’è la fortuna? R. Una cieca, pazza e brutta.
350. D. Che cos'è la nobiltà? R. La temperanza dell’animo; la bellezza del corpo.
351. D. Che cos’è la bellezza? R. Un privilegio della natura; la cosa a tutti più grata; un detrimento dilettevole; un tacito inganno; una tirannia di breve momento.
352. D. Che cosa temer deesi in una donna? R. Vezzi, lusinghe e lacci. (1).
Nota: (1) Più che minacce e modi ingiuriosi Lusinghe io temo e vezzi e lacci ascosi. Salv. Rosa, Sat.
353. D. Qual è il desiderio di tutti? R. D’essere felici e fortunali.
354. D. Quali cose sembrano sempre belle? R. Le proprie azioni.
355. D. Qual compagna ha la virtù? R. Sovente la sventura.
356. D. Cosa maggiormente piace sulla terra? R. L’uomo virtuoso.
357. D. Che cos’è la gratitudine? R. È il frutto della benevolenza.
358. D. Che cos’è L’anima? R. La guida dell’uomo.
359. D. Che cos’è il mondo? R. Un moto perpetuo.
360. D. Che cos’è il tempo? R. Un torrente a cui nulla resiste.
361. D. Chi è il miglior avvocato? R. Sé stesso (1).
Nota: (1) Se tu sei savio, siati sempre a mente Questo precetto: di Non aspettare Che l’amico ti faccia od il parente Quel che tu stesso puoi dire o fare. Ennio.
362. D. Quali sono le figlie della superbia? R. Vanagloria, jattanza, pertinacia invidia.
363. D. La superbia da chi è sempre accompagnata? R. Dalla leggerezza, dall’arroganza, dall’ambizione, dall’avarizia, dalla simulata umiltà.
364. D. Quali sono te contentezze nel matrimonio? R. Concordia, fedeltà e prole.
365. D. Qual è il primo sentimento delle madri? R. Cura e tenerezza pei figli.
366. D. Il miglior decoro d’una famiglia qual è? R. Femina saggia (2).
Nota: (2) Mulier diligens corona est viro. — Prov. XII 4.
367. D. Quale la maggior rovina d'una casa? R. Donna scapestrala (1).
Nota: (1) Sapiens mulier aedificat domum suam; insipiens extructam quoque manibus destruet. — Prov. XIV, 1.
368. D. Qual è la miglior dote d'una figlia? R. Saviezza ed onestà.
369. D. Qual virtù è indispensabile nelle donne? R. Il pudore.
370. D. Qual è miglior tesoro che trovasi nascosto? R. Onestà di donna.
371. D. Che cosa nascere, vivere e morir debbe nelle donne? R. La sensibilità.
372. D. Qual è la cosa più rara? R. L'uomo senza difetti.
373. D. Qual è lo scudo migliore all'uomo? R. La liberalità.
374. D. Qual è la spada più pericolosa? R. La cupidigia del denaro.
375. D. Che cos’incontra l’umiltà? R. Onori e cortesie.
376. D. Che cosa trova la superbia? R. Disprezzi e villanie.
377. D. Quali cose debbonsi maggiormente desiderare? R. Eguali che ci amino; leggi che ci proteggano.
378. D. Come debbonsi regalare i Grandi? R. Né troppo, né poco (1).
Nota: (1) Se ai Grandi porgi poco, ne ricevi odio e perdi il dono; se porgi assai, non te ne rendon premio.
379. D. che cosa deesi fare per conservare la sanità? R. Fuggire l'ozio, l’intemperanza, i medici.
380. D. Che cosa guadagnano gli oziosi? R. Di presto attediarsi d’ogni cosa.
381. D. Che arriva all’intemperante? R. Con facilità si ammala, ben presto muore.
382. D. Che cosa facilmente s'impara? R. Ad essere vizioso.
383. D. Qual è la maggiore ingratitudine verso Iddio? R. L'indifferenza pe' suoi doni.
384. D. Che cos’è un adulatore? R. Una bestia domestica.
385. D. Un maldicente che cos'è? R. Una bestia feroce.
386. D. Che cos’è un ciarlone? R. Un tamburo fatto per istordirci.
387. D. Qual è il più gran periglio? R. Render male per male.
388. D. Qual si può dare miglior consiglio? R. Di render ben per male.
389. D. Quale spada maggiormente temer dee l'uomo? R. La lingua mordace.
390. D. Che cos’è il lavoro? R. Un obligo della necessità (1).
Nota: (1) … ben degna pena avete, O troppo ancor religiosi servi De la Necessitade, antiqua è vero Madre e donna dell’arti, or nondimeno Fatta cenciosa, e vile. Parini, Mattino.
391. D. Fin a quando son buone le regole generali? R. Finché non abbiano qualche eccezione.
392. D. Dove sono molti vizj? R. Ove sono molte leggi.
393. D. Ove sono molte malattie? R. Dove sono molti medici.
394. D. Ove sta la rettitudine? R. Nella volontà.
395. D. Ove abita la virtù? R. Fra rupi scoscese.
396. D. Ove e quando l’uomo grande è sempre negletto? R. Nelle republiche ed in tempo di pace.
397. D. Quand'è giusta l’ingratitudine? R. Quando serve di ricompensa ai servigi resi per vanità o per interesse.
398. D. Che cosa dee aspettarsi un vecchio? R. La morte (2).
Nota: (2) Perde il vecchio col tempo e non guadagna, La prim’aqua che vien, quella è che bagna, Cent. Piacent. II, 5.
399. D. Che cosa fa la concordia? R. Arricchisce anche i poveri.
400. D. Che cosa fa la discordia? R. Impoverisce i ricchi.
401. D. Che cosa è la vecchiezza? R. Un bene desiderabile; un male incurabile.
402. D. Quando si acquista l'esperienza? R. Quando si è vecchio.
403. D. Quand'onestà di donna è sicura? R. Quand'è poco ricercata.
404. D. Quando la donna dà utili avvisi? R. Allorché di bocca esconle improvisi.
405. D. Quand'è bella una moglie? R. Allorché è amabile col marito (1).
Nota: (1) L’insalata non è buona, né bella, Quand’ unita non è alla pimpinella. Prov. Triv.
406. D. Ove sono molte ciance e poche ragioni? R. Dove trovansi molte donne.
407. D. Qual cosa è più difficile in una femina? R. Tacere il segreto (2).
Nota: (2) Eximi a est virtus praestare silentia.
408. D. Che cosa non fece mai danno a donna? R. La sensibilità.
409. D. Che cosa soggioga il sesso? R. L’amor del piacere e del potere.
410. D. Perché rendesi amabile una donna? R. Per essere amata.
411. D. Perché rendonsi le donne pregevoli? R. Per essere ubbidite.
412. D. Che cos’è amore? R. Follia, ridicolaggine, stoltezza (1).
Nota: (1) Amor non è che un fanciullesco gioco; Chi l’apprezza di più è un gran dappoco. Ariosto.
413. D. Cosa deve aspettarsi chi va a nozze non invitato? R. Di tornar a casa digiuno e svergognato.
414. D. Che cos’è far benefizio? R. Imitare Iddio.
415. D. Qual è la miglior virtù in un Principe? R. La clemenza.
416. D. Che cos’è peggiore nei consigli? R. La celerità.
417. D. Che cosa si conosce nelle avversità? R. L’amicizia.
418. D. Che cosa non si dee mai fare per interesse? R. Il bene.
419. D. Che cosa far dee chi presta un servigio? R. Obliarlo.
420. D. Cosa far dee chi riceve un servigio? R. Ricordarselo per sempre.
421. D. Quali cose debbono soggiacere al publico bene? R. I privati interessi.
422. D. Qual è la perdita più irreparabile? R. Il tempo, l’onore.
423. D. Che cosa tardi si ottiene? R. Ciò che s'implora in comune.
424. D. Che cos’è un impiego nella persona d’un particolare? R. Lo sgabello del matrimonio.
425. D. che cosa fa agire? R. La promessa.
426. D. Quali cose fanno cessar d'agire? R. I doni.
427. D. Che cosa produce la gratitudine? R. II rispetto.
428. D. Qual cosa fa fascere l’ingratitudine? R. L’odio.
429. D. Che cosa fa il prodigo? R. Spende in un mese quanto dovrebbe in un anno (1).
Nota: (1) Se le rendite tue mangiò un sol mese, Chi ti farà in altri undici le spese? Cent. Piacent. V, 14.
430. D. Che cosa ricerca un arduo dubio? R. La prudenza.
431. D. A chi piace l’uom di schietta lingua? R. Agli uomini tutti ed a Dio.
432. D. Che cos’è facile in uom gentile? R. L’offerire.
433. D. Che cos’è facile ad un vigliacco? R. L’accettare, ed anche il chiedere.
434. D. Cos'è la somma giustizia? R. Vera crudeltà ed ingiustizia.
435. D. Che cos’è gran saviezza? R. Fare il pazzo tempo.
436. D. L’uom saggio quando temer dee? R. Quando giova temere.
437. D. Quando si dee aver coraggio? R. Quando ragion il vuole.
438. D. La vendetta contro chi grida? R. Contro chi opprime la vedova e l'orfano; contro chi defrauda la debita mercede; contro chi tradisce la patria, o l’amico.
439. D. Quali sono le cagioni di discordia in amore? R. Facilità nell’ascoltare; prontezza nel credere; rigidezza nell’esigere.
440. D. Qual è il più gran tormento in amore? R. Il veder felici gli altri (1).
Nota: (1) … non sai Il barbaro mairtr d’un vero amante: Che di quel ben che a lui sperar non lice, Invidia in altri il possessor felice. Metast. Demetrio, atto III.
441. D. Che cosa dee fare un vero amico? R. Nascondere i proprj difetti, e far vedere all’amico i suoi.
442. D. Che cos’è il nerbo di uno Stato? R. La ricchezza.
443. D. Che cosa producono le grandi ricchezze? R. Grandi cose.
444. D. Che cosa producono molti figliuoli? R. Infinite solecitudini?
445. D. Che cosa produce la lunga vita? R. Mali di lunga durata.
446. D. Perché oziosi sono i mendichi? R. Perché sono fisicamente impotenti a sollevarsi dalla depressione; perché, ovunque si volgano, vedono spenta ogni speranza di risorgimento.
447. D. Perché si paga maggiormente un dottor di leggi, che un dottor di filosofia? R. Perché da molti si fa più conto delle sostanze che della virtù; perché à maggior danno perdere una lite, che restar vinto in una disputa
448. D. Perché si dà maggior salario ad un avvocato che ad un medico? R. Perché gli uomini abborriscono più la povertà che le malatie.
449. D. Come s’incontra la fortuna? R. Vegliando ed operando.
450. D. Qual è l'uomo il più saggio? R. Quello che non si lascia vincere d’amore (1).
Nota: (1) Io non mi affanno, non mi querelo; Giammai tiranno non chiamo il Cielo: Dunque il mio core d’amor non pena, O pur l’amore non è martir. Metast. Aless., atto I.
451. D. Che cos'è l’amor proprio? R. Ciò che ci acceca; ciò che ci induce al male.
452. D. Qual è l’artigiano ricco? R. Quegli che in fin d'anno avanza qual che soldo.
453. D. Che cosa dee fare chi vuol prender moglie? R. Pensarci bene.
454. D. Chi guarisce natura? R. Il debole ammalato.
455. D. Chi ammazza il medico? R. L'uomo forte e sano.
456. D. Cos'è omogeneo e vitale all’uomo? R. Il calore.
457. D. Qual è la cosa più tormentosa e micidiale? R. Il freddo.
458. D. Che cosa fa la gola? R. Talvolta fa cessare il desiderio di mangiare (1).
Nota: (1) A molti abbrevia i giorni la cucina, A molti il troppo amor per la cantina. Ariosto.
459. D. Chi dee temer la morte? R. Il vizioso.
460. D. Qual è il più bell’animale del mondo? R. L’uom di virtù ornato.
461. D. Chi muore più presto degli altri? R. Quegli che visse lungo tempo, ma operò poco.
462. D. Chi è che opera bene? R. Colui che pensa bene.
463. D. Chi dee pel primo seguir la legge? R. Colui che la cita.
464. D. Chi dee chieder perdono? R. Colui che ha delitti.
465. D. Chi è l’uom probo? R. Il compassionevole e liberale.
466. D. Chi a torto dee lagnarsi del mare? R. Colui che, essendo stato una volta per annegare, si spone per la seconda volta a navigare.
467. D. Chi è ancor giovine quando muore? R. Anche un uomo di ottant’anni.
468. D. Chi è già vecchio per morire? R. Anche un fanciullo di quattro anni.
469. D. Che cos’è il popolo? R. Una massa indocile e tumultuosa (1).
Nota: (1) Il popol dapertutto è intollerante, Tumultuoso, indocile ed incostante. Cent. Piacent. I, 50.
470. D. Perché s’adora Iddio sulla terra? R. Perché è placabile.
471. D. Che cosa fa l’uom saggio? R. S’accomoda ai voleri altrui.
472. D. Che cosa dice il profeta? R. Ciò che non è, ma che sarà.
473. D. Che cosa canta il poeta? R. Ciò che non fu e non è.
474. D. Chi è quello che sempre ha paura? R. Il timore.
475. D. Da chi talvolta è ucciso un prepotente? R. Da un poltrone.
476. D. Cosa fa il nobile nato tra villani? R. Ritiene sempre modi rozzi ed inurbani.
477. D. Cosa avviene a chi s’aggrava di troppo peso? R. Cade spallato a metà strada.
478. D. Cosa accade al cieco che conduce altro cieco? R. Ambi cadono nella stessa buca.
479. D. Come si dee giudicare di un fatto? R. A norma delle circostanze (1).
Nota: (1) Talvolta un fatto qualunque è un delitto e talvolta un atto d’eroismo. Catilina non è stato che un vile cospiratore, ma sarebbe stato il benefattore di Roma se, come Cesare, avesse potuto stabilire un impero.
480. D. Da chi è nascosta la malignità? R. Dall’ipocrisia.
481. D. Da chi vien nascosto il vero merito? R. Dalla modestia.
482. D. D’onde provengono i vizj nelle donne? R. Dalla sensibilità.
483. D. Cosa deesi maggiormente sperare in una donna? R. Che riami quand’è amata (2).
Nota: (2)…  chi dispera D’una beltà severa Che da’ teneri assalti il cor difende, De’ misteri d’amor poco s’intende. Metast. Antig., atto II.
484. D. Chi maggiormente si ricorda del bene goduto? R. Colui che per sua colpa l’ha perduto.
485. D. Qual è il maggior dei rimorsi? R; Quello d’opprimere i suoi simili.
486. D. A che giova la filosofia? R. A fare liberamente ciò che il timor delle leggi obliga d’osservare.
487. D. Che cosa disdice ad una buona nascita? R. Una pessima educazione.
488. D. Che cos'è la franchezza in un uomo? R. Un debol compenso alla mancanza di scienza.
489. D. A chi si presta poca fede? R. Ai miseri.
490. D. Chi è che ha molti parenti? R. Il ricco (1).
Nota: (1) Felicium multi cognati.
491. D. Chi è che ha sempre ragione? R. Il ricco. (2).
Nota: (2) Si dice trivialmente: Il ricco può pisciar in letto e dire che ha sudato.
492. D. Chi soffre disgustosi confronti? R. Il povero dal ricco.
493. D. Chi è sovente il più credulo? R. Il misero (3).
Nota: (3) Si miser erit, sortes ducet. Juven. Sat. VI.
494. D. Chi è il vero ricco? R. Colui che spende il denaro, e ne fa buon uso.
495. D. Chi è il povero? R. Anche chi ha molt'oro, ma lo tien chiuso.
496. D. Quali sono i diversi folli in cui cade il cortigiano? R. I. Se il Principe parla senz'indirizzargli la parola, e che il cortigiano gli risponda: ciò chiamasi precipitazione. II. Se il Principe gl’indirizza la parola, ed il cortigiano non gli risponda: ciò è una imbecille taciturnità. III. Se il cortigiano parla al Principe senza osservare il di lui volto: e ciò è una cieca imprudenza.
497. D. Che cosa non deesi fare, né tentar di fare? R. Ciò ch'è impossibile.
498. D. Che cosa dee far ciascuno? R. Ciò che si può fare.
499. D. che cosa dee fare chi non ha grande ingegno? R. Lasciar lo studio ed imparare un mestiere.
500. D. Fra i letterati chi è il più pazzo? R. Colui che vuol farsi credere poeta, e non lo sia (1).
Nota: (1) Je conviens avec vous, Que tous Ies poetes sont fous, Mais, comme poète vous n'etes, Tous les fous ne sont poetes.
501. D. A chi assomigliano i falsi amici? R. Alle monete false, le quali hanno il lucido, ma poco valore.
502. D. Chi è che non muore mai? R. La virtù.
503. D. Che cosa non è utile all’uomo? R. Aver memoria de’ ricevuti torti.
504. D. Come si oltraggia un merito distinto? R. Lodandolo a mezza bocca.
505. D. Che cosa trova chi cerca il meglio? R. Sovente trova il peggio.
506. D. Chi sono quelli che credonsi dotti? R. Ognun nel suo mestiere (1).
Nota: (1) Non v’ha pittor per quanto sia meschino Che non si creda un Raffael d’Urbino. Cent. Piacent. II, 30.
507. D. Che cosa pensa il malvagio? R. Pensa che tutti operano male.
508. D. Che cos’è colui che credesi faceto e spiritoso? R. È un insipido ed un nojoso.
509. D. Da chi non debbonsi accettar consigli? R. Da chi educar non seppe i proprj figli.
510. D. Che cosa è riaro in un bugiardo? R. Il sentirlo dire la verità.
511. D. Qual è la cosa che non più si trova? R. La buona fama perduta.
512. Chi è colui che maggiormente s’inganna? R. Colui che lascia la via vecchia per la nuova.
513. D. Qual uomo si dee fuggire? R. Quello che ha voce feminile.
514. D. Qual femina si dee temere? R. Quella che ha voce maschile.
515. D. Qual cosa è più insoffribile in donna vecchia? R. Che s'imbianchi e si dipinga il volto (1).
Nota: (1) Cosi se squaglia il sol biacca e cinabro Onde si pingón le fattizie belle, Il senil volto appar pallido e scabro, la floscia gota e la grinzosa pelle, E la femina allor, cangiata tutta, Di bella che parea, diventa brutta. Casti, Anim. parl. X, 91.
516. D. Come debbonsi procurar le lodi? R. Col mezzo delle virtuose azioni.
517. D. Chi è che trae il dotto fuor di via? R. La superbia, ma non mai la filosofia.
518. D. Perché la giustizia ha nelle mani bilancia e spada? R. Perché il giusto s'inalzi, e l’empio cada.
519. D. Chi rompe il collo alla Giustizia? R. Il denaro e l’amicizia.
520. D. Chi è veramente degno di regnare? R. Colui che non è proclive al punire ma al premiare.
521. D. A chi tocca il governare gli altri? R. A chi ha maggior prudenza.
522. D. A chi tocca pregar per gli altri? R. All’uom dabbene.
523. D. Che dosa fa un prudente medico? R. Osserva, scrive a tempo, ed ordina poco.
524. D. A chi dee cedere il medico? R. All’esperienza.
525. D. Di un’eresia chi è il primo autore? R. Chi moto e cagion diede al primo errore.
526. D. Qual è' il più gran piacere fra due che si amano? R. II rivedersi dopo lunga assenza (1).
Nota: (1) Sol può dir che sia contento Chi pené gran tempo invane, Dal suo ben chi fu lontano, E Io torna a riveder. Si fan dolci in quel momento E le lagrime e i sospiri: Le memorie de’ martiri Si convertono in piacer. Metast, Attilio Reg., atto I.
527. D. Chi la vince in amore? R. Colui che persevera.
528. D. Per chi l’avaro accumula denari? R. Nol sa egli stesso.
529. D. Ove non è buono il litigare? R. Ove il guadagno va tutto in ispese.
530. D. Cosa debbon cercare due amici? R. Non perfezione, ma di scambievole mente soffrirsi nei difetti.
531. D. Che cos’è colui che dicesi piena di scienza? R. Degli altri è più ignorante.
532. D. Che cos’è quello ch'è veramente dotto? R. È un ignorante alquanto meno degli altri.
533. D. Chi è che tien soggetto il mondo? R. Il ferro e l’oro.
534. D. Chi rende bello il mondo? R. L’amore e l’amicizia.
535. D. Da chi è abitato il mondo? R. Da una grande società.
536. D. Che cos'è un popolo? R. Un individuo della grande società.
537. d. Che cos’è una guerra? R. Un duello fra due individui popoli.
538. D. Quali cose necessitano per fare la guerra con vantaggio? R. Tre cose: denaro, denaro, e poi denaro.
539. D. Da chi è sempre accompagnata la guerra? R. Dalla carestia; dalle malatie; dalla spopolazione.
540. D. Quali sono i principali nemici in amore? R. Infedeltà ed alterigia (1).
Nota: (1) Se l'orgoglioso Trovar bramate, Dov’è riposo Non lo cercate, Né dove alberga La fedeltà. In qualche petto Nido d'inganni, In qualche core Pieno d’affanni Quel traditore S'asconderà. Metast. Asilo d'amore.
541. D. Qual è la maggiore angustia in un uomo? R. Vivere fra il timore e la speranza.
542. D. In qual modo si accumulami i tesori? R. Coll’industria.
543. D. Per far lene una cosa che abbisogna? R. Lentezza ed attenzione.
544. D. Che cosa fa la troppa fretta? R. Fa che si perde il tempo inutilmente.
545. D. Qual cosa è la più difficile? R. Nuotare contr’aqua.
546. D. Come si resiste ad un mal soffribile? R. Colla forza d'animo.
547. D. In qual modo si guarisce un mal insoffribile? R. Colla morte.
548. D. Cosa si dee credere a chi facilmente piange o ride? R. Niente.
549. D. A chi è necessario dire il vero? R. Al medico ed al confessore (1).
Nota: (1) Chi ha del male gli bisogna A qualcuno palesarlo, E non dir giammai menzogna Altrimenti come il tarlo Ti consuma e rode o guasta, E non puossi alfin curarlo. Ariosto, Sat.
550. D. Che cosa annunzian dorso curvo e bianco crine? R. Annunzian vicino il fine.
551. D. Qual è il miglior omaggio che si rende a Dio? R. Travagliando.
552. D. Che cosa abbisogna per acquistar le scienze? R. Consumare più olio che vino.
553. D. Quali sono le funzioni dell’avvocato? R. Difendere l’ignoranza; perseguitare il delitto; lodare la virtù; biasimare il vizio,
554. D. Come un uomo può farsi erudito? R. Anche con pochi libri.
555. D. Chi può essere uno scimunito? R. Anche chi abbia una vasta e copiosa biblioteca.
556. D. Che cosa può far la fortuna? R. Può far un ricco, ma non un dotto.
557. D. Che cosa fa una cattiva educazione? R. Fa diventar cattivo chi è d'indole buona.
558. D. A chi non deesi confidare un'amministrazione? R. A chi dissipò il suo patrimonio.
559. D. Chi sono coloro che non conoscono i poveri? R. I ricchi ed i fortunati (1).
Nota: (1) L’uom ricco i guai del povero non vede. Né ventre pieno a vuota pancia crede. Salv. Rosa.
560. D. Quali sono i diritti naturali all’uomo? R. Libertà, indipendenza, eguaglianza.
561. D. Quali sono i diritti avventizj dell’uomo? R. Possesso, proprietà, autorità.
562. D. Come acquistasi qualche diritto? R. Coll’occupazione, col lavoro, colla convenzione o contratto.
563. D. Da quali cose l’uomo si fa conoscere? R. Dal mangiare, dal bevere, dal parlare, dal vestire.
564. D. Che cosa trovasi nel mondo? R. L'ineguaglianza (2).
Nota: (2) Tutto inegual sarà sempre nel mondo, Perché tal uomo è quadro e tal rotondo. Cent. Piacent. II, 44.
565. D. Cosa costa meno al pazzo? R. II fare interrogazioni.
566. D. Cosa è più d'imbarazzo al saggio? R. Il rispondere ad un pazzo.
567. D. Che cosa fa un grave dolore? R. Ammutolisce il cuore.
568. D. Che cosa produce un lieve affanno? R. Lascia libero il pianto.
569. D. Quando non sono di troppo i figli? R. Quando sono buoni.
570. D. Quand’è di troppo un sol figliuolo? R. Quando si abbandona al vizio.
571. D. A chi nuoce la presunzione? R. A chi ambisce d'avanzarsi.
572. D. Qual cosa più pronta ottiensi da un magistrato? R. La negativa.
573. D. Cosa giova all’uomo più che l’ingegno? R. Giudizio e prudenza.
574. D. A chi appartiene d’instruire l'uomo? R. All’esperienza.
575. D. Cosa acquistò un giovane che imparò un'arte. R. Di certo patrimonio ha già una parte.
576. D. Chi è il più gran pazzo? R. L'innamorato (1).
Nota: (1) Chi vive amante, sai che delira; Spesso si lagna, sempre sospira. Né d’altro parla che di morir. Metast. Aless., atto I.
577. D. Che cosa fa la lontananza in amore? R. Salda ogni gran piaga.
578. D. Cosa produce la vicinanza in amore? R. Troppo scalda ed abbrucia.
579. D. Qual è il segno più fatale per l’ammalato? R. Quando non sente il male.
580. D. Perché fa d’uopo la medicina? R. Per liberar l’uomo dalle malattie.
581. D. Quali sono le migliori medicine? R. Dieta, riposo, aqua (1).
Nota: (1) L'aqua sopra tutto è un rimedio universale a tutti i mali, ed i Fiorentini dicono: Aqua fresca e serviziale guariscono' ogni male.
582. D. Che cosa palesa chi si risente per lieve offesa? R. Molta superbia e molto amor proprio.
583. D. Cos’è il mare per un navigatore? R. Una sepoltura aperta.
584. D. A chi le fatiche sembrano leggieri? R. A chi travaglia volentieri.
585. D. Che cosa cerca e trova il giovine io amore? R. Cerca rose, ma trova spine.
586. D. Chi è il vero incostante? R. Ognuno che daddovero non ama (2).
Nota: (2) Delira dubiosa, Incerta vaneggia Ogn'alma che ondeggia Fra’ moti del cor. Metast, Sogno di Scipione.
587. D. Perché talun non trova donna che gli piacia? R. Perché non trova donna a cui piacia.
588. D. Chi è quello che non desidera l'altrui? R. Quegli che ama godere in pace il poco e il suo.
589. D. Che cosa dee fare l’uom saggio? R. Non ricordarsi del bea fatto, né del ricevuto oltraggio.
590. D. Qual è il maggior beneficio? R. Quello che prevenne la domanda.
591. d. Cosa conceder si dee all’ignoranza? R. L'impunità.
592. D. Cosa deesi concedere alla superbia? R. Verun perdono.
593. D. Quali cose presto si scemano? R. Beltà e ricchezza (1).
Nota: (1) Divitiarum et formae gloria flux atque fragilis est; Virtus clara aeternaque habetur. Horat.
594. D. Qual è la via piò lunga ed intralciata? R. Quella dei precetti.
595. D. Qual è la via più breve e piana? R. Quella degli esempi.
596. D. L'uomo pio come comincia il giorno? R. Con preci dirette a Dio.
597. D. Che cosa fanno la cieca presunzione e il folle orgoglio? R. Urtano ad ogni passo in qualche scoglio.
598. D. Che cosa fa l’opulenza? R. Lascia ai poveri lo studio e la scienza.
599. D. Che cosa ha trovato chi molto ha viaggiato? R. Che tutto il mondo è un sol paese.
600. D. Qual male fa l’intemperanza? R. Uccide più persone che la spada ed il cannone.
601. D. Qual è il sesso che vinca in commettere delitti? R. II donnesco, più debole, ma più perverso se giunge a spogliarsi della naturale umanità (1).
Nota: (1) In criminibus vincit muliebris sexus, quanto debilior, tanto, si natura insitam humanitatem exuit, flagitiosior. – Tacit. Ann.
602. D. Qual è la cosa la più pericolosa in un Re? R. Stabilire una legge e non osservarla.
603. D. Chi osserva le leggi? R. Colui che fa quanto è in suo potere di fare.
604. D. Che cos'è la pena? R. Il garante della legge.
605. D. Che cos'è una nuova legge? R. Un invito a trovar l’inganno per frodarla (2).
Nota: (2) Jeri si publicò ina legge nova; L’inganno per frodarla oggi non si trova. Cent. Piacent. II, 73.
606. D. Dell'eloquenza dell’oro qual è la forza? R. Di ragione il vero lume ammorza.
607. D. Di chi la nobiltà non è proprio pregio? R. Di chi ogni giorno le fa vergogna e sfregio.
608. D. L'artefice quando ascolta con piacere? R. Quando gli si parla del suo mestiere.
609. D. Quando il Ciel vendetta chiede? R. Quando all’operajo si nega mercede.
610. D. A chi debbonsi dice poche parole? R. Al buon intenditore; a chi capir non vuole.
611. D. Che cosa accade al vecchio che vuol ringiovanire? R. Ritorna a rimbambire.
612. D. Qual è la maggior pazzia? R. Sprezzare quel che giova; abbandonare la miglior strada.
613. D. Ove non può fermarsi l’ipocrisia? R. Sull’uomo ch’è cattivo in pensieri, parole ed opere.
614. D. Alcuni delitti come, punir si denno? R. Più col disprezzo che colle pene.
615. D. Qual è l’artefice perfetto? R. Chi a fare un mestier solo si è ristretto.
616. D. Da dove proviene l’infamia? R. Dal solo delitto.
617. D. che cosa accade a chi vuol sempre parlare? R. Si sfiata; fa rider tutti; non è ascoltato.
618. D. A che è buono chi non fa che progetti? R. È buono a far nulla (1).
Nota: (1) Dall’idear diverso è l’eseguire, Com’altra cosa è il fare ed altra il dire. Cent. Piacent. II, 36.
619. D. Qual è la miglior prova del buon gusto, quando si manca d’ingegno? R. È appunto quella di non comporre.
620. D. In qual modo si conserva la concordia fra marito e moglie? R. Con la pudicizia; col secondare i reciproci genj; col non ricercare i fatti dell’altro; col chiudere gli occhi ai piccoli difetti (2).
Nota: (2) Con questi principi, o piuttosto con queste arti, Livia Drusilla seppe dominar così bene per cinquant’anni Ottaviano Augusto, che divenne padrona del padrone del mondo, il quale non avea potuto convivere assieme colle precedenti due mogli Clodia e Scribonia che successivamente avea ripudiate.
621. D. Qual è il vero fondamento della morale? R. La religione.
622. D. Qual è la più nobile fra le creature? R. Quella che ha più doveri.
623. D. Di quante specie sono i doveri del l’uomo? R. Di rre: verso Dio, verso sé medesimo, e verso i suoi simili.
624. D. Di che è composto l’uomo? R. D'una sostanza spirituale, che è l’anima; e d’una materiale, che è il corpo.
625. D. Quali sono le principali facoltà dell’anima? R. Intelletto, con cui s'impara a giudicare ed a ragionare; memoria, colla quale ci ricordiamo del passato; volontà, che ci determina a fare o non fare cosa alcuna.
626. D. Quali sono i mali dell’anima? R. Ignoranza, orgoglio, passioni disordinate.
627. D. Quali sono i difetti dell’anima? R. Agitazione di spirito, squilibrio d'umori, volubilità di cuore, mutabilità di contegno.
628. D. Quando le passioni sono buone? R. Allorché ci portano ad amare il vero bene.
629. D. Quando il bene è veramente bene? R. Quand’è conforme ai nostri doveri.
630. D. Che cosa fanno Ie passioni mal regolate? R. Pregiudicano noi stessi, e fan danno ai nostri simili.
631. D. Cosa dee fare l’uomo prudente? R. Conformarsi ai tempi (1).
Nota: (1) Ai tempi l’uom prudente si conforma Né in tutti i casi tien la stessa norma. Cent. Piacent. Il, 62.
632. D. Cos'è il timore? R. È quell’afflizione che risguarda un male che non si ha.
633. D. Cos'è l'invidia? R. Una passione delle più abbominevoli.
634. D. In che consiste la felicità di questa vita? R. Nell'avere un cuore tranquillo e contento.
635. D. Qual è la base della felicità? R. II sapere unito alla salute.
636. D. Che cos'è l'ozio? R. II padre dei vizj; lo sprone della morte (2).
Nota: (2) Stimulus mortis peccatum.
637. D. Che cosa ottiene l'uomo ozioso? R. Finisce coll'annojarsi.
638. D. Che cos'è il pensiero? R. Un'operazione dell'anima sulle proprie idee.
639. D. Qual cosa è necessaria per essere da più degli altri? R. L'avere maggior sapere e maggior virtù.
640. D. Qual cosa è la più fallace? R. Il giudicar del futuro.
641. D. Cosa è la sapienza? R. La vera imagine di Dio (1).
Nota: (1) Candor est enim lucis aeternae et speculum sine macula Dei majestatis, et imago bonittis illius. — Sapient. VII, 26.
642. D. Cos’è la mente? R. È il Dio dell’uomo, come Iddio è la mente dell’universo.
643. D. Quale debb'essere il principal fondamento della morale? R. Il conoscere sé stesso (2).
Nota: (2) Nosce te ipsum.
644. D. Qual cosa basta per persuadere uno sciocco? R. Fargli vedere una cosa simile al vero.
645. D. Ove sta la ragione fra le persone rozze? R. Nell’autorità altrui.
646. D. Quando è più robusta la fantasia? R. Allorch’è più debole il raziocinio.
647. D. Che cos'è colui che fa versi? R. Un verseggiatore, e nulla più (3).
Nota: (3) Chi fa soltanto dei versi non è un poeta, nome usurpato da molti, meritato da pochi, i quali ebbero mente quasi divina e lingua da risonar cose grandi.
648. D. Quale debb'essere l’elogio d’un letterato? R. L'enumerazione de' suoi travagli per illuminare gl’ignoranti.
649. D. Come l'uomo deesi nutrire? R. Più di sostanze che di desideri
650. D. Che cosa trova l’intemperante? R. Sovente passa dal dolce de' bicchieri all’amaro delle ampolle.
651. D. Ove andar si dee con cautela? R. Ai convitti ed ai’ balli.
652. D. Quali cose non debbonsi sprezzare? R. I falsi onori, perché avviliscono; gl’ingiusti biasimi, perché inalzano.
653. D. Che cosa dee aspettarsi un uomo? R. Un’alternativa di vicende (1).
Nota: (1) Corre un pezzo la lepre, un pezzo il cane, E così alternan le vicende umane. Cent. Piacent. II, 88.
654. D. Cos’è la fantasia? R. Altro non è che un risalto di reminiscenze.
655. D. Che cos’è l’ingegno? R. Altro non è che lavoro d inforno a cose che si ricordano.
656. D. A chi spettano i talenti ed il merito? R. Sono proprj tanto alle donne quanto agli uomini.
657. D. Qual è il frutto d’un gran talento? R. Eminente virtù, e talvolta pessima qualità.
658. D. Ove trovansi tutte le virtù? R. Nel seno della prudenza.
659. D. A che serve la prudenza? R. A moderare il temperamento.
660. D. Chi è l'uomo veramente felice? R. L'uom giudizioso; l'uom prudente (1).
Nota: (1) Principium sapientiae posside sapientiam, et in omni possessioe tua acquire prudentiam. – Prov. IV, 7.
661. D. Quali amici debbonsi conservare? R. Coloro che fanno più che non dicono, e quelli che vorrebbero più che non possono.
662. D. In qual modo contar si denno gli anni? R. Non col tempo, ma coi meriti.
663. D. Come difender debbesi dalle calunnie? R. Parlando con eloquenza, operando con / innocenza.
664. D. Chi è veramente felice? R. Chi ha molti amici, e maggiormente chi non ne ha bisogno.
665. D. Quali cose si debbono imparare? R. A volere ciò che importa; a sapere quel che conviene.
666. In che consiste la proprietà dell’ingegno? R. Nel ritrovar le cose, e non nel giudicarle (2).
Nota: (2) Conosci prima le cose, e poi giudica di esse. – Precetto triviale.
667. D. Come si compera la fortuna? R. Colla grazia e col merito.
668. D. Cos’è la gloria? R. Un’ombra vana per chi non la merita.
669. D. Quanto sa il dotto? R. Nulla a paragon del molto che ignora.
670. D. Cosa più giova nei grandi perigli? R. Lenta prudenza più che un fervido consiglio.
671. D. Qual debb’essere l’oggetto de' nostri pensieri? R. Tutto quanto è lodevole e virtuoso.
672. D. Quali sono le cose lodevoli? R. Tutte quelle che sono utili al publico.
673. D. Qual bene gode il tiranno? R. S'annoja di tutto, anche ne' proprj piaceri (1).
Nota: (1) Chè guerra e fame e peste e forca e boja Può diventar un po’, ma alfine annoja. Casti, Anim. Oarl. XXIII, 25.
674. D. Come si conosce l’altrui merito? R. Colla propria umiltà.
675. D. Come si può trar in lungo la vita? R. Col ben vivere.
676. D. Che cosa temer si dee dalle femine? R. Pericoli amabili; esempi terribili.
677. D. Quali cose mantener si debbono? R. Buon credito; buoni amici.
678. D. Da chi non si dee troppo sperare? R. Da pianta di troppe frondi; da uomo di molte parole.
679. D. Quando non si dee mai entrar in gare? R. Né con chi più sa, né con chi più può.
680. D. Quando fuggir deesi chi presume di molto sapere? R. Allorché si ha virtù per guida (1).
Nota: (1) S’hai la virtù, s’hai la ragion per guida, Sprezza dell’impostor l’odio e le grida. Casti. Anim parl. XV. 98.
681. D. In che consiste la superbia? R. Nel non stimare gli altri,
682. D. Qual è il maggior peso pel ricco? R. La noja.
683. D. In che dee consistere la felicità del ricco? R. Nel bene che fa ad altri.
684. D. Come si può viver felice? R. Moderando i proprj desiderj.
685. D. Che cosa maggiormente si brama? R. Ciò che maggiormente difficile ad ottenersi.
686. D. Chi è il vero ricco? R. Chi sa spendere il danaro, non chi lo tien chiuso.
687. D. Da chi dee guardarsi il giudice? R. Dalla pietà vestita di passione; dall'umanità spogliata di legge.
688. D. Come si dee parlare ai grandi? R. Da spiritoso senz'arroganza; da umile senz'abbiezione.
689. D. Con chi non debbesi scherzare? R. Né col superiore, né coll’inferiore, né con chi porta difetti, né con chi porta collera.
690. D. Chi fa perdere la ragione all’uomo? R. La donna, il vino, il danaro (1).
Nota: (1) L’eloquenza dell’oro ha una tal forza, Che di ragione sempre il lume ammorza. Ariosto, Satire.
691. D. Come si perdono gli amici? R. Talvolta nella loro più gran fortuna sovente nelle nostre maggiori avversità.
692. D. Come si acquistano gli amici? R. Non coll’oro, ma colle buone maniere.
693. D. Cos’è necessario alla felicità della vita? R. Sanità, e tranquillità di spirito.
694. D. Cos’è la vita? R. Un compendio di mali, bench’ella sia breve (2).
Nota: (2) Homo natus de muliere, brevi vivens tempore, repletur multis miseriis. – Job XIV, 1.
695. D. Da chi dipende la felicità della vita? R. Dal modo di servirsene.
696. D. Come si misura la vita? R. Dalle opere, non dai giorni.
697. D. Che cos’è il mondo? R. Una bottega di trastulli, ai quali ognuno corre dietro; un paese d'apparizioni che presto svaniscono; un teatro che cangia ad ogni momento di scena, di decorazioni e d'attori.
698. D. Come si dee vivere nel mondo? R. Cercando di far bene a sé col non far male agli altri.
699. D. Come opera il saggio mercante? R. Fa vendile onorevoli, prezzi ragionevoli, spese bisognevoli.
700. D. Quali sono i rimedj contro l’amore? R. La fame, il tempo.
701. D. Ove si dee prendere la verità? R. Ove la si trova, ed ove la si crede.
702. D. Come comportar debbesi nel sapere? R. Fra la talpa e l’aquila.
703. D. Con chi a preferenza trattar si dee? R. Più coi deboli che coi forti (1).
Nota: (1) Meglio, trattar coi deboli si suole; Per lo più se ne fa quel che si vuole. Casti, Le Pecore, 88.
704. D. A che servono talvolta i rimproveri? R. A rendere spregevoli coloro che li fanno.
705. D. Qual è l’uomo maggiormente infelice? R. Quello che desidera la morte, e più ancora colui che ha maggior ragione di temerla.
706. D. Qual è la più terribile situazion d'un uomo? R. Quella di temere la morte, e quella d’essere stanco di vivere.
707. D. Qual cosa maggiormente si oppone a grandi imprese? R. Il troppo desio di vivere.
708. D. Quando mai il viver lungamente non è un bene? R. Quando il vivere non è sostenuto da buona fama (1).
Nota: (1) … i vili, Cui non scaldò di bella gloria il foco Vivendo lunga età, vissero poco. Metast. Ezio, atto III.
709. D. Per chi si dee vivere? R. II suddito per la patria, il principe pei sudditi.
710. D. Quali sono le più luminose azioni dei principi? R. Usar giustizia, fortezza e magnanimità.
711. D. Perché si fa la guerra dai principi? R. Affinché i popoli vivano sicuri in pace.
712. D. Qual fine ha la guerra? R. La pace; e nella pace consiste il bene de’ popoli.
713. D. Come deesi corteggiare il principe? R. Più coll’ubbidienza che cogli encomj.
714. D. Da chi deesi star lontano nelle Corti? R. Dal vizio che punge, e dal male che macera.
715. D. Che cosa sono d'ordinario i cortigiani? R. Una turba di mendicanti ben vestiti.
716. D. Qual catena più piace al prigioniere? R. Nessuna (1).
Nota: (1) Al prigioniero danno egual martoro I ceppi, sien di ferro, o pur sien d’oro. Cent. Piacent. III, 17.
717. D. Chi si ama maggiormente?) R. Coloro che ci ammirano.
718. D. Ove regna maggiormente l’amore? R. Nell'amore stesso.
719. D. A che può condurre l’amore? R. A grandi cose, s’è ben diretto.
720. D. A chi è sottoposto l’amore? R. A tutte le pene, anche all’ambizione.
721. D. Cos’è l’ambizione? R. La regina delle passioni (2).
Nota: (2) Così color, che fur nemici pria, Interesse comun lega e congiunge; Ciascun la sua privata offesa oblìa Per soddisfar l’ambizion che il punge; Chè se in un core ambizion s’alloga, Ogni altra passion vince e soggioga. Casti, Anim. Parl. X, 54.
722. D. Chi può resistere alle passioni? R L'uomo veramente forte.
723. D. Chi è l’uomo forte? R. Quegli ch’è di necessità operante.
724. D. Qual è la professione maggiormente adottata? R. Quella di far il medico (1).
Nota: (1) II Ghinella, buffone del duca di Ferrara, ben provò quest’asserzione allo stesso Duca suo padrone, passando per l’anticamera con una benda alla testa, fingendosi ammalato; tutti i cortigiani che lo videro non mancarono di dargli qualche consiglio, o di prescrivergli qualche ricetta.
725. D. Come e quando si dee viaggiare? R. Per curiosità sui libri, per necessità sulle strade.
726. D. Come debbesi accostare alle osterie? R. Non come nazionale ma come passaggero.
727. D. Come l’uomo debb’esser ripreso? R. Il furioso con dolcezza; il pigro con calore.
728. D. Chi non debbesi irritare? R. Né furia ricca, né fame povera.
729. D. Chi si dee preferire per amico? R. Più il povero già ricco; che il ricco povero.
730. D. Come si debono sentire le pene? R. Le altrui per compassione; le proprie per correzione.
731. D. Chi ama veramente Iddio? R. II sapiente (1).
Nota: (1) Neminem enim diligit Deus, nisi cum qui sapientia inhabitat. — Sapient. VII, 28.
732. D. Che cosa è il re? R. Una legge che parla.
733. D. Che cosa è una legge? R. Un re che tacendo comanda.
734. D. Chi è superiore alla legge? R. L'influenza dei dotti, allorché tendono a rinovare od a confermare un'opinione.
735. D. Cos'è la meraviglia? R. È la figliuola dell'ignoranza (2).
Nota: (2) Quanto poi l'effetto ammirato è più grande, tanto più a proporzione cresce la meraviglia. Così ancora: Il fantasma tanto è più robusto, quanto è più debole il raziocinio.
736. D. Come debbonsi ricevere le lodi? R. Dal povero per domanda, dal ricco per donativo.
737. D. Quando temer si dee l'inganno? R. Quand’è più piacevole; quand'è più segreto.,
738. D. Come si può prevenir l’ingiuria? R. Con la cortesia; col disprezzo.
739. D. Quando non si dee rimaner offeso? R. Né dal rifiuto de’ Grandi, né dalle offerte de' piccioli.
740. D. Come si dee domandare ai Grandi? R. Più colle opere che colla voce.
741. D. Come si dee ricevere il beneficio? R. Non da obligante ma da obligato.
742. D. Qual può dirsi età dell’oro? R. Quel tempo in cui nulla si fa che per l’oro (1).
Nota: (1) L'età dell’oro è quella in cui più mostra L'oro il suo gran poter, dessa è la nostra. Cent, Piacent. IV, 47.
743. D. Ove regna l’amor delle ricchezze? R. Ove non v’è zelo di carità.
744. D. Come si conserva l’amicizia? R. Colla pratica delle stesse virtù, come de’ medesimi vizj.
745. D. Chi non dee temer la morte? R. Chi ha vissuto in modo da non temerne le conseguenze.
746. D. Qual è la cosa che fa maggiore impressione sulla moltitudine? R. Il timore.
747. D. Chi dee maggiormente temere? R. Quello che maggiormente fa tremare gli altri.
748. D. Quando deesi veramente temere? R. Quando l’onore è in pericolo (2).
Nota: (2) Il timore è la qualità dei deboli, ma il sentimento dell’onore appartiene a tutti. … Ignoro io forse, Che nell’armi il vil fugge, o resta il prode A ferire, o a morir morte onorata? Tali erano le parole di Ulisse quando, ferito in un piede, stava in forse di fuggire o di restare. — Vedi Iliade, lib. XI.
749. D. Qual è la miglior guida per ben condursi? R. La saggezza, ch'è il più gran bene ch'iddio ci abbia dato.
750. D. In che consiste la saggezza? R. Nella conoscenza vera delle cose.
751. D. In che consiste la gloria della vecchiezza? R. Nel non temere la morte.
752. D. Chi è colui che teme la morte? R. II malvagio.
753. D. Che cos’è la morte? R. La conseguenza della vita; il fine dello scellerato; il principio della vita del giusto; il terrore del ricco; lo spavento della gioventù; il desiderio del povero; il medico che guarisce ogni male.
754. D. Chi mai rende orribile la morte? R. Il delitto, benché egli renda nojosa la vita.
755. D. Per chi è terribile la morte? R. Per coloro che hanno poca cura di ben vivere; per quelli che non pensano a ben morire.
756. D. Qual è il mezzo per imparar a morire? R. Il viver bene, e il tenersi poco alle umane cose.
757. D. Come si sepeliscono i morti? R. Nella tomba, nell’oblivione.
758. D. Che cosa c procura il pensiero della morte? R. Ci rende più moderali, meno avari, più virtuosi.
759. D. Che cosa deesi maggiormente osservare in un uomo? R. Non la di lui morte, ma la di lui vita (1).
Nota: (1) … Sempre muor forte e sereno Di qual sia morte chi sé stesso estima. Alfieri, Sonetto 91.
760. D. Qual essere è maggiormente mortale? R. L’uomo, mentre anche le di lui opera I sono soggette a perire.
761. D. In qual modo onorar si dee la propria vita? R. Non colle parole altrui, ma con l’proprie azioni.
762. D. Per chi son fatte le pompe de’ funerali? R. Maggiormente per la vanità dei vivi che per l’onore dei morti.
763. D. Che cos’è un pomposo epitaffio? R. L'ultima vanità dell'uomo; la gasconata dei morti.
764. D. Havvi una morte migliore? R. È per tutti eguale; la sola buona fama la distingue (2).
Nota: (2) Mortem omnibus ex natura aequalem, oblivione apud posteros vel gloria distingui. Tacit. Hist. 1, 21.
765. D. De' morti che cosa resta al mondo? R. La memoria ne vivi.
766. D. In qual modo si onorano i morti? R. Coll'imitare le loro virtù.
767. D. Che cos'è il tutto? R. Una prolungazione dell’impostura, quand'il dolore è falso.
768. D. In che debbono consister le Iodi in favor dei morti? R. Nel fare la censura ai vivi; nell’insegnare come si debba vivere.
769. D. Da qual sepolcro escono i migliori ammaestramenti? R. Da quello de' proprj antenati.
770. D. Da qual sepolcro esce il più grato odore. R. Dai tumuli domestici.
771. D. Qual è la scuola migliore dell’uomo? R. Il sepolcro de' grandi uomini (1)
Nota: (1) Ma il giovinetto, che que’ sassi guarda, Venir da lor al cor sentesi un foco Che ad imprese magnanime lo spinge. Pindemonte, Sepolcri.
772. D. Chi teme maggiormente il sepolcro? R. Il potente ed il dotto nella sublime scienza dell'orgoglio.
773. D. Chi è il vero orgoglioso? R. Colui che ragionando nulla teme; colui che, nulla temendo, aumenta il suo amor proprio.
774. D. Che cos’è l’amor proprio? R. Il maggiore degli adulatori (1); la malattia più difficile a guarirsi; un amante senza rivali; la base d’ogni associazione; il più pericoloso nemico della ragione
Nota: (1) L’amor proprio è il primum vivens e l’ultimum moriens del nostro cuore; quandosi scaccia dalla pota, entra per le finestre.
775. D. Qual è la più odiosa vanità? R. Quella di far l’elogio a sé stesso facendo la satira agli altri.
776. D. Che cosa produce l’amor proprio? R. L’invidia, e da questa le persecuzioni; l’egoismo, e da questo l’ignoranza.
777. D. Come vien punito l’amor di sé stesso? R. Dall’altrui disprezzo.
778. D. Qual cosa è la più incomoda nella società civile? R. Il presuntuoso; il preteso dotto (2).
Nota: (2) --- ovunque scorgi Pretensioni molte e merti pochi: Chi pretende e non merta ognor vedrai; Chi merta e non pretende è raro assai. Casti, Anim, parl. II, 1.
779. D. Qual è la presunzione più odiosa? R. Quella di voler comparire più abile de’ suoi emuli.
780. D. Perché l’altrui presunzione è insoffribile? R. Perch'ella ferisce la nostra.
781. D. Cos'e l’ambizione per l'uomo? R. La sorgente del bene come del male.
782. D. Cosa produce l'ambizione smoderata? R. Riempie la testa di fumo e la borsa di vento: produce terribili misfatti, se non è assistita dalla virtù.
783. D. Qual cosa rende l'uomo maggiormente infelice? R. Non la povertà ma l'ambizione.
784. D. In che consistono talvolta i talenti dell'ambizioso? R. Nell’accoppiare l'onore all'infamia (1).
Nota: (1) Pur ch’egli appaghi ambizion che il rode, E l’orgoglio fatai che lo divora, Non intende ragion, priego non ode, E il mal ch’ei cagione non cura o ignora; Cieco all’altrui calamitadi orrende, E sordo al grido universal si rende. Casti, Anim, parl. XXIII, 28.
785. D. Qual è il mestiere più difficile? R. Quello di acquistarsi una grande riputazione.
786. D. Cosa produce un gran merito? R. Molti ammiratori, pochi amici, pochissimi benefattori.
787. D. Da chi è sempre accompagnato il vero merito? R. Da onestà e da modestia, come il falso merito lo è da vanità e da alterigia.
788. D. Qual è la maggior prova d'aver grandi qualità? R. Quella d'aver molti invidiosi (1).
Nota: (1) Il mezzo di non aver invidiosi è di essere senza meriti.
789. In che dee consister il vero merito? R. Nella buona condotta morale; nella cognizione e nell’adempimento de proprj, doveri.
790. D. Qual è il primo dover dell’uomo? R. Quello d'ubbidire alle leggi.
791. D. Cosa dee fare un animo generoso? R. Sottomettere le sue passioni al proprio dovere.
792. D. Chi è il vero onest’uomo? R. Colui che non manca alla parola data; colui che non contradice la verità conosciuta.
793. D. A qual fine deesi educare un giovine? R. Per esser uomo più di conto che dinumero.
794. D. Di chi non deesi fidare? R. Né di bocca che non sa parlare, né di lingua che non sa tacere.
795. D. Quali virtù di rado incontransi unite? R. Pietà e valore.
796. D. Che cosa è l'uomo? R. Un'ombra che passa.
797. D. Che cosa è la bellezza? R. Un dono del Cielo (1).
Nota: (1) Alessandro figliuolo di Priamo, sentendo i rimbrotti che la sua bellezza cagionava ai Teucri, disse loro: Non rinfacciarmi dì Ciprigna i doni; Che, qualunque pur sia, gradito e bello Sempre e il dono d’un Dio, né il conseguirlo È nel nostro volere. Iliade III Trad. da Monti
798. D. Cos'è il matrimonio? R. La prima amicizia che naque nel mondo (2).
Nota: (2) Omnis viene consortium. — Modestinus.
799. D. Perché talvolta mal s'assortiscono i matrimonj? R. Perché si pensa più alle convenienze che alla virtù.
800. D. In che consiste il merito d'una donna? R. Nei buoni costumi, non nella bellezza.
801. D. In qual modo una persona può essere amabile in ogni tempo? R. Col buon senso, col sapere, colla saviezza.
802. D. Come si dee giudicare del merito d'una persona? R. Non dalle di lei qualità, ma dall'uso che ne sa fare.
803. D. chi produce il vero merito? R. La natura, sovente la volontà, talvolta anche le ricchezze.
804. D. Come si oscura la fama militare? R. Colla eccessiva voglia di vivere (1).
Nota: (1) Consenuit multum imminuta claritate ob nimiam vivendi cupidinem. – Tacit- Ann. II, 63.
805. D. Quali orecchie debb’avere il giudice? R. Una per l’accusatore e l’altra per l’accusato.
806. D. Come dee comportarsi un giudice? R. Né troppo credulo, né troppo crudele.
807. D. Che cosa non deesi lasciar rubare? R. Né il tempo dall’ozio, né il merito dalla vanità.
808. D. Come deesi coprire il poco sapere? R. Col dir nulla, o col dir poco.
809. D. In qual modo si scredita la critica? R. O col farla invidiosa, o col farla mendace.
810. D. Che cosa produce talvolta l’ignoranza? R. La curiosità, che sempre è madre delle scienze.
811. D. Cos’è la sapienza? R. La scienza di far uso delle cose qual esse sono in natura.
812. D. Qual è la prima legge di natura? R. La conservazione di sé stesso.
813. D. Perché sono fatte le armi? R. Perché l'uomo possa difendersi dalle fiere.
814. D. Cos’è l’uomo? R. L'animale che ha maggiori bisogni per vivere; l’essere ch'è maggiormente schiavo de’ suoi bisogni; l’ente che ha maggiori sensazioni e desiderj; ciò che nasce, vive e muore in un istante.
815. D. Per chi è fatto l’uomo? R. Per la società.
816. D. Come l’uomo dee condursi in società? R. Colla ragione (1).
Nota: (1) Al contrario degli altri animali, che si conducono coi sensi.
817. D. Che cosa l’uomo dee conoscere? R. Primieramente sé stesso; in secondo luogo, i suoi simili.
818. D. Cosa latino i pazzi? R. Gettano per raccogliere; comprano per rivendere; spendono per pretendere.
819. D. Quando apprezzar si dee il danaro? R. Più quand'esce che quand’entra in scarsella.
820. D Come chiamar si debbono i fatti? R. Il primo disgrazia; il secondo pazzia.
821. D. Ove si conoscono le persone? R. Gli oziosi al lavoro; gl’ignoranti alla scuola; i vigliacchi alla guerra; gl'invidiosi in Corte; gl'ingrati all’eremo.
822. D. Come debbonsi ritenere le esibizioni de’ Grandi? R. Per pascolo che alletta; per liberalità che non costa.
823. D. Che cosa v'ha di più ricco? R. La sapienza, facitrice di tutte le cose (1).
Nota: (1) Et si divitiae appetuntur in vita, quid sapientia locupletius quae operatur omnia. — Sap. VIII, 5.
824. D. D'onde nasce la nobiltà vera? R. Dall'esercizio delle morali virtù.
825. D. In che consiste il vero eroismo? R. Nel domare i superbi e soccorrere i pericolanti.
826. D. In che consiste la virtù vera della fortezza? R. Nella propria difesa.
827. D. In che consiste il poter dell'uomo? R. Nella ragione e nell'esperienza.
828. D. Che cosa rende l'uomo superiore agli animali? R. Previdenza e speranza.
829. D. In che l'uomo è differente dai broli? R. Colla natura intellettuale; coll’impero delle passioni (2).
Nota: (2) La bestia è. schiava dell’uomo e delle passioni; l’uomo, posto in mezzo, assoggetta le bestie, e comanda alle passioni.
830. D. Qual uomo è indegno d’esser nato? R. Colui che non fa ciò per cui è nato.
831. D. Come s'impedisce che i servi diventino ladri? R. Togliendo loro la necessità; non lasciando loro la comodità.
832. D. Come debbonsi esaminare i servi? R. Prima nel volto, poi nelle unghie.
833. D. Chi sono i servitori? R. I nemici pagati de loro padroni.
834. D. Cosa deesi fare alle Iodi? R. Maggior ricevimento che incontro.
835. D. Come debbonsi ricevere gli scherzi buffoni? R. Col silenzio e col disprezzo.
836. D. A chi non viene la tentazion di rubare? R. Al padron di casa (1).
Nota: (1) Col tentator demonio non contrasta Ci tien le chiavi ed ha le mani in pasta.
837. D. Come si preparano le buone azioni? R. Colle buone abitudini.
838. D. Come s'impara la morale? R. Coll'esercizio de’ buoni costumi, non mai colla scienza; maggiormente cogli esempi che coi precetti.
839. D. Quando l'uomo è orgoglioso de' suoi talenti? R. Allorché non conosce quelli degli altri.
840. D. Qual è la persona la più orgogliosa? R. Quegli che con pochi talenti giunse alle prime magistrature.
841. D. Come si manifesta l’orgoglio? R. Coll’affettazione e coll’ostentazione.
842. D. Che cosa sono le lodi smoderate? R. Orgoglio in chi le usurpa od accetta; bassezza in coloro che le danno.
843. D. Cos’è la vanagloria? R. Un ramo di pazzia, il cui tronco è l’orgoglio.
844. D. Cos’è la gloria? R. Il premio degli eroi.
845. D. Cos’è più vicino ai voli della fortuna? R. I capitomboli della disgrazia.
846. D. Che significa la vanità del vestir magnifico? R. Un cervello assai leggiero.
847. D. Quando deesi parlar poco? R. Fra’ dotti, per non errare; fra’ sciocchi, per non perdere.
848. D. Che cosa producono le scene teatrali? R. Ingannano co' trasporti d’occhio; illudono con quei della mente.
849. D. Qual è l’imperio che maggiormente dura? R. Quello dell’opinione.
850. D. Che cosa produce l’opinione? R. Governa il mondo; è la motrice di tutte le azioni umane; mette in credito l’apparenza di virtù al di sopra della virtù stessa; influisce sui costumi e sui caratteri degli uomini (1).
Nota: (1) L’opinion consacra anche il delitto; Se fissi in tuo favor l’opinione, Fa quel che vuoi, che sempre avrai ragione. Casti.
851. D. In che consistono; i costumi degli uomini? R. Nel prodotto delle loro abitudini.
852. D. Che cosa producono i buoni costumi? R. Producono l’amore e la stima de' suoi simili; emendano la severità delle leggi; migliorano le arti, le scienze, ed anche la civile libertà formano il più fermo appoggio del governo.
853. D. In che consiste la vera opulenza d'uno Stato? R. Nei costumi, non nelle ricchezze.
854. D. Quali debbon essere i sostegni d'uno Stato? R. Gli eserciti ed anche gli amici.
855. D. Come si acquistano gli amici? R. Non coll’oro compransi, ma si procaccian colla fede.
856. D. Quando una nazione può riputarsi ricca? R. Allorché vi si vedono gli uomini ben vestili, ben alloggiati e ben nutriti.
857. D. Come sceglier si dee un'abitazione? R. In città di molte pietre; in villa di poche paglie.
858. D. Che deesi maggiormente studiare per ben governare una casa? R. Più libri di casa che libri di scienze.
859. D. In ogni impresa di che si deve servire? R. Delle fatiche dei giovani; dei consigli de' vecchi.
860. D. Come si può comperare una cosa a poco prezzo? R. Disprezzandola (1).
Nota: (1) Chi delle merci tue mostra disprezzo Comperar le vorrebbe a basso prezzo. Cent. Piacent. IV, 12.
861. D. Che cosa sono d'ordinario i bei palagi? R. Belle gabbie, nelle quali papagalli d'ogni colore parlano o mordono.
862. D. Come si moltiplica l’appetito? R. Col. desiderare le cose negate.
863. D. Quali maggiori passioni si debbono temere? R. L’orgoglio e la vanità.
864. D. Qual è la passione che ha maggior forza? R. L’amore.
865. D. Che cosa produce amore? R. Palesa la forza onnipossente della natura; infrange tutti i rapporti fittizi; ristabilisce la primitiva eguaglianza.
866. D. Qual è la più forte passion delle donne? R. Quella di far parlare di se nel mondo (1).
Nota: (1) È a quest’unica passione che le donne debbono attribuire tutt' i loro difetti.
867. D. Come si guarisce una passione? R. Soffocandola colla ragione; scacciandola coll'esperienza.
868. D. Che cosa produce l’esperienza? R. Il disinganno.
869. D. Chi veramente si pente de' suoi fatti? R. Colui che sa correggersi.
870. D. Quali cose non si revocano mai? R. Né le parole né il tempo.
871. D. Quando non deesi encomiar la nascita? R. Né a nobili scostumati; né a rustici esaltati.
872. D. Quando ritirar debbesi dai puntigli? R. O prima che ce li prendano, o prima che ce li rendano.
873. D. Come ricever si denno le afflizioni? R. O per prova o per pena.
874. D. Come legitimar si dee la necessità? R. O per figlia del caso o per maestra della virtù.
875. D. Qual è l'animale il più nocivo? R. L’uomo, considerato come parte del sistema generale degli animali (1).
Nota: (1) L’uomo solo sagrifica e distrugge più individui viventi, che non ne divorino tutti insieme gli altri animali carnivori.
876. D. Come nasce l'uomo? R. Nasce bisognoso di tutto, senza cognizione alcuna, senza la menoma difesa.
877. D. Quale stima si dee fare d'un uomo fatuo? R. Quella stessa che si ha per un animale (2).
Nota: (2) L’uomo fatuo d’animale sono enti, i risultati e l'operazione de’ quali per ogni verbo sono i medesimi, poiché l’uno non ha anima, l’altro non se ne serve punto; manca in amen due la potenza riflessiva, e per conseguenza sono privi d’intelletto, di spirito, di memoria, ma amendue hanno sensazioni, sentimento e moto.
878. D. Chi è il vanaglorioso? R. L’uomo sciocco che si crede un uom di credito.
879. D. Chi è l’uomo veramente sciocco? R. Quegli che ha neppur lo spirito per essere vanaglorioso.
880. D. Che cosa fa il vanaglorioso? R. Stanca dispiacere disgusta chi lo avvicina.
881. D. Da che nascono le false religioni? R. Più dalla propria credulità, che dall'altrui impostura.
882. D. Chi conserva maggiormente unite le nazioni? R. Religione e virtù mansuete*
883. D. Chi rovina maggiormente una nazione? R. Audacia ed empietà.
884. D. Che cosa sono gli errori umani? R. Una febre morale degna di compassione.
885. D. Ove spinge lo spirito di esagerazione? R. All’intolleranza ed alla persecuzione.
886. D. Che cosa produce l’intolleranza? R. Rende l’uomo crudele verso chi ricusa di pensare come lui (1).
Nota: (1) L’intolleranza religiosa indura l’animo anche il più sensibile. Di fatti, come mai si possono amare le persone credute reprobe; quale carità si può conservare fra i dannati; amarli sarebbe odiare Iddio, che li punisce: per esser dunque umani, bisogna giudicare le azioni e non i pensieri degli uomini, i quali tutti finché vivono non deggionsi considerare come reprobi.
887. D. Qual è l’uomo il più crudele? R. Il più debole, il più credulo, colui che. maggiormente teme.
888. Di Ove confidano i deboli? R. Non nella forza, ma nella frode.
889. D. Qual è la persona la più debole? R. Quella eh è avvilita agli occhi de’ suoi simili.
890. D. Chi è maggiormente forte? R. Colui ch’è costante nel ben operare.
891. D. Che cosa produce la vera costanza? R. Inspira ammirazione a’ suoi stessi oppressori.
892. D. Ove domina maggiormente l’incostanza? R. Nelle femine; nella gioventù (1).
Nota: (1) … finché gioventù dura S’ama cangiar: esser costante e fisso È cosa propria dell’età matura; Costante è l’amator sessagenario, Ma giovin fresco è di pare contrario. Casti.
893. D. Ove domina maggiormente l’ostinazione? R. Fra gl’ignoranti; fra i presuntuosi.
894. D. Chi è l’ostinato? R. Colui che non cede mai all’altrui persuasione; l’ignorante ed il presuntuoso.
895. D. Qual è il massimo, vizio degl’ignoranti? R. La pertinacia.
896. D. Che cosa addiviene all’ostinato, quando ragione il convince? R. Si risveglia in lui il furore; rende ingiurie per ragioni; prende le ragioni per ingiurie; sostiene la sua opinione benché conosca la verità.
897. D. Che cos’è una passione? R. Un'impressione costante della sensibilità; la voce del cuore; il braccio dello spirito; l'oratore che maggiormente persuade; il deliquio della riputazione; la nemica giurata della prudenza.
898. D. Che cosa produce una passione? R. Rende l'uomo più che fanciullo; tiene la speranza a fianco del desiderio; fa sacrificar tutto per conseguire il bramato intento (1).
Nota: (1) Son questi, o Dei, che dell’umana vita Tutto infestano il mar: l’empie son queste Sediziose schiere, ond’è per tutto Disordine e tumulto. Melast. Astrea placata.
899. D. Che bisogna fare acciò le passioni non siano viziose? R. Bisogna che il sentimento incateni l’imaginazione.
900. D. Chi è il maggiore schiavo delle passioni? R. L'uomo più che gli animali.
901. D. Chi è che guida maggiormente gli uomini? R. Non la ragione ma le passioni.
902. D. Che cosa abbisogna per trionfare d'una passione? R. Chiamare in soccorso la virtù; esercitare il corpo col lavoro.
903. D. Còme.si mitre una passione? R. A forza d'inganni e d’errori.
904. D. Qual è la passione che nasce e muor coll’uomo? R. L'amor di sé stessa.
905. D. In che consiste il vero eroismo? R. Nel signoreggiare le proprie passioni; nell’ubbidire alle leggi.
906. D. Qual è la peggior ebrezza? R. Quella delle passioni più che quella; del vino.
907. D. Chi può diminuire le mediocri passioni? R. L’assenza, la quale però aumenta le grandi passioni (1).
Nota: (1) Come il vento estingue le candele ed accende il fuoco.
908. D. Chi produce le passioni? R. La natura, la quale pose nel nostro cuore il germe di tutte.
909. D. Che cosa la natura accordò agli uomini? R. Il desiderio d'ogni cosa; l’impossibilità di godere tutto quanto si brama.
910. D. Che cosa può pretendere natura dall’uomo? R. Cercar il bene; fuggir il male; offendendo nessuno.
911. D. Qual promessa deesi mantenere? R. Quella d’essere uomo onesto; ciò che non è contrario alla virtù.
912. D. Di chi bisogna diffidare? R. Di chi troppo promette.
913. D. A che rassomiglia una promessa senz’ effetto? R. Ad un albero senza frutti.
914. D. Quali promesse non debbonsi eseguire? R. Quelle estorte con violenza od artifizio, e che non son lecite.
915. D. Quando diventa nulla una promessa? R. Per le eccezioni di violenza; quando trattasi di cose ingiuste; per le eccezioni d'impossibilità.
916. D. In che consiste la promessa? R. Nella volontà di eseguirla.
917. D. Che cos’è la volontà? R. II principio della maggior parte delle nostre azioni.
918. D. In che consiste la volontà? R. Nella rettitudine del pensiero; nella forza dell’animo; nella riflessione al fine che si propone (1).
Nota: (1) Sea chiusi occhi vuoi correre allo ingiù Non puoi dir: voglio andar fin là e non più. Lippi, Malmantile.
919. D. Quali sono i maggiori pungoli della volontà? R. Il desiderio unito al bisogno.
920. D. Qual è lo scopo del desiderio? R. Quello d’ottenere ciò che si brama.
921. D. Quali cose maggiormente si bramano? R. Buona salute e buona fama (1).
Nota: (1) Ego, si bonam famam mihi servasse, sat ero dives. — Plaut. Mostellaria.
922. D. Che cos’è la buona fama? R. È una vera vita; si vive anche dopo morte; è il concerto unanime di una universale ammirazione.
923. D. In che consister dee una celebre fama? R. Nella stima d’un uomo per rutile che ha procacciato ad altri.
924. D. Qual debb’essere il premio d’ogni alta opera? R. Una gloriosa fama.
925. D. Che cosa debbono procurarsi i Principi? R. Lasciare di loro felice memoria e gloriosa fama (2).
Nota: (2) ..... quanti passar com’ombra Dei duci antichi, e senz’ onor di fama. Ossian, Berato.
926. D. Qual è il mobile delle grandi azioni? R. Il desiderio dell’immortalità.
927. D. Che produce d'ordinario la gloria? R. Il coraggio, tanto celebralo fra gli uomini.
928. D. In che consiste il coraggio? R. Nella difficoltà di resistere agli osta coli ed ai pericoli.
929. D. Chi è il vero uom coraggioso? R. Colui che persiste a fare il suo dovere a costo della sua fama.
930. D. In che consiste il perfetto valore? R. Nel fare senza testimonj quanto si potrebbe fare in publico; nel non mai disgiungere la giustizia dalla generosità; nel sentimento delle proprie forze, piuttostochè nel coraggio ideale.
931. D. Da chi debb’ essere diretto il vero valore? R. Dalla ragione.
932. D. Che cosa diventa un valore irragionevole? R. Diventa una temeraria imprudenza.
933. D. Come opera il coraggioso? R. È dolce e benevolo cogli umili sempre fiero coi superbi.
934. D. Come si può diventar coraggiose R. Colla pratica della virtù, non mai colla teorica; la riflessione non fa l'uomo coraggioso.
935. D. Qual è l’origine del bene? R. Iddio solo (1).
Nota: (1) I Persiani dicono che Zoroastro interrogò la Divinità, e le chiese in qual modo il mondo era principiato, quando terminar doveva, e qual era l’origine del bene e del male? La Divinità rispose a questi quesiti: Fa il bene, e guadagnati l’immortalità.
936. D. Ove abita Iddio? R. Nel seno dell’uomo virtuoso (1).
Nota: (1) Seneca ci ha dipinto la grandezza dell’uomo virtuoso, quand'ha detto: Nel seno dell’uomo virtuoso io non so qual Dio vi abiti ma di certo vi abita un Dio.
937. D. In che consiste la vera superiorità dell’uomo? R. Nella forza dell’animo.
938. D. Qual è la vera forza dell’animo? R. La virtù.
939. D. Che cos'è la forza del corpo? R. La potenza, che decide di tutto (2).
Nota: (2) Ogni diritto è nullo senza la forza. … ed è la forza Unica e sola del regnar maestra. Parini, Il Matino.
940. D. Che cosa eccita in noi il bello in tutti i generi? R. La speranza d'un eterno avvenire; il desiderio d'un esistenza sublime.
941. D. Chi annichila la speranza? R. La morte.
942. D. In che è felice l’ignoranza? R. Quando non penetra il futuro; quando non gusta il presente.
943. D. Che cosa si dee a chi ci diede la vita? R. Tutto.
944. D. Come si devono amare i genitori? R. Con un vero amore; con una sincera gratitudine; con una perfetta sommissione.
945. D. Cosa non debbono ereditare i figli? R. Il disonore de’ padri (1).
Nota: (1) II delitto, la pena e il disonore Non passano All’erede o al successore. Cent. Piacent. III, 38.
946. D. Qual è talvolta l’amor dei fratelli? R. Amor da pistole e da coltelli.
947. D. Chi è quello che giuoca una carta cattiva? R. Quello che per più aver, d’ogni aver si priva.
948. D. Quando si conosce il mal fatto? R. Alla notte, ch’è la madre de’ pensieri.
949. D. Qual è la potenza d'Amore? R. Tutto vince, ma è vinto dal Tempo.
950. D. Chi sta più vicino ad Amore? R. II di lui fratello Imeneo (2).
Nota: (2) Tempo già fu che il pargoletto Amore Dato era in guardia al suo fratello Imene; Tanto la madre lor temea che il cicco Incauto Nume perigliando gisse Misero e solo per oblique vie, E che, bersaglio agl’indiscreti colpi Di senza guida e senza freno arciere, Immaturo al suo fin corresse il seme Uman che nato è a dominar la terra. Quindi la prole mal secura All’altra In cura dato avea, sì lor dicendo: Ite, o figli, del par; tu più possente Il dardo scocca; e tu più cauto il reggi A certa meta. Così ognor congiunta Iva la dolce coppia, e in un sol regno E d'un nodo commun l’alme strignea. Parini, Il Matino.
951. D. Fin quando dura la speranza? R. Finché v'è fiato.
952. D. Chi dà molto senno? R. I molti anni (1).
Nota: (1) Lunga dies acuit mortalia corda.
953. D. Quando la condotta dell’uomo è immortale? R. Quando le di lui opere sono dettate dal dovere e dalla ragione.
954. D. Che cosa debbon fare le nazioni tra di loro? R. In tempo di pace farsi il più gran bene possibile; in tempo di guerra farsi il minor male, senza punto nuocere agl’interessi proprj.
955. D. Qual è la vera scienza politica? R. Quella ch'è intimamente connessa colla religione e colla morale.
956. D Che cos'è la salute del popolo? R. È la legge suprema.
957. D. Cos'è l'ingiustizia? R. È quella forza che sacrifica una porzione della società all’altra parte.
958. D. Quando l’uomo è veramente virtuoso? R. Quando sagrifica il suo particolare interesse al generale.
959. D. In qual modo si ama la Patria? R. In tempo di guerra difendendola dai nemici esterni; in tempo di pace, facendo una guerra ai vizj dei proprj concittadini.
960. D. Come si amano gli amici? R. Facendo loro del bene quando ne hanno bisogno; col non tradire i segreti da essi confidali, e col tollerare i loro difetti.
961. D. Qual è la principale virtù di chi è destinato ad ubbidire? R. Il silenzio.
962. D. Qual è il dovere principale di chi è destinato a servire? R. La fedeltà.
963. D. Quale cura si dee avere pel proprio corpo? R. Si dee procurare di tenerlo sano, agile e robusto.
964. D. Qual è il miglior paese da abitare? R. Ov’ è buon clima, buon pane e buone strade (1).
Nota: (1) Egli è bel viver in quelle contrade Ove son bei ponti e buone strade. Prov. Triv.
965. D. Che cos'accade paragonando il brutto al bello? R. Si fa apparir più bello questo, più brutto quello.
966. D. Cosa si cerca ad ogni publicazion di nuova legge? R. Il mezzo di frodarla.
967. D. Cosa fa una legge promulgata fuor di tempo? R. Per lo. più accresce il mal, non io corregge.
968. D. Che cosa fa il tempo? R. Distrugge gl’imperj; spegno la gloria delle Nazioni.
969. D. Qual è il più grave de' mali a cui soggiacia l’umana miseria? R. Il sentire gl’impulsi del tempo inesorabile, che ogni giorno ci spinge con nuovo urto alla tomba.
970. D. Come maggiormente si può resistere agli impulsi del tempo? R. Fuggendo gl’impulsi e le liti (1).
Nota: (1) Fuggi gl’impegni e i perigliosi intrichi, Se vuoi salvar la pania per i fichi. Precetto triviale.
971. D. Come conviene giudicare gli artisti? R. Dalle loro opere.
972. D. Qual è il freno più forte a reggere la moltitudine? R. La religione.
973. D. Quali sono i mezzi di raddrizzare i pregiudizj degli uomini? R. Il ricorso all’esperienza; l’appello alla riflessione (1).
Nota: (1) Bacone scelse il primo espediente, Cartesio il secondo; il primo rese immensi servigi alle scienze, il secondo li rese al pensiero, che è la sorgente di tutte le scienze.
974. D. Che cos’è il dubio universale? R. L'abbiccì della filosofia.
975. D. Che cosa fa il dotto? R. Pensa molto e parla poco.
976. D. Che cosa fa l'ignorante? R. Non pensa mai e sempre ciarla.
977. D. D'ordinario che cosa fa l'uomo? R. Medita e propone.
978. D. Che cosa fa sempre Iddio? R. Di tutto a suo piacer dispone.
979. D. Qual attività ha amore? R. Passa persino il guanto.
980. D. Qual forza ha l'odio? R. Passa fino al cuore (2).
Nota: (2) Dice il proverbio: passa il guanto amore; Più forte l’dio passa fino al cuore. Cent. Piacent. III, 7.
981. D. Qual è il conforto de’ miseri? R. L’invocazione della divinità.
982. D. Qual è il conforto dei mortali? R. La speranza lusinghiera, benché fallace.
983. D. Che cosa produce l’esercizio? R. Conserva l’animo tranquillo; mantiene la sanità del corpo.
984. D. Qual è la più nobile fra le occupazioni? R. L’indagine della verità e la sua promulgazione.
985. D. Che cos’è la verità? R. L’opera di Dio.
986. D. Che cos’è la menzogna? R. L’opera dell’uomo; tutto quanto tende a deprimer l’uomo.
987. D. Che cosa sono le parole? R. Molesti irritamenti nelle prepotenti angosce.
988. D. Come si calmano le angosce? R. Togliendone la cagione.
989. D. Quando debbonsi raffrenare le parole? R. Quando l’animo è deliberato all’opre.
990. D. Qual è la medicina degli animi irati? R. Le affettuose e moderate parole.
991. D. Qual è il maggior torto che far si possa ad una donna? R. Il dirle ch’è vecchia e brutta (1).
Nota: (1) A donna non si fa maggior dispetto Di quando brutta o vecchia gli vien detto. Guarini.
992. D. Qual cosa imparasi studiando sé stesso? R. Che si è un bel nulla.
993. D. Che cosa accade ai superbi? R. Iddio si oppone ai loro disegni.
994. D. Cosa arriva agli umili? R. Son da Dio esaltati (1).
Nota: (1) De’ superbi a’ disegni Iddio s’oppone, E gli umili solleva e in seggio pone. Cent. Piacent. IV, 33.
995. D. Chi è quello che ha veri talenti? R. Colui che ha l’arte di guadagnarsi danaro quand’è povero, e quella di spenderlo quand’è ricco.
996. D. Che cos’è il calcolo? R. È l’operajo del genio; è il servitore dell’anima.
997. D. Che cos’è l’universo? R. L’imagine della divinità.
998. D. Perché il sole illumina il mondo? R. Per regolare i lavori dell’uomo; per esprimere l’amore della natura (2).
Nota: (2) Difatti i fiori si rivolgono verso la luce, onde raccoglierla, rinserransi durante la notte, e al reatino ed alla sera pajono esalare in odorosa fragranza i loro inni di lode al Creatore.
999. D. Che cos’è il sole? R. Un’emanazione della Divinità, come lo splendido messaggero d’una preghiera esaudita.
1000. D. Come convien pregare? R. Come si ama; mescolando la preghiera con ogni nostro pensiero.
1001. D. Qual è il miglior nutrimento dell’animo? R. Il pascere l'intelletto coll’indagine del vero.
1002. D. Che cos'è un filosofo? R. L'amico del vero; il cittadino dell'universo.
1003. D. Cos'è la filosofia? R. La medicina della mente.
1004. D. Qual è la cosa di minor durata? R. L'amore rappattumato (1).
Nota: (1) La minestra stamane sì gustosa Riscaldata staser, è trista cosa. Prov. Triv.
1005. D. Qual è l'eloquenza d'amore? R. Sono i sospiri.
1006. D. Quante volle daddovero si ama? R. Una sola (2).
Nota: (2) Purchè non intendasi per vero-senso d’amore l’incostanza de’ capricci fuggitivi.
1007. D. Fra gl'inganni d'amore qual e il più universale? R. Il prestar fede ai giuramenti di costanza (3).
Nota: (3) Incistante com’aura è per natura De’ giovani il pensier. Iliade, III, trad. di Monti.
1008. D. Cosa sono i giuramenti in amore? R. Sono più infedeli di quelli del nocchiero quando scende sul lido dopo la tempesta.
1009. D. Chi può energicamente esprimere una passione? R. Chi la porta nell’animo.
1010. D. Quali sono i migliori idillj? R. Quelli che formano, dialogando, gli amanti felici.
1011. D. Quali sono le più impetuose orazioni? R. Quelle proferite da soldati imperiti di ogni eloquenza nel tumulto delle pugne.
1012. D. Qual è il rimedio a trascurato amore? R. La lontananza.
1013. D. Che cosa trova chi non ama daddovero? R. Non trova che difetti.
1014. D. Che cosa ha chi è in difetto? R. Sempre a fianchi ha il timore ed il sospetto.
1015. D. Coll'assiduo lavoro che cosa guadagna l'artista? R. Nuovi lumi acquista.
1016. D. Che cosa fa il moto all'uomo? R. Previene e guarisce assai mali.
1017. D. Qual è la maggior vittoria? R. Il vincere sé stesso.
1018. D. Che cosa sono le lodi di chi tutto loda? R. Sono veri biasimi.
1019. D. Cosa fa mansueta risposta? R. Disarma l'ira, e fa passar la bile.
1020. D. Di qual pregio Fumana specie è distinta dagli altri animali? R. Del dono della favella.
1021. D. Come si dee trattare il tempo? R. Dimenticando il passato; tenendo per suo il presente; credendo di Dio il futuro.
1022. D. Quando la sensibilità diventa un dovere? R. Nel matrimonio (1).
Nota: (1) In ogni altra relazione la virtù può bastare; ma nel matrimonio, in cui i destini sono intrecciati, in cui lo stesso impulso serve per così dire ai palpiti di due cuori, sembra che un affetto profondo sia quasi un vincolo necessario.
1023. D. Che cosa procura lo studio di retoriche dottrine? R. Diletta e persuade, parlando anche ad una concitala moltitudine.
1024. D. Quali sono le cose più lunghe ad impararsi? R. Le arti e le scienze.
1025. D. Cosa avviene a chi vuole soperchiar parlando? R. Dalle colte brigate ha presto il bando.
1026. D. Cos'è sovente una bella donna? R. Una raccolta di mali (2).
Nota: (2) Spesso un pomo, al di fuor sano e vistoso, È fracido al di dentro e verminoso. Cent. Piacent. IV, 43.
1027. D. Qual è l'età dell'oro? R. Quella in cui l’oro mostra il suo gran potere.
1028. D. In che consiste il tempo dell’allegria? R. In breve minuti.
1029. D. In che consiste il tempo del dolore? R. In lunghe ore.
1030. D. Cos’è colui che pretende d'esser faceto e spiritoso? R. Sovente non è che insipido e nojoso.
1031. D. Chi può intraprendere ogni cosa? R. Colui che non teme di morire.
1032. D. Chi è la compagna del terrore? R. La fuga.
1033. D. Chi sbandi dal mondo ogni virtù? R. La gola e la vita licenziosa.
1034. D. Cosa acquista l’uom prepotente? R. Si fa odiare mentre vuol farsi temere.
1035. D. Qual è l'uomo pazzo? R. Chi si discosta dal ben che gli è caro (1).
Nota: (1) Chi si trova al coperto quando piove Direm ch’è pazo, se di là si move. Cent. Piacent. IV, 55.
1036. D. Quando l'uomo ha imparato a vivere? R. Quand'è vecchio ed è vicino a morire.
1037. D. Che cosa trova l’ingannatore? R. D'essere ingannato.
1038. D. Cosa non si può né vendere né comperare? R. La dottrina, la salute, l’onore, la vita.
1039. D. Qual è il cuor più bello? R. Il mansueto.
1040. D. Cosa Fa la forza unita? R. Tutto vince.
1041. D. Cosa nuoce in amore? R. La freddezza (1).
Nota: (1) … troppo nuoce In amoroso cor lunga e ostinata Tranquillità. Nell'oceano ancora Perigliosa è la calma: ahi quante volte Dall’immobile prora il buon nocchiero Invocò la tempesta! sì crudele Soccorso ancor gli fu negato; e giacque Affamato, assetato, estenuato, Dal venenoso aere stagnante oppresso Fra le inutili ciurme al suol languendo. Parini, Il Mezzogiorno.
1042. D. Cosa succede ai tripudj de malvagi? R. Succedono crepacuori e disagi.
1043. D. Qual è Pignorante? R. Quello che presume di saper molto.
1044. D. Cos'è un mal pagatore? R. Una persona da molti conosciuta (2).
Nota: (2) Nel mondo v’ha una razza di persone Che tinge, o scotta, come fa il carbone. Cent. Piacent. III, 62.
1045. D. Qual è la cosa che maggiormente piace? R. L'uomo di cor sincero; il consiglio d'un amico.
1046. D. Qual è il buon servitore? R. Quegli che ha orecchi, occhi e bocca, ma non vede né sente ciò che a lui non tocca.
1047. D. Che cosa far dee l’uom grande? R. Sollevare gli umili, sprezzare gl’invidiosi, punire i superbi (1).
Nota: (1) Omero parlando de’ grandi capitani Greci, disse: Alme più forti non nudrida la terra, E, forti essendo, combattean co’ forti, Co’ montani Centauri, e strage orrenda Ne fean. Iliade, I, trad. di Monti.
1048. D. Qual cosa è più difficile a trovarsi? R. Qualcuno che ci contenti.
1049. D. Qual è' il maggiore schiavo? R. L'assiduo cortigiano.
1050. D. Che cos'è l’accortezza? R. È l’occasion prossima della furberia.
1051. D. Che cosa distingue l'accortezza dalla furberia? R. La menzogna.
1052. D. Qual è la maggior pazzia? R. Quella di scordarsi d'esser mortale.
1053. D. Che cos'è l’ignorante? R. Sempr’è un povero (1).
Nota: (1) … un asino non può cangiar mai tempre, Ed è in qualunque stato asino sempre. Casti, L’Asino, 85.
1054. D. Quali sono le doti di un bravo servitore? R. Prontezza, fedeltà, rispetto, segretezza. amore.
1055. D. Qual è la cosa più ardua? R. Custodir i pazzi (2).
Nota: (2) Chè, per quanto s’adopri arte ed inggno, Aver pazzi in custodia è un arduo impegno. Casti, Anim. Parl. XXII, 21.
1056. D. Cosa diventa chi alta nascita ostenta? R. Di grande che debb’essere, piccolo diventa.
1057. D. Qual è la più difficile di tutte le virtù? R. La moderazione.
1058. D. A chi rassomiglia l’ostinato? R. Al cane del fabro (3).
Nota: (3) Il cane del fabro dorme dotto l’incudine, né si sveglia ai colpi, benché strepitosi e reiterati del martello; così l’ostinato ai reiterati convincenti avvisi della ragione.
1059. D. Quali sono i principj d'uria legislazione? R. Il dovere e la sommissione de’ figli all’autorità de’ padri.
1060. D. In qual modo si fa conoscere l'uom ricco? R. Facendo stancar mal a proposito i suoi servi (1).
Nota: (1) Ma a possente signor scender non lice Da le stanze superne infin che al gelo O al meriggio non abbia il cocchier stanco Durato un pezzo, onde l’uom servo intenda Per quanto immensa via natura il parta Dal suo signore. Parini, Il matino.
1061. D. Qual è il più bel libro d'ogni Nazione? R. Il vocabolario della propria lingua; la storia del proprio paese.
1062. D. Cosa sono le leggi d'una Nazione? R. Sono la parte più istruttiva della di lei storia.
1063. D. Quale scopo dee avere un uomo di Stato? R. Dee sempre aver in mira la prosperità nazionale.
1064. D. Come si possono conoscere i veri principj del buon governo?. R. Colla libera propagazione dei lumi.
1065. D. Qual è il miglior dono di Dio? R. La saggezza (2).
Nota: (2) … Di Giove il senno Largisce a questi la virtù guerriera, L’arte a quoi della danza, ad altri il suono E il canto delle muse, ad altri in petto Pon la saggezza, che i mortai governa E le città conserva, e saline il prezzo Chi la possiede. Iliade, XIII,. trad. di Monti.
1066. D. Come si può perfezionare la scienza del Governo? R. Coll’esperienza, colla meditazione, colla ragione.
1067. D. Qual è lo stato più confacevole all'uomo? R. Quello d'una società ben organizzala, ove tutti i cittadini si possano prestare mutui soccorsi.
1068. D. Che cos'è lo stato morale? R. Una continua lotta tra la brama di dominare ed il desiderio di sottrarsi all’altrui dominio.
1069. D. Cosa desidera chi vive in republica? R. Una perfetta eguaglianza fra tutti gli uomini.
1070. Cosa desidera il partigiano del potere assoluto? R. Che in altrui Vi sia la prerogativa innata di comandare agli altri.
1071. D. Quali sono le passioni più forti dell’uomo in istato di società? R. L'amore della patria; la conserva zione di sé stesso.
1072. D Chi è che forma una gran nazione? R. Non il numero degli abitanti, ma lo spirito nazionale, e le grandi passioni (1).
Nota: (1) Fra alcune nazioni vi è la passione della libertà, fra altre quella delle conquiste; presso un’altra è il fanatismo religioso, e presso altre l'amore al suolo che videro nascendo.
1073. D. Quali debbono essere gli elementi dello spirito nazionale? R. Onore, Sensibilità, urbanità.
1074. D. Come si stabiliscono gli elementi d’uno spirito nazionale? R. Colla legislazione, coll'educazione, cogli esempi di chi governa.
1075. D. Ove urla il potere? R. Contro l’odio publico (2).
Nota: (2) Né il potere né la sublimità del posto non possono resistere contro l’odio publico.
1076. D. Cos'è l'odio publico per chi in alto siede? R. È un pessimo garante d'una lunga vita.
1077. D. Chi si odia maggiormente? R. Coloro che maggiormente si temono.
1078. D. Contro chi si cerca maggior vendetta? R. Contro chi maggiormente si odia.
1079. D. Qual è la guardia più fedele d’un principe? R. L’amore dei popoli.
1080. D. Come si dee paragonare la potenza d’un re sopra il suo popolo? R. A quella d'un padre sopra la sua famiglia.
1081. D. Cosa manca ai Re? R. Riposo e libertà.
1082. D. Cosa sono i Grandi nelle Corti? R. Sono esseri infelici, mentre non possono ascoltare i sensi di coloro che gli amano.
1083. D. Che cos'è l'onore? R. È la gran molla colla quale si fanno muovere tutte le nazioni; è il principiò di tutto quanto si fa di grande nel mondo.
1084. D. Come debb'essere l’uom saggio? R. Virtuoso d'opera e di consiglio; obligante d'aspetto e di gentilezza; moderato di lingua e di cuore; ornato di giustizia e di pietà; invidiato più per merito che per fortuna; generoso di cuore più che per ostentazione; amante della patria più che di sé stesso; imperturbabile sì nella buona che nell'avversa fortuna.
1085. D. Cosa fa l'uom saggio? R. Procura d’esser più lodevole che Iodato; condona l'offesa sì al pentimento che al caso; soffre i torti sì da magnanimo che da politico; dà al povero piuttosto danaro che imprestiti; giova piuttosto a pochi che piacer a molti; è scarso di risentimenti e liberale di perdono; fugge le lodi esagerale; non conta sulle moltiplici promesse; si serve dell'invidia altrui per stimolo alla virtù propria; si accompagna a piedi colla virtù, piuttosto che in carrozza col vizio; lascia maturare l’uso col tempo, e la fame coll'esercizio; non corre dietro al passato; nulla si ripromette dal futuro; opera in modo d'esser lodalo vivo, e compianto morto.
1086. D. Cosa deesi cavare dalle disgrazie? R. Dottrina per l’intelletto; balsamo per l'anima; esperienza per l'avvenire.
1087. D. Come deesi condannare il bugiardo? R. Od a star muto, od a star solo.
1088. D. Come si comperano le malattie? R. Coll'ira e colla gola.
1089. D. Chi si deve eleggere per consigliere? R. O un buon amico, od un buon libro.
1090. D. Cos'è il sonno? R. Il fratello della morte; il nemico del fastidj (1).
Nota: (1) … Ma memore il Pelide Dell’amato compagno, in nuovo pianto Scioglieasi, né serrar potergli il sonno, D i tutte cure domator, le ciglia. Di qua di là si rivolgea membrando Il valor di Patroclo e la grand'alma. Iliade, XXIV, trad. di Monti.
1091. D. Perché è necessaria l’agricoltura? R. Per alimentar l’uomo; e per preservarlo dalla fame.
1092. D. Qual è il miglior vino? R. Quello che si beve in casa altrui.
1093. D. Che cosa produce il vino bevendolo? R. Fa parlare.
1094. D. Che cosa fa il pane mangiandolo? R. Fa star cheto.
1095. D. Quanti grappoli porta la vite? R. Uno di piacere, uno d'ebrietà, uno di molestia.
1096. D. Chi è che porta il vino e beve l’aqua? R. L'asino.
1097. D. Cos’è un asino con sella e gualdrappa? R. È un asino bardato.
1098. D. Chi è il vero ricco? R. Colui che non ha desiderj smoderati; colui che non Ira debiti.
1099. D. Qual male bramar si dee all'avaro? R. Che viva lungo tempo.
1100. D. Qual è il fiore che non piace? R. Quello della botte.
1101. D. Quali sono le persone che sempre Iddio ajuta? R. I bambini, gli ubriachi, i pazzi.
1102. D. Tra le cose vecchie quali sono le migliori? R. Legna vecchia d'abbruciare; vino vecchio da bevere;, vecchi libri per leggere; vecchi amici per conversare.
1103. D. Quali cose si desiderano, indi rincrescono? R. Barba al mento, aver moglie, la morte del padre.
1104. D. Quali sono le persone che rettamente lavorano? R. Quelli che ballano sulla corda; coloro che pistano l'arsenico.
1105. D. Qual è la cosa meglio acquistata? R. Ciò che venne donato.
1106. D. Qual è l'artigiano che avanzasi nell'andare indietro? R. Il fabricatore di corde.
1107. D. Quante sorta di troppo vi sono? R. Troppo e troppo poco.
1108. D. Quanti sacchi abbisognano al litigante? R. Uno di carte, uno di danaro, uno di pazienza.
1109. D. Qual è il fine del servitor di Corte? R. Quello di morire sul letamajo.
1110. D. Qual è il minor difetto delle donne che fanno all'amore? R. Il far all'amore.
1111. D. Che cosa appetisce meglio il cavallo? R. L’occhio del padrone.
1112. D. Qual miglior concime ingrassa il campo? R. Del padrone le pedate.
1113. D. Che cosa prende chi caccia due lepri ad un tratto? R. Non ne prende neppur uno.
1114. D. Che cosa desidera il cuoco? R. Abbondanza di vino; privazione di gatti.
1115. D. Quando si dee mangiare? R. Il ricco quando vuole, il povero quando può.
1116. D. Quando si dee prender moglie? R. Quando si è stanco di star bene.
1117. D. Qual è il lavor che si fa presto? R. Quel che poco vale; quel ch’è fatto male (1).
Nota: (1) Spesso nuoce la fretta: all’uom conviene Far le cose con agio, e farle bene. Cent. Piacent. II, 2
1118. D. Qual è il giuoco che maggiormente piace? R. Quello che non molto dura.
1119. D. Chi ha ragion di ridere? R. Quello che ride l'ultimo.
1120. D. Chi vive maggiormente? R. Quegli che mollo opera.
1121. D. Chi forma il ladro? R. L'occasione (1).
Nota: (1) Se le tue robe lasci in abbandono, Ladri farai que’ che fedeli sono. Cent. Piacent. I, 33.
1122. D. Cosa dee possedere un servo? R. Buona pazienza.
1123. D. Cosa dee avere un padrone? R. Molta discrezione.
1124. D. Cosa guadagna un medico ignorante? R. D'essere sempre un medico mendico.
1125. D. A chi ben serve il cavallo? R. Al padrone.
1126. D. Che cos'è un pipistrello? R. Un mezzo sorcio ed un mezzo augello.
1127. D. In qual numero debbon essere le persone a tavola? R. Né minori delle Grazie, né maggiori delle Muse.
1128. D. Quante sorta d'amicizia si danno? R. Da uomo a uomo; da uomo a donna; da donna con donna; da sé a sé, ossia d'egoista.
1129. D. Che cos’è il mondo? R. Uno spedai de' pazzi (1).
Nota: (1) Eppur ciechi mortali noi tuttavia governa Come un spedai de’ pazzi la provvidenza eterna. Salv. Rosa, Sat.
1130. D. Che cos'è la notte? R. La madre dei pensieri.
1131. D. Che cosa può fare un gran mangiatore pel suo amico? R. Tener sempre pronte dicci braccia di budella per festeggiarlo.
1132. D. Che cosa dee fare ehi non è volpe? R. Guardarsi dal lupo.
1133. D. Ove fa maggior fracasso il fiume? R. Dove l'aqua è scarsa e bassa.
1134. D. Ove si perde o si consuma inutilmente l’aqua? R. Lavando la lesta agli asini (2).
Nota: (2) Il Pulci nel Morgante canto XXVII, 276, dice che si perde l’aqua in cinque maniere: Sai che si dice cinque aque perdute.: Con che si lava a Posino la testa; L’altra una rosa che in fine pur pute; La tersa e quella che in mar piove e resta: E dove genti Tedesche son sute A mensa, sempre anche perduta e questa; La quinta è quella ch’io mi perderci A battezzare o marrani o giudei.
1135. D. Cosa può fare uno scialaqualore? R. Consumare altretanti beni che ne potrebbe benedire un vescovo.
1136. D. Cos'è una donna che ogni di sente messa? R. Col marito è una diavolessa.
1137. D. Cosa fa chi t'accarezza oltre l'usato? R. Vuole ingannarti, è ti ha già ingannato.
1138. D. Perché mancano egregi vati? R. Perché mancano gli Augusti e i Mecenati.
1139. D. Che cos'è meraviglia? R. Ciò che soltanto in oggi ci fa inarcar le ciglia.
1140. D. Come si conosce l'attività del contadino? R. Nel buono stato del suo podere.
1141. D. Come si fa una buona colezione? R. Con mollo pane e poca pietanza.
1142. D. Come si acquista un'indigestione? R. Con poco pane e molla pietanza.
1143. D. Chi è quello che non può cadere? R. Chi siede in terra.
1144. D. Chi paga spontaneo un quotidiano tributo? R. Quello che usa tabacco.
1145. D. In qual modo si guarisce il mal dei denti? R. Mettendo le lor radici al sole.
1146. D. Come si guarisce il mal d'occhi? R. Coll'aqua fresca.
1147. D. Come si guariscono i calli ai piedi? R. Colle scarpe larghe
1148. D. Cosa fa l’mperito barbiere? R. Fa veder le stelle anche di mezzodì.
1149. D. Perché il villano non legge il galateo? R. Perché non ha occhiali per vedervi i caratteri (1).
Nota: (1)Tu fra tuoi libri il galatro non hai; O, se l’hai pure, noi leggesti mai. Cent. Piacent. IX, 91.
1150. D. Che cosa fa l’attento cuoco? R. Con un occhio guarda alla padella, coll’altro al gatto.
1151. D. In qual casa non sono mai di troppo i bicchieri? R. All’osteria, ed in quelle case ove sono molti figli.
1152. D. Quando si dee schivare un cane? R. Quando egli va col muso basso.
1153. D. Ove non si dee metter mano? R. Ove non bisogna.
1154. D. A chi non si dee impedire il grattarsi? R. A chi ha la rogna.
1155. D. Ove trovasi la rogna? R. Ove sono molte pecore.
1156. D. Che cosa sarebbe il bue se volasse? R. Più buono che fagiani e beccacce.
1157. D. Cosa fece quella gallina che prima ha cantato? R. Fece sapere i suoi fatti al vicinato.
1158. D. Perché il cane al padron dimena la coda? R. Per buscarsi un pezzo di pane (1).
Nota: (1) Pigri, imparate, si guadagna il pane Col dimenar la coda il piccol cane. Adimari, Satire.
1159. D. Chi è che paga all'osteria? R. II capo della compagnia.
1160. D. Perché non si debbon carezzar cani né gatti? R. Perché hanno unghie e denti.
1161. D. Cosa acquista chi aggiusta vecchi stracci. R. Gitta il refe, le pezze e la fatica.
1162. D. Fra due nemici chi cerca la pace? R. Quello che è stanco di guerreggiare.
1163. D. Sin a quando v’è speranza di vivere? R. Finché v’è fiato in corpo.
1164. D. A chi tutti offrono da bere? R. All’ubriaco (2).
Nota: (2) Chi ha sete, chiede invan d’aqua un bicchiere; A chi è ubriaco tutti offron da bere. Pietro Aretino.
1165. D. Come le cose s’acconcian bene? R. Con poco da chi le sa fare.
1166. D. Come si guastano le cose? R. Con poco da chi non le sa fare?
1167. D. Chi desidera il tempo piovoso? R. Il tignoso, acciò gli tenga il capo molle.
1168. D. Che cosa arriva a chi cerca? R. C’ordinario trova.
1169. D. Chi a torlo si lamenta del pan duro? R. Chi non ha denti in bocca.
1170. D. Quand’il villano conosce che il bue ha male? R. Quand'è morto (1).
Nota: (1) Il bue morì, e il villan s’è ifine accorto Che stava male, quand’il vide morto. Sansovino, Satire.
1171. D. Cosa diventa una piaga non curala? R. Diventa una cancrena.
1172. D. Quali sono i mobili più fragili d'una casa? R. I vetri e le donne.
1173. D. Quando non deesi guardar in bocca al cavallo? R. Quand’è donato.
1174. D. Qual pena si dee al peccato confessato? R. Poca pena; è già mezzo perdonalo.
1175. D. Cosa fa chi lava la testa all’asino? R. Perde il suo tempo e il suo sapere (2).
Nota: (2) Ben puoi la testa all’asin tuo lavare, Ma non perciò il potrai disasinare. Cent. Piacent. I, 62.
1176. D. Cosa accade all’augellin che vola su d’ogni frasca? R. Finalmente s'invischia.
1177. D. Qual è il principio ed il fine de' pensieri d’un architetto? R. Pensa prima ai fondamenti, poi al tetto.
1178. D. Chi è che cantando in coro non può andar d’accordo? R. Petto infermo, aspra voce, orecchio sordo.
1179. 0. Che cosa può fare una palla spinta da un fucile? R. Uccidere un eroe, come un uom vile.
1180. D. Perché al vecchio rincresce il morire? R. Perché ne impara una di nuovo ogni giorno.
1181. D. Perché il vento è chiamato Infido e capriccioso? R. Perché autore di subitanee procelle; perché converte la ingannevole calma in repentini pericoli.
1182. D. Chi de' principi maggiormente goder debbe il favore? R. L'esperto agricoltore.
1183. D. A chi i cibi in quaresima fanno male? R. A chi abusò del carnovale.
1184. D. Qual profitto dà il mal acquisto? R. Va tutt'in perdita (1).
Nota: (1) La farina che il diavolo suol dare Va tutt’in crusca, né si può impastare. Prov. Triv.
1185. D. Qual è la ricchezza che presto viene e presto vola? R. Quella che proviene da penna e stola.
1186. D. Cosa fa chi a prender non ha misura? R. Foco la dura.
1187. D. Cosa cerca il cane del cacciatore? R. Cerca la preda.
1188. D. Qual compenso dal cacciatore n’ha il cane? R. Un tozzo di pane.
1189. D. Che può fare piccola scintilla di fuoco. R. Un grande incendio.
1190. D. Qual piacere si può talvolta fare ad uno? R. Col non fargli piacere alcuno (2).
Nota: (2) Marco volea un piacer, negai di farlo, Ma gliel feci ben grande col negarlo. Cent. Piacent. IV, 3.
1191. D. Con chi è difficile il contraltare? R. Con chi non sa né vendere né comperare.
1192. D. Cosa accade a chi la serpe tiene in seno? R. A morire si arrischia di veleno.
1193. D. Quand'è bella la scena? R. Di notte, ed illuminala.
1194. D. Ad un bel sereno che cosa talvolta succede? R. Tuono, pioggia e gragnuola. s
1195. D. Cosa fa il servo che non può battere il padrone? R. Batte il cavallo (1).
Nota: (1) Batte la sella chi non può il cavallo; E paga l’innocente il non suo fatto. Cent, Piacent. II, 58.
1196. D. Cosa fa chi de' morti a tavola fa menzione? R. Manca di civiltà e di riflessione.
1197. D. Che fa un lungo pianto alla morte di qualcuno? R. Nuoce al vivo, e non fa bene al morto.
1198. D. Ove non si dee stendere il piede? R. Oltre al primo gradino.
1199. D. Cosa farà domani il servo, che pochi soldi ti ha rubato jeri? R. Ti vuoterà casse e forzieri.
1200. D. Qual cosa non è mai buona? R. Né cavolo riscaldato, né servitore ritornato.
1201. D. Cosa accade a chi troppo tira? R. Spezza la corda (2).
Nota: (2) Spesso reggiani che chi il violino accorda. Se non tira pian pian, rompe la corda. Cent. Piacent II, 69.
1202. D. Cosa fa l’aqua che stagna? R. Imputridisce, e infetta l’aria.
1203. D. Chi è il re nel paese degli orbi? R. Quegli che ha un occhio solo.
1204. D. Cosa fa il lupo quand’ha fame? R. Lascia i dirupi e scende al piano.
1205. D. Che cosa è un indizio? R. È un primo passo per formare un giudizio.
1206. D. Quali cose maggiormente dispiaciono? R. Aspettare e non venire; amare e non essere amato; servire e non essere aggradito; andar a letto e non poter dormire.
1207. D. Chi fa maggior male alla salute? R. Donne e vino (1).
Nota: (1) Il troppo conversar con Bacco e Venere Presto riduce anche un colosso in cenere. Cent. Piacent, III, 4.
1208. D. Quali sono le cose che non si possono comperare? R. Il buon nome, le scienze, la sanità, una lunga vita.
1209. D. Quali sono le bestie più grosse? R. Il cane del macellajo, il gallo del pizzicagnolo, la gallina del mugnajo, la vacca del fattore.
1210. D. A chi d’ordinario è gravosa la gragnuola? R. Al povero coltivatore.
1211. D. Qual è il luogo più sicuro? R. Davanti ai muli, di dietro ai fucili, lontano dai pazzi.
1212. D. Chi nasconde al medico i suoi mali? R. Il pazzo (1).
Nota: (1) … chi troppo savio tace il suo mal, A Alfin da pazzo il grida. Guarini.
1213. D. Cosa sono le promesse verso i Grandi? R. Sono oblighi.
1214. D. Cosa sono le prestanze fatte ai Grandi? R. Sono doni e danno.
1215. D. Cosa si fa talvolta cercand'il meglio? R. Si perde il buono che si ha.
1216. D. Che cosa fa la pigrizia? R. Trova tutto difficile.
1217. D. Che cosa fa la diligenza? R. Sa render tutto facile.
1218. D. Quali sono le cose più forti? R. Pazienza e fatica, le quali vincono ogni cosa.
1219. D. Chi è il maggior nemico del poltrone? R. La fatica.
1220. D. Che cos'è la pazienza? R. La virtù degli asini.
1221. D. A chi non conviene star molto in chiesa? R. Ad un capo di famiglia.
1222. D. Qual vantaggio ha il vivo sopra il morto? R. Chi vive ha ragion, chi è morto ha torto.
1223. D. Chi si fa più facilmente ammazzare? R. Quegli che tiene sempre vicino a sé un medico; colui che vive sempre da ammalato (1).
Nota: (1) Qui medice vivit, modice vivit. — Vetus axioma.
1224. D. Cosa guadagna chi travagliar ' non vuole? R. Ha il corpo grasso e l'animo ottuso.
1225. D. Costi guadagna chi tiene grassi ed in istalla i buoi? R. Una scarsa messe.
1226. D. Quanti sono gli elementi? R. Cinque, il primo de' quali è la ricchezza (2).
Nota: (2) Quattro elementi hanno le Scuole ammessi; Cinque io ne conosco, e l'oro è il primo d’essi. Ariosto, Satire.
1227. D. Quand’i bei motti sono grati? R. Quando sono rari e sul momento nati.
1228. D. Quant'è lontano il vero dal falso? R. Lo spazio ch'è tra gli occhi e il naso.
1229. D. Quali sono i pazzi maggiormente a temersi? R. I malvagi ed i furibondi (1).
Nota: (1) Pazzi ha il mondo trattabili e giocondi; Ma i più sono maligni e furibondi. Cent. Piacent. VIII, 24.
1230. D. Cosa aspettar si dee da sorte ria? R. Pronte le disgrazie, come le mense all'osteria.
1231. D. Che cosa invano studia il medico? R. Quel male che porla al sepolcro.
1232. D. Qual merito ha chi predica ai sordi? R. Quello di predicare al deserto.
1233. D. Che cos’è una buona parola? R. Un elisire che consola l'infelice.
1234. D. Quali sono le parole più saporite? R. Quelle che hanno maggior sale (2).
Nota: (2) Un motto arguto spesso ha più sale Che una prolissa diceria morale. Cent. Piacent. 1, 2.
1235. D. Quand’il viaggiatore trovasi in maggior imbarazzo? R. Quand'è senza denari, senza salute senza compagni, senza pazienza.
1236. D. Ov'è difficile il rubare? R. In casa de’ ladri.
1237. D. Quando si ha gran male? R. Allorché si ha la borsa vuota.
1238. D. Quali sono i mercadanti? R. Tanto chi perde che chi guadagna
1239. D. Qual è il peggior barbiere? R. Colui che ha un sol rasojo.
1240. D. Qual cosa è maggiormente nocevole? R. Ogni cosa quand'eccede il bisogno (1).
Nota: (1) Un moderno scrittore francese sopra il proverbio Ogni troppo è troppo lasciò scritto quanto segue: Trop de repos nous engourdit, Trop de fracas nous étourdit Trop de froideur est indolence Trop d'activité turbulence: Trop d’amour trouble la raison, te Trop de remède est un poison, Trop de finesse est artifice, Trop de rigueur est cruauté, Trop de audace témérité, Trop d’économie avarice: Trop de bien devient un fardeau Trop d’honneur est un esclavage Trop de plaisir mène au tonbeau, Trop d’esprit nous porte dommage: Trop de confiance nous perd, Trop de franchise nous désert Trop de bonté devient faiblesse, Trop de fierté devient hauteur ; Trop de complaisance bassesse, Trop de politesse fadeur.